
Lui si chiama Giulio Deangeli, ha cinque lauree in tascha e il sogno di cambiare il mondo attraverso la ricerca.
Quando parlate con lui l'unica cosa da non fare è definirlo un genio perché, come dice lui, la sua unica "colpa" è quella di "essere entrato nel circolo vizioso del sapere".Giulio nella nuova puntata del podcast di Skuola.net, #FuoriClasse, ci ha parlato di com'è nata la sua passione per lo studio e del suo "metodo geniale".
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Il vizio dello studio
Non conoscendo Giulio e guardando solamente la sua carriera universitaria e lavorativa si potrebbe incorrere nell'errore di ergerlo quasi a rappresentante di una cultura sempre più spinta alla massimizzazione delle performance. Una cultura che non tiene conto dei diversi tempi che ognuno di noi ha, una cultura per cui se sei un "fuoricorso" all'università sei automaticamente un fallito.In Giulio non c'è niente di tutto questo. "Per me lo studio non è mai stata una competizione ma sempre un piacere finalizzato solo all'apprendere. Ho iniziato a dare esami di ingegneria e mi piaceva e non ho più smesso. E poi ho iniziato a dare esami di biotecnologia e mi piaceva e non ho più smesso. Forse una sorta di circolo vizioso in cui ero automaticamente esposto ad altre materie oltre a quelle curricolari che dovevo fare per obbligo visto che ero iscritto a medicina".
Più che una competitività tossica, era un amante dell'effetto capra."Tu ti esponevi ad una materia nuova, completamente nuova e ti rendevi conto di due cose. Primo, che era molto utile, e secondo, che non ne sapevi niente. Diventavo consapevole di quanto ero ignorante di quella materia e mi veniva voglia di compensare. Ricordo quando ho aperto per la prima volta il libro di elettronica e quando l'ho chiuso con la sensazione di aver capito come funzionasse un computer".
Le cinque lauree e il suo "metodo geniale"
Questa sua passione l'ha portato, nel 2020, a laurearsi in Medicina, Biotecnologia, Ingegneria, Biotecnologia molecolare e a conseguire un diploma d’eccellenza della scuola Sant’Anna in scienze mediche.In totale 150 esami, uno alla settimana e con la media del trenta. Questo, in sostanza, quello che lui chiama "il percorso pazzo". "Io quando ho iniziato non mi sarei mai aspettato di portare tutto alla fine. E non solo. L'altra cosa è che non mi sarei mai aspettato che sarebbe stato così piacevole".
Tra l'altro, tutto questo non sarebbe stato possibile senza un metodo di studio. "Io ho avuto la fortuna di fare neuroscienze mentre ero la mia cavia, cioè mentre dovevo studiare". Difatti al suo primo anno di Medicina ha fatto anche il primo internato a Genova sulla memoria. Il suo focus però si è poi spostato sui metodi di studio, partendo da un'evidenza fondamentale: nessuno ci ha mai insegnato come si dovrebbe studiare.
Il metodo di studio più diffuso nella popolazione generale è la rilettura. "Piccolo dettaglio, non funziona. Cioè, non serve praticamente a niente rileggere: ci sono addirittura dei lavori dove si confrontano gruppi che leggono una volta o leggono cinque volte e già dopo una settimana la differenza è praticamente assente. In sostanza il nostro cervello non funziona come una videocassetta... C'è quello che io chiamo il teorema fondamentale del metodo di studio che sostanzialmente dice che i metodi creativi sono i migliori, i metodi attivi ma non creativi, così così, i metodi passivi come rileggere sono i peggiori".
I metodi creativi sono i migliori perché ti servono per utilizzare l'informazione e non per apprenderla in maniera passiva. "Io per esempio ho fatto fisica mettendo mille formule su Minecraft oppure andavo a ripetere sul Lungarno ad alta voce, non potete capire quanta gente mi prendeva per pazzo. Ma se andavo lì c'era un motivo: la qualità dell'aria che è un aspetto fondamentale. Molti studenti, purtroppo, studiano in aule affollate dove quest'ultima è pessima: banalmente la performance cognitiva dipende tanto dalla concentrazione CO2 nell'aria e quindi quando si studia all'aria aperta il cervello funziona di più".
La carriera in parallelo
In parallelo al piacere dello studio c'è stata una carriera partita dalla provincia. Il tutto è iniziato nel 2013 quando è diventato vicecampione del mondo di Neuroscienze. Poi, nel 2016, in mezzo a 26mila candidati si è aggiudicato una borsa di studio che l'ha catapultato all'università di Cambridge dove ha iniziato a lavorare nel laboratorio di Maria Grazia Spillantini, la biologa italiana che nel 1997 ha scoperto la proteina del Parkinson.
"Quando sono arrivato ero l'ultimissima ruota del carro e sono rimasto veramente colpito dalla possibilità di interfacciarmi con dei veri e propri giganti della scienza". Poi, nel 2018, il passaggio
da Cambridge ad Harvard attraverso un'altra borsa di studio.
"Naturalmente quando fai domanda per un posto del genere obiettivamente non puoi aspettarti che ti prendano perché i numeri sono talmente sbilanciati che non puoi ragionevolmente, per quanto tu sia bravo, aspettarti di essere preso ma se non fai domanda, non ti metti in gioco non saprai mai l'opportunità che hai perso".
Paolo Di Falco