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2. la sensibilità che è il cambiamento del segnale elettrico in uscita in corrispondenza a un
cambiamento di una grandezza fisica in ingresso ed è di 10 mV/°C;
3. l’alimentazione compresa fra 5 e 20 V;
4. la corrente di uscita che è di 10 mA.
ADC E PLC
Per gestire il controllo della temperatura del forno abbiamo caricato l’apposito programma nel PLC.
Il controllore logico programmabile o PLC è un computer industriale specializzato in origine
nella gestione dei processi industriali. Il PLC esegue un programma ed elabora i segnali digitali ed
analogici provenienti da sensori e diretti agli attuatori presenti in un impianto industriale.
L'installazione di un PLC permette la gestione automatica dei molteplici sistemi e impianti
installati. Un PLC è un oggetto hardware componibile e la sua caratteristica principale è la
robustezza. Infatti, normalmente, è posto in quadri elettrici, in ambienti rumorosi, con molte
interferenze elettriche, con temperature elevate ecc. In certi casi il PLC è in funzione su impianti
che non possono fermarsi mai.
La struttura del PLC viene adattata in base al processo da automatizzare. Durante la progettazione
del sistema di controllo, vengono scelte le schede adatte alle grandezze elettriche in gioco. Queste
schede vengono quindi inserite sul BUS o rack del PLC.
Funzionamento
La prima cosa che il PLC compie è la lettura degli ingressi sia digitali che analogici, on board o su
bus di campo. Dopo aver letto tutti gli ingressi, il loro stato viene memorizzato in una memoria che
è definita "Registro immagine degli ingressi". A questo punto le istruzioni di comando vengono
elaborate in sequenza dalla CPU e il risultato viene memorizzato nel "Registro immagine delle
uscite". Infine, il contenuto dell'immagine delle uscite viene scritto sulle uscite fisiche ovvero le
uscite vengono attivate. Poichè l'elaborazione delle istruzioni si ripete continuamente, si parla di
elaborazione ciclica; il tempo che il controllore impiega per una singola elaborazione viene detto
tempo di ciclo che sono in genere di pochi millisecondi.
Struttura del PLC
Un PLC è composto da un alimentatore, dalla CPU, da un certo numero di schede di ingressi
digitali e uscite digitali, e nel caso in cui sia necessario gestire grandezze analogiche, il PLC può
ospitare delle schede di ingresso o di uscita sia analogiche che digitali.
Il PLC normalmente opera in rete con altri PLC, quindi sono necessarie delle schede di
comunicazione adatte al protocollo di rete già implementato sugli altri PLC.
Nel caso di operazioni di movimentazione il PLC ha delle schede molto veloci e sofisticate che
permettono di gestire spostamenti e posizionamento.
Alimentatore
L'alimentatore è un dispositivo necessario per il funzionamento dei PLC e può essere esterno o
interno ad esso. È utilizzato per fornire l'energia elettrica a tutte le schede del PLC.
CPU
La CPU è il cervello del PLC. Essa è una scheda complessa basata su un microprocessore con un
sistema operativo proprietario, e con una zona di memoria a disposizione del programma utente,
cioè del programma di automazione.
La memoria utente è spesso esterna e il suo vantaggio è legata alla semplicità di programmazione o
di modifica dello stesso.
La CPU durante il funzionamento, colloquia con tutte le schede connesse sul BUS del PLC,
trasferendo dati e comandi sia verso il mondo esterno, sia dal mondo interno.
Una delle caratteristiche delle CPU dei PLC è la loro capacità di poter gestire le modifiche del
programma di gestione del processo durante il normale funzionamento.
All'interno della CPU sono presenti varie parti, tra cui:
un’ unità di gestione, cioè informazioni di gestione del PLC stesso, impostate dal costruttore
e trasparenti all'utente;
un archivio di temporizzatori e contatori funzionali all'operatività del PLC;
delle memorie immagine del processo, cioè le informazioni in ingresso e i comandi in uscita
del processo;
delle memorie utente in cui vengono scritti i programmi che il PLC deve eseguire;
un’interfaccia per il dispositivo di programmazione che comunica con gli strumenti di
programmazione.
