
Non è solo una questione di astronavi, satelliti e razzi che atterrano da soli. Lo spazio, oggi più che mai, è una faccenda terrena.
Ne è straconvinto Emilio Cozzi, giornalista, autore, divulgatore scientifico e direttore della sezione Space Economy di Forbes Italia, ospite della nuova puntata del vodcast #Screenshot di Skuola.net.
Intervistato dal nostro direttore, Daniele Grassucci, l'esperto porta "in orbita" la conversazione: dalle impronte lasciate sulla Luna al futuro della Terra, passando per Star Wars, Elon Musk e l’acqua fatta con il sudore.
In quasi un’ora di confronto serrato e appassionato, Cozzi mette insieme la storia, la scienza, la geopolitica e la fantasia, senza mai smettere di meravigliarsi. Perché parlare di spazio non significa solo guardare in alto: “Pensare lo spazio e la Terra come cose separate non è più possibile”, dice, lasciando intendere che ciò che accade oltre l’atmosfera ci riguarda sempre, ogni giorno.
Allacciate le cinture, ecco una guida per non perdersi tra orbite, shuttle e sogni di colonie lunari.
Indice
Il potere visionario della fantascienza
Quando Emilio Cozzi parla di fantascienza, non la mette in una teca da collezione. Al contrario, la tratta come una forza propulsiva che ha davvero cambiato il mondo. È convinto – e lo dice con entusiasmo contagioso – che “la fantascienza prima o poi si realizza”. E non è solo un’idea romantica: è una visione precisa, fondata sull’osservazione di decenni di tecnologia e cultura che si rincorrono. “Quello che uomini e donne immaginano, prima o poi qualcuno lo costruisce. Magari dopo dieci anni, o anche dopo cento. Ma succede”.
Per Cozzi, film come 2001: Odissea nello spazio non sono solo cinema, ma progetti pilota dell’umanità. Hanno anticipato l’intelligenza artificiale, il turismo spaziale, le stazioni orbitanti popolate da brand e negozi, l’idea stessa di un’industria commerciale nello spazio. E hanno fatto tutto questo con decenni di anticipo. “Se guardi la Stazione Spaziale Internazionale, la sua struttura è praticamente quella immaginata da Kubrick nel ’68. E la stessa cosa vale per gli spazioplani, i viaggi verso la Luna, le missioni private”.
Ma il punto più interessante è che la fantascienza, per Cozzi, non si limita ad anticipare: ispira. Le persone che oggi disegnano satelliti e scrivono algoritmi sono cresciute con Star Wars e Alien, e quei mondi immaginari hanno insegnato loro che nulla è davvero impossibile. “Il Millennium Falcon era un rottame volante, non un gioiello ingegneristico. Ma proprio per questo ha fatto sognare milioni di persone: perché dava un messaggio chiaro. Se riesci a pensarlo, forse puoi farlo”.
Visti da lassù: astronauti, confini e fragilità
L’incontro con gli astronauti è un’esperienza che lascia il segno. Cozzi ne ha conosciuti molti – incluso Buzz Aldrin, l’unico ancora in vita tra coloro che hanno camminato sulla Luna – e ogni volta si è sentito riportare un concetto tanto semplice quanto sconvolgente: “Vista dallo spazio, la Terra è fragile. Ma non è lei a essere fragile: siamo noi”.
Una consapevolezza, questa, che nasce osservando quella sottile membrana chiamata atmosfera, un velo trasparente spesso appena cento chilometri che custodisce tutta la vita conosciuta. Un dettaglio fisico che, visto da fuori, diventa metafora potente della nostra condizione: “È così sottile da sembrare niente. Eppure è tutto. Se la perdiamo, perdiamo ogni cosa”. Il pensiero corre inevitabilmente all’ambiente, al cambiamento climatico, ai rischi che corriamo ogni giorno senza nemmeno accorgercene.
Ma c’è un’altra frase che, da Gagarin in poi, si fa incisiva, come un mantra: “Dallo spazio non si vedono i confini”. Un’affermazione che assume oggi, in un’epoca di guerre e divisioni, un valore ancora più dirompente. E lo spazio, da questo punto di vista, assume i contorni di una specie di “utopia reale”: il luogo dove la cooperazione internazionale non è uno slogan, ma una necessità concreta. E dove, per un attimo, l’umanità può ricordarsi di essere una sola cosa.
