
Vergogna, senso di sconfitta, paura di deludere genitori e amici. C’è un po’ di tutto questo dietro la lunga striscia di suicidi che vedono protagonisti tanti studenti universitari. Numeri che, negli ultimi anni, stanno crescendo in maniera preoccupante. La dinamica è quasi sempre la stessa: alle famiglie dicono di essere a un passo dalla laurea quando, in realtà, hanno dato pochissimi esami o hanno addirittura abbandonato i sogni di gloria. L’ultimo episodio in ordine di tempo è avvenuto a Napoli – all’università ‘Federico II’, nella sede di Monte Sant’Angelo - dove una studentessa molisana di 26 anni ha deciso di togliersi la vita proprio nel giorno della laurea, lanciandosi dal tetto dello stesso edificio in cui di lì a poche ore sarebbe stata proclamata dottoressa. Il condizionale è d’obbligo, perché la realtà era ben diversa: il suo nome non era neanche in lista, troppi gli esami ancora da sostenere. Ma lei non aveva avuto il coraggio di confessarlo.
Quando il senso di colpa diventa più forte della voglia di vivere
Ma cosa succede nella mente dei ragazzi di oggi per arrivare a prendere una decisione così estrema, assolutamente sproporzionata? Le nuove generazioni non riescono a reggere la pressione della menzogna? La società in cui viviamo è troppo competitiva? Le famiglie ripongono alte aspettative nei figli e in quel ‘pezzo di carta’? Difficile decifrare il meccanismo che porta al suicidio di un ragazzo, per il solo fatto di fallire (quasi sempre solo in parte) l’obiettivo. Sta di fatto che le cronache degli ultimi anni sono piene di storie del genere. Basta scorrere indietro gli archivi per accorgersi di come, mettendo in fila tutti i casi, non sembri così assurdo parlare di emergenza sociale.
I casi più recenti di ‘suicidi universitari’
Solo negli ultimi quindici mesi – dall’inizio del 2017 – ci sono stati altri due casi fotocopia. Il primo ha riguardato un 27enne di Chieti, figlio di una famiglia di notabili della città abruzzese. Lui studiava Giurisprudenza a Roma e, pur di evitare che i genitori partissero alla volta della Capitale per assistere alla discussione della tesi, scoprendo che era tutto falso, ha preferito spararsi in testa la sera prima del grande giorno. Esito tragico, ma dinamica differente, per il 22enne di Badia Polesine – (finto) laureando in Ingegneria all’università di Ferrara – che per porre fine alla sua vita si è lasciato travolgere da un treno alla stazione di Rovigo.
Quasi sempre la decisione si prende alla vigilia della laurea
Ma l’elenco, come detto, è molto più lungo e dai contorni tristemente uguali. Giugno 2016: un 27enne di Genova si uccide con un colpo di pistola a pochi giorni dalla presunta sessione di laurea, salvo poi scoprire che gli mancavano dieci esami, l’ultimo dei quali risaliva a due anni prima. Aprile 2016: un 26enne di Potenza si uccide nel cortile della facoltà di ingegneria dell’università Roma Tre, davanti agli occhi dei suoi colleghi; troppa la frustrazione per non riuscire a passare gli esami. Ancora Roma (Università La Sapienza), ancora Ingegneria: siamo a novembre 2014 quando un 28enne si lancia dalla finestra della sua casa, nel quartiere Montesacro; quella mattina aveva convocato tutti per la discussione della tesi, ma non aveva dato neppure un esame in cinque anni.
Il fallimento fa scattare una molla interna
Gliene mancavano solamente cinque di esami, invece, alla 29enne di Pomigliano d’Arco che si è impiccata con il filo della doccia il giorno in cui (forse nella sua tabella di marcia mentale) si sarebbe dovuta laureare in Farmacia alla Federico II di Napoli: siamo a febbraio 2014. L’imminenza della laurea, sbandierata ai suoi cari nonostante le cose non andassero come avrebbe voluto, ha portato al suicidio una 27enne iscritta a sempre Farmacia ma alla Seconda Università di Napoli, buttandosi da una finestra dello stesso ateneo (siamo ad aprile 2011). Mentre a Scicli (in Sicilia), a inizio 2011, una 22enne prende la macchina della madre e la spara a tutta velocità giù da un ponte: in un primo momento si salva, morirà in ospedale per le ferite riportate.
Difficile reggere la pressione della finzione
Fingeva di essere in dirittura finale il 25enne di Ascoli Piceno che studiava a Roma. La famiglia stava già organizzando i festeggiamenti, ma la maggior parte degli esami che diceva di aver sostenuto, non li aveva mai superati. Lui la ‘soluzione’ l’ha trovata una mattina di ottobre del 2009 gettandosi sotto un treno della stazione Tiburtina. Solo un paio di mesi prima, un ragazzo di Cittadella (Padova), si era impiccato nel fienile di casa, consumato dal senso di colpa. Ma si potrebbe continuare. Con una media di almeno un paio di episodi all’anno.
Qualcuno, per fortuna, non riesce nel suo intento
A questi vanno aggiunti quelli che, fortunatamente, si concludono in maniera meno tragica. È il caso del 26enne di Salerno che, la mattina stessa della laurea - lo scorso febbraio - anziché tornare a Napoli (dove studiava) ha premuto il grilletto contro sé stesso. La scarsa dimestichezza con l’arma lo ha salvato (anche se ha perso un occhio ed è rimasto sfigurato). È invece atterrata su un’auto in sosta la 24enne che, a Messina, ha tentato il suicido dal quarto piano dell’abitazione che aveva affittato per frequentare l’università, neanche un mese fa. Mentre è stato il conforto del Telefono Amico a far desistere un giovane della provincia di Udine, nell’ottobre 2017. E una telefonata ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai genitori di un 22enne di Sirolo (nelle Marche) che aveva fatto perdere le proprie tracce a 24 ore dalla laurea, a metà marzo di quest’anno: non era vero e per la paura di doversi giustificare aveva optato per sparire nel nulla, salvo poi ripensarci e avvisare la famiglia che stava bene e sarebbe presto tornato. Quello che in tanti non sono riusciti a fare, inghiottiti dal buco nero della vergogna.Marcello Gelardini