
Uscì di casa per andare a lezione di musica e da allora non fece più ritorno, dando origine a un mistero che si trascina da oltre 40 anni. L’unica certezza, ad oggi, è che da quel 22 giugno del 1983, di Emanuela Orlandi si sono perse le tracce.
La giovane studentessa, residente tra le mura Vaticane, aveva solo 15 anni quando scomparve nel nulla, dando il via a uno dei casi di cronaca nera più noti del nostro Paese, ancora oggi senza soluzione. Ma c’è una persona che dal giorno della scomparsa di Emanuela non si è mai arresa nella ricerca della verità.
Quella persona è suo fratello maggiore: Pietro Orlandi. Insieme a lui - intervistato da Skuola.net - abbiamo tentato di ricostruire quei giorni d’estate degli anni ‘80: perché Emanuela oggi vive anche e soprattutto attraverso i ricordi di Pietro, che non ha mai smesso di cercarla, spesso scontrandosi contro un vero e proprio muro di gomma.
Il ritratto che emerge dalle sue parole è quello di una ragazza piena di vita, profondamente legata alla famiglia e con la passione per la musica. Al videopodcast di Skuola.net #Screenshot è spettato il compito di restituire un’istantanea di Pietro Orlandi, della sua battaglia e del ricordo di sua sorella.
Indice:
Il giorno in cui tutto cambiò: le sliding doors di quel rifiuto di accompagnare Emanuela
Emanuela era cittadina vaticana, ma viveva una vita normale, quella di una qualsiasi adolescente romana. Quel pomeriggio d’estate del 1983, uscì di casa per raggiungere la scuola di musica “Ludovico da Victoria”, nei pressi di via Aurelia. Chiese a Pietro di accompagnarla, ma lui aveva un appuntamento e rifiutò. Fu l’ultima volta che i due si parlarono.
Il mondo, allora, era molto diverso rispetto a oggi: gli smartphone ancora non esistevano, quindi di riflesso nemmeno i social, il che rendeva impossibile geolocalizzare Emanuela. Quel giorno i suoi genitori si accorsero che qualcosa non andava già alle 20:30, quando la giovane non rientrò per cena. Così nella notte la famiglia iniziò a cercarla ovunque per le strade di Roma, senza nessuna certezza e, soprattutto, senza nessun aiuto.
Perché la denuncia di scomparsa non fu subito accolta dalle Forze dell’ordine: come spiega Pietro Orlandi, infatti, non era insolito, all’epoca, che un adolescente facesse tardi. Pur non trattandosi del caso di Emanuela, quindi, le ricerche iniziarono con un certo ritardo.
La musica, il “filo rosso” che lega la famiglia
Poche settimane dopo la scomparsa, arriva una telefonata che sembra cambiare le carte in tavola. La famiglia Orlandi viene contattata da un presunto rapitore che chiede, in cambio della liberazione di Emanuela, la scarcerazione di Mehmet Ali Ağca, l’uomo che nel 1981 aveva attentato alla vita di Papa Giovanni Paolo II. Da quel momento, il caso - da tragedia familiare - acquista i connotati di un “affare” internazionale.
Inutile dire quanto la vicenda abbia segnato la vita e la famiglia di Pietro. Per lui si è trattato di un lungo stand-by, anche se ha comunque provato ad andare avanti. Facendo prima dei lavoretti da geometra e consegnando i giornali, in seguito, lavorando allo Ior, la banca vaticana.
Nonostante tutto, per Pietro è stato impossibile vivere come se nulla fosse. Una serenità che ha perso da 42 anni: e oggi ammette di avere una certa difficoltà nel dire “no” ai suoi figli quando gli chiedono di accompagnarli da qualche parte.
Ma c’è un’”eredità positiva”: ironia del destino, proprio le tre figlie maggiori seguono le orme artistiche di Emanuela. Forse non lo sapevate ma Rebecca, Elettra e Salomé Orlandi sono infatti delle musiciste. I più attenti le ricorderanno in un’edizione di X Factor, dove sono arrivate persino ai Bootcamp.
Quanto ne sanno i giovani su Emanuela Orlandi?
Nonostante in molti gli remassero contro, Pietro Orlandi non ha mai smesso di cercare la verità e oggi, a distanza di 40 anni dalla scomparsa di Emanuela, racconta la sua storia nelle scuole e nelle università.
Fino a oggi le nuove generazioni ignoravano la vicenda, ma grazie alla serie Netflix ‘Vatican Girl’ - che ripercorre le tappe di questo caso di cronaca nera -, anche i più giovani ne sono venuti a conoscenza.
E in generale, ragazze e ragazzi si dimostrano da subito molto interessati all’inchiesta, nonostante la “bolla digitale” in cui vivono. Forse perché, come dice Orlandi, “i giovani di oggi vivono in un eterno presente, spesso bloccati in uno scroll infinito, e questa storia, che sembra non avere una fine, li intriga e li riguarda più di quanto si possa pensare”.
Viene da chiedersi cosa sarebbe successo se all’epoca fossero esistiti i moderni mezzi di comunicazione su cui possiamo contare oggi: invece, negli anni ‘80, l’unico strumento principale per sensibilizzare l’opinione pubblica erano dei manifesti con ritratto il volto della ragazza. Il sorriso di Emanuela su quei cartelli ancora oggi è un simbolo di speranza.
La lotta per la verità
Pietro non ha mai smesso di cercare Emanuela e per questo non ha mai dichiarato la sua morte, che a oggi rimane dunque “presunta”. Per lui, finché non emergeranno prove concrete, sua sorella è ancora viva: “Ci sono persone che sanno esattamente cosa è successo a mia sorella. Il nostro diritto alla verità e alla giustizia non scadrà mai.” rivela l’uomo.
Una battaglia che non è solo per Emanuela, ma per tutte le famiglie in cerca di risposte. Perché il tempo non può cancellare una verità che non è mai stata scritta. E forse è proprio questo il motivo per cui, dopo 40 anni, continuiamo a parlarne.