Quando lo spazio era guerra (fredda)
Oggi siamo abituati a pensare allo spazio come a un orizzonte di scienza, innovazione e sogni condivisi. Ma la corsa allo spazio è nata da tutt’altro spirito: la competizione, la paura, la strategia militare. “Il primo oggetto artificiale messo in orbita fu lo Sputnik, nel 1957. Lo lanciò l’Unione Sovietica, e non fu solo un trionfo tecnologico: fu uno shock geopolitico”, racconta Cozzi. Da quel momento, Stati Uniti e URSS si misurarono su chi avesse la tecnologia migliore, la capacità più avanzata di dominare non solo la Terra, ma anche ciò che le stava sopra.
In quegli anni, lo spazio era la nuova arena del duello tra superpotenze. E come nei tornei medievali, non combattevano gli eserciti, ma i “campioni”: astronauti e cosmonauti lanciati verso l’ignoto per dimostrare la supremazia di un modello sull’altro. “Lo spazio è stata la versione moderna del duello. Un modo per evitare di ammazzarsi tutti sulla Terra”.
Eppure, proprio in mezzo a quella corsa armata, scintille di bellezza. Come quando gli americani chiesero ai sovietici di spostare una sonda per non disturbare l’allunaggio di Neil Armstrong, e Mosca accettò. “In un mondo spaccato in due, due nemici storici si misero d’accordo per non rovinare il momento più alto dell’umanità. Lo spazio ci ha insegnato anche questo”.
Hubble, diagnostica oncologica e urina
Emilio Cozzi è un divulgatore brillante, e lo dimostra quando riesce a far convivere nello stesso discorso telescopi spaziali, diagnostica oncologica e acqua ricavata dalla pipì. Il punto, ancora una volta, è che lo spazio non è altro da noi. “Le tecnologie sviluppate per le missioni spaziali hanno trasformato la nostra vita quotidiana. E lo fanno ogni giorno, senza che ce ne rendiamo conto”.
Prendete Hubble, ad esempio. Lanciato nel 1990, fu il primo telescopio orbitale. Peccato che fosse “miope”: una minima imperfezione nella lente primaria rischiava di vanificare decenni di lavoro. Ma invece di buttare tutto, gli scienziati crearono software di correzione così avanzati che oggi sono usati nella diagnosi precoce del cancro al seno. “Quelle immagini che sembrano venire dalla fantascienza, oggi salvano la vita di migliaia di donne”.
Oppure la Stazione Spaziale Internazionale, dove il 98% dei fluidi – urina e sudore – viene trasformato in acqua potabile. “È più pura di molte acque minerali, anche se qualcuno storcerà il naso”, dice Cozzi.
L’industria orbitale e il sogno di Musk
C’è un prima e un dopo Elon Musk, anche nella corsa allo spazio. Con il suo Falcon 9, ha stravolto le regole del gioco: “Ha reso i razzi riutilizzabili. Ha trasformato l’eccezione in routine. Ha portato lo spazio al livello dell’industria pesante”. Cozzi non nasconde il suo stupore di fronte a questo salto tecnologico: “Oggi SpaceX lancia più della Cina e dell’Europa messe insieme. Vent’anni fa non esisteva”.
Ma Musk non si ferma. Sta costruendo Starship, una navicella che potrà portare 100 persone in orbita e che la NASA ha scelto come lander per tornare sulla Luna. E oltre, magari, per andare su Marte. “Con un costo stimato di 200 dollari per chilo, portare cose – e persone – nello spazio diventerà finalmente accessibile”.
Certo, il turismo spaziale non sarà per tutti. “Non nel breve termine”, precisa Cozzi. Ma l’orbita bassa diventerà presto un luogo abitabile e sfruttabile commercialmente: server in orbita, fabbriche, laboratori farmaceutici. “Non andremo nello spazio per fuggire dalla Terra, ma per prendercene cura meglio. E magari per spostare là l’inquinamento che oggi ci soffoca”.
Lo spazio non è altrove, è qui
Alla fine di tutto, Cozzi torna a parlare ai ragazzi, come fa spesso nelle scuole. E lo fa da narratore appassionato, non da professore. “Lo spazio è una storia di donne e uomini. È l’avventura dell’umanità. E ogni volta che vedo un bambino affascinato, provo a rubargli quella scintilla. Perché è la stessa che ci ha spinto, millenni fa, ad attraversare un fiume o un mare senza sapere cosa ci fosse dall’altra parte”.
E per chi sogna di lavorare in questo settore? “Non serve diventare astronauti. Servono ingegneri, fisici, matematici, ma anche avvocati, scrittori, comunicatori. Perché lo spazio è complesso, umano, culturale. E avrà bisogno di tutti noi”.