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Storia
La prima rivoluzione industriale
Introduzione e analisi del termine
Cronologia e aspetti della rivoluzione industriale
Fattori della rivoluzione industriale inglese
Premesse e conseguenze nel mercato estero
Le conseguenze della rivoluzione industriale
Nascita del proletariato urbano e le sue condizioni di vita
Trasformazione delle città in termini urbanistici
Trasformazioni del paesaggio
Le nuove componenti sociali e la lotta di classe
Il tramonto dei vecchi ceti sociali e l’ascesa della borghesia capitalista
La nascita del proletariato
Il movimento operaio
I sindacati come interpreti delle esigenze del nuovo ceto produttivo
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Storia
La prima rivoluzione industriale
Introduzione e analisi del termine
L’espressione “rivoluzione industriale” fu consacrata nell’uso scientifico da quando figurò come titolo del
libro pubblicato nel 1886 dallo storico inglese Arnold Toynbee, ma era già comunemente impiegata da molti
decenni. Nel suo grande successo fin dall’inizio del XIX secolo è implicito un confronto con la rivoluzione
francese, di cui la rivoluzione industriale inglese era una sorta di omologo: in Francia furono sconvolte le
strutture politiche e sociali mentre in Inghilterra era toccata la stessa sorte alle strutture economiche e
produttive.
Il termine “rivoluzione” vuole suggerire una trasformazione profonda avvenuta secondo tempi
particolarmente rapidi. Per parlare correttamente di rivoluzione industriale bisogna prima di tutto mettere
bene in evidenza quelli che sono i caratteri di una società industriale in rapporto a una società agricola, al
fine di presentare il passaggio dall’una all’altra come una forte discontinuità che merita il nome di
rivoluzione , se si è prodotta in un arco di tempo relativamente breve.
Un processo di industrializzazione implica tre aspetti evidenti:
1) un ritmo di aumento della popolazione industriale piuttosto rapido, più rapido comunque del ritmo di
aumento della popolazione;
2) un tasso di crescita molto significativo nella produzione agricola, seppure inferiore a quello
industriale che dipende dalla concomitanza dell’industrializzazione con la crescita demografica, ma
in parte anche dal trasferimento della forza lavoro dall’agricoltura all’industria. Rilevante nel settore
agricolo l’aumento della produttività del lavoro fu vertiginoso in quello industriale.
3) l’aumento della produttività si spiega a sua volta con l’introduzione di macchine capaci di aumentare
la produzione per addetto in una data unità di tempo.
Accanto ai tre elementi fin qui ricordati dobbiamo porre, per avere un quadro veramente completo, anche gli
altri sette indicati dalla studiosa di storia economica Phyllis Deane:
1) l’applicazione diffusa e sistematica della conoscenza tecnologica allo sviluppo delle attrezzature
produttive;
2) l’aumento della produzione diretta ai mercati nazionali e internazionali e la corrispondente
diminuzione di quella diretta all’autoconsumo o ai mercati locali;
3) un considerevole aumento del tasso di urbanizzazione;
4) la crescita delle dimensioni dell’unità di produzione e la sua spersonalizzazione;
5) lo spostamento del lavoro dalle attività agricole a quelle che producono beni industriali e servizi;
6) l’impiego intensivo ed estensivo dei beni capitali in sostituzione e a completamento del lavoro
umano;
7) la nascita di nuove classi sociali create dalla diffusione dei nuovi mezzi di produzione, e in
particolare il proletariato urbano e i capitalisti imprenditori.
Cronologia e aspetti della rivoluzione industriale
Nei primi anni del XIX secolo, dopo che la rivoluzione industriale era già stata avviata da più di una
generazione, il proletariato urbano era ancora lontano dall’essere il tipo sociale più comune di forza-lavoro e
la grande fabbrica con oltre 100 operai non aveva fatto sparire in tutti i settori la piccola industria
manifatturiera con caratteristiche ancora simili a quelle della bottega artigiana.
Quanto detto può far riflettere sull’opportunità di usare il termine “rivoluzione”, visto che solo alla metà del
XIX secolo l’Inghilterra potrà dire di aver subito una compiuta trasformazione in senso industriale.
L’inizio, fissato di solito nel ventennio 1760-80, è stato più o meno retrodatato e si è proposto un processo di
più lenta durata, che occupa almeno l’arco di tempo che va dal 1650 al 1850. Ci sono altre questioni che
fanno assumere importanza al problema della cronologia del processo di industrializzazione: ci si può
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chiedere perché fu proprio l’Inghilterra il primo paese a industrializzarsi e quali furono le cause di questo
fenomeno e se ce n’è una più rilevante delle altre, poi si ci fu un settore di sviluppo industriale di punta, che
con la sua crescita trascinò tutti gli altri, o se invece la rivoluzione industriale avvenne simultaneamente in
molti settori che si rinforzavano vicendevolmente.