Schede di ingresso digitali
Le schede di ingresso digitali sono utilizzate per il controllo di grandezze "digitali". Ogni scheda
può gestire da 4 a 32 o 64 ingressi digitali differenti. I segnali dal campo vengono fatti arrivare con
cavi elettrici fino alla morsettiera della scheda ed ogni singolo canale è protetto da fusibili di
adeguato amperaggio.
Schede di uscite digitali
Le schede di uscita digitali sono utilizzate per i comandi di attuatori digitali. Ad esempio un relè è
un attuatore digitale, in quanto può avere soltanto due stati stabili. Anche nel caso di schede di
uscita digitali, si possono gestire da un minimo di 4 ad un massimo di 64 uscite digitali differenti.
Schede di ingresso analogiche
Questo tipo di schede di ingresso permettono il controllo di grandezze elettriche il cui valore può
variare entro un intervallo e sono disponibili con varie risoluzioni e con 1 o più ingressi disponibili
in morsettiera.
Schede di uscita analogiche
Le schede di uscita analogiche permettono di controllare degli attuatori variabili. Possono essere in
corrente o in tensione ed avere una determinata soluzione esprimibile in bit. Queste schede servono
per regolazioni di temperatura variando l’intervallo di uscita.
Schede di comunicazione
Il PLC, durante il suo funzionamento, può comunicare con computer, con altri PLC oppure con altri
dispositivi. La comunicazione con computer e altri dispositivi avviene tramite tipi di connessione
standard come RS232.
Linguaggio di programmazione
Il PLC per rispettare ai suoi compiti deve essere programmato. La sua programmazione è effettuata
con un PC, sul quale un software specializzato permette di creare programmi da scaricare nella
memoria della CPU del PLC.
Questi software di programmazione possono leggere il programma direttamente dalla memoria
della CPU, e visualizzare il programma sul PC.
All’interno del PLC è presente un convertitore analogico digitale, al quale vi arriva la temperatura
acquisita dal trasduttore.
Il convertitore analogico/Digitale (A/D) trasforma un segnale analogico in un codice binario.
L’ADC ha in ingresso un segnale analogico mentre l’uscita è costituita da una serie di bit.
Nel caso in cui prima dell’ADC ci sia il circuito Sample/Hold, l’ingresso è costituito da una serie di
campioni del segnale. Per passare da un segnale a una successione discreta di codici binari entra in
gioco la quantizzazione. Per prima cosa bisogna dividere l’intervallo dei valori del segnale in
sottointervalli. La quantizzazione consiste nell’associare un codice binario costituito da n bit, a ogni
intervallo dei valori Vi. La corrispondenza fra intervallo e codice binario viene descritta dalla
caratteristica di trasferimento. Infatti i valori della Vi che appartengono al medesimo intervallo sono
associati allo stesso codice binario.
Ad esempio, se abbiamo un convertitore A/D a 3 bit con la tensione compresa fra 0 e 8 V avremo:
3
Q = 2 = 8
e quindi il numero di codici binari esprimibili con 3 bit è 8.
Ora bisogna dividere l’intervallo dei possibili valori del segnale d’ingresso pari a 8 V in 8
sottointervalli della stessa ampiezza. A ognuno di questi associamo uno degli 8 codici binari e
3
quindi, nel nostro caso, ogni intervallo a un’ampiezza di 1 V. Questo perché 8/Q = 8 /2 = 8/8 = 1 V.
I primi due parametri degli ADC sono:
l’ampiezza massima (Vi ) del segnale d’ingresso che può essere convertito;
M
il numero n di bit con cui si effettua la codifica. n
Per la qualità del convertitore è importante il numero n di bit. Infatti Q = 2 rappresenta sia il
numero di codici esprimibili con n bit, sia in quanti intervalli è stato diviso il campo di valori
n
possibili della Vi. Così ogni intervallo ha l’ampiezza Vi /Q = Vi /2 .
M M
Questa ampiezza viene definita passo di quantizzazione. All’aumentare del numero n di bit
dell’ADC aumenta il numero di intervalli e la loro ampiezza diminuisce.
Parametri caratteristici dei convertitori A/D
La risoluzione (R) rappresenta la variazione della tensione d’ingresso in corrispondenza a una
variazione del bit meno significativo del codice binario. Nello stesso modo la risoluzione
rappresenta il passo di quantizzazione. Per l’esempio fatto precedentemente, se il codice binario
subisce una variazione del bit meno significativo, avremo che il nuovo codice rappresenta
l’intervallo precedente o successivo in base a che la variazione sia stata una diminuzione o un
incremento. I valori compresi fra 3 e 4. Ad esempio se prendiamo il codice 00 e abbiamo un
incremento del bit meno significativo, 101 rappresenta tutti i valori compresi fra 5 e 6. Al contrario,
R
se c’è una diminuzione del bit meno significativo, il codice 011 rappresenta La risoluzione vale
R%
n
= Vi /Q = Vi /2 e siccome può essere espressa anche in percentuale avremo: = (R/ Vi )100 =
M M M
n
100/2 .
L’errore di quantizzazione ( incertezza) definisce il livello di imprecisione della corrispondenza
fra il codice binario e il segnale d’ingresso. Questo livello è dovuto al fatto che a ogni codice
binario viene associato l’insieme dei valori appartenenti al passo di quantizzazione anziché un unico
valore della tensione d’ingresso.
L’errore massimo di quantizzazione è uguale alla risoluzione e al passo di quantizzazione, se il
valore della Vi rappresentato dalla parola di codifica è l’estremo inferiore dell’intervallo e, quindi,
avremo: R
e =
M
Facciamo delle considerazioni:
siccome 010 rappresenta i valori compresi tra 2 e 3 V e il valore esatto è 2 V, l’errore massimo che è
possibile commettere, associando 010 a qualsiasi valore della Vi compreso tra 2 e 3 V è di 1 V. Se la
Vi vale 2 V l’errore vale 0; allo stesso modo, se la Vi vale 2.5 l’errore vale 0.5 e così via. È proprio
per questo che l’errore cresce quando Vi si avvicina all’estremo superiore dell’intervallo
rappresentato dal codice. L’andamento dell’errore, in funzione della tensione di ingresso Vi, la
possiamo visualizzare nel seguente diagramma:
e
Come possiamo vedere, vale zero quando la Vi è pari all’estremo inferiore di ogni intervallo. Al
contrario, l’errore aumenta linearmente, fino al suo valore massimo, quando Vi raggiunge l’estremo
superiore dell’intervallo.
L’errore massimo che si può commettere viene dimezzato se il valore della Vi rappresentato dal
codice è al centro dell’intervallo di quantizzazione; quindi avremo:
R/2
e =
M
Infatti, se prendiamo il passo di quantizzazione in modo che 010 rappresenti l’intervallo di valori
della Vi compresi fra 1.5 e 2.5 V, avremo che l’errore vale zero se la tensione d’ingresso Vi vale 2
V; in modo analogo avremo che l’errore vale 0.15 V se la tensione d’ingresso vale 2.15 V. Negli
estremi dell’intervallo, invece, abbiamo che l’errore è 0.5 V se la Vi vale 1.5 V e – 0.5 V se la Vi
vale 1.5; quindi otteniamo che l’errore massimo, in questo caso, è 0.5 V:
e = 0.5 V
M
L’andamento dell’errore, in funzione della tensione d’ingresso è il seguente:
Possiamo notare che l’errore vale 0 quando la Vi è pari al valore centrale di ogni intervallo. Oltre a
ciò, l’errore aumenta linearmente fino ad arrivare al suo valore massimo, pari alla metà della
risoluzione negli estremi dell’intervallo. Per ridurre l’errore di quantizzazione bisogna aumentare il
numero di bit dell’A/D in modo da far diminuire l’ampiezza del passo di quantizzazione.
Il tempo di conversione è il tempo necessario al convertitore analogico digitale per convertire il
valore della tensione d’ingresso in un codice binario. Tc è il periodo di campionamento e, a
intervalli regolari di esso, arrivano la successione dei campioni del segnale d’ingresso Vi da
convertire. Sappiamo che la frequenza di campionamento vale:
fc = 1/Tc
e deve soddisfare la condizione di Shannon: fc > 2 f M
f
dove di tempo tra un campione e quello successivo deve
M è la frequenza o banda del segnale. L’intervallo
valere al massimo: Tc < 1/2 f M