Fattori della rivoluzione industriale inglese
Fattore di fondamentale importanza per lo sviluppo della Rivoluzione industriale in Inghilterra fu
l'agricoltura; infatti l'Inghilterra fu la prima ad avere una agricoltura di mercato (non per auto-consumo ma
per profitto) che, unita all'innovazione tecnologica, eliminò molta manodopera dalle campagne facendola
rifluire verso la città dove troverà occupazione nella nascente industria. Ma il fenomeno delle enclosures, per
cui molta terra demaniale lasciata al libero pascolo venne privatizzata e recintata, privò i contadini più poveri
del libero diritto di pastorizia e li spinse a trovare nuovo impiego nelle fabbriche. Altro importante fattore è
la rivoluzione agricola sviluppatasi nel corso del Settecento, che con sistemi di avanguardia, come la
rotazione programmata delle colture, agevolò lo sviluppo industriale e demografico.Le nuove tecniche di
filatura e tessitura rimpiazzarono, malgrado iniziali resistenze, il lavoro a domicilio, basato su tecniche
manuali, e portano alla costruzione di fabbriche nelle quali i nuovi macchinari venivano messi in funzione e
verso le quali converge la forza lavoro. Nasce così il capitalismo industriale.
Anche altri fattori contribuirono allo sviluppo industriale. L’Inghilterra godeva in effetti di alcuni vantaggi: il
primo era costituito dall’abbondanza delle risorse minerarie di carbone e ferro, anche se, secondo alcuni
studiosi, l’incremento del carbone e del ferro appare piuttosto un effetto che non una causa della rivoluzione
industriale. Un altro vantaggio fu la scoperta precoce di macchine che aiutarono il lavoro dell’uomo. Benché
nota fin dal XVI secolo, la macchina a vapore si sviluppò, agli inizi del XVIII secolo, con le sperimentazioni
di Savery e di Thomas Newcomen per la costruzione di pompe a vapore, utilizzate per evacuare l’acqua dalle
miniere di carbone e di rame. Fu però James Watt a costruire il primo vero modello di macchina a vapore
(1769), che divenne il simbolo della rivoluzione industriale, migliorando quella di Newcomen. Solo nel
1782, Watt chiarì come trasformare il movimento d’oscillazione in movimento circolare permettendo, grazie
anche all’apporto di John Roebuck e di Mathew Boulton, un utilizzo pratico della macchina a vapore. A
questo punto, vapore e carbone divennero gli strumenti del progresso.
La macchina a vapore
Premesse e conseguenze nel mercato estero
Infine, significativo per lo sviluppo industriale fu il commercio estero. Questo assunse un ruolo
considerevole nella rivoluzione industriale soprattutto perché procurò la materia prima costituita dal cotone
grezzo, mentre la lana, il carbone e il ferro erano tutti di produzione nazionale. Già molto tempo prima della
rivoluzione industriale lo sviluppo economico inglese era stato fortemente legato al commercio estero.
L’intero mercato britannico costituiva verso il 1770 il più vasto e integrato complesso economico del mondo;
all’interno delle isole britanniche non esistevano dazi doganali di nessun genere e la libera circolazione delle
merci era la regola assoluta.
La ricerca di una causa unica per il processo di industrializzazione inglese è destinata a non avere molto
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successo. Come documenta l’analisi condotta, i fattori che portarono all’industrializzazione furono
molteplici e inoltre utilizzando la terminologia proposta nel 1960 dall’economista americano Walt W.
Rostow possiamo dire che il “decollo” (take off) verso l’industrializzazione fu preceduto da una lunga
rincorsa nel XVII secolo e da un’accelerazione nel XVIII, anche se è nel trentennio 1760-90 che avvenne
una vera trasformazione qualitativa di tutte le strutture economiche.
Le conseguenze della rivoluzione industriale
Nascita del proletariato urbano e le sue condizioni di vita
L’aumento della popolazione e più ancora la trasformazione dell’agricoltura in un sistema di tipo
capitalistico furono all’origine del nuovo proletariato industriale urbano.
Secondo una definizione generalmente accettata dagli studiosi un proletario è un uomo che non possiede
mezzi di produzione e che percepisce un salario come rimunerazione del lavoro fornito; se il lavoro diventa
una merce come tutte le altre e se esiste un mercato del lavoro sufficientemente sviluppato, il livello del
salario sarà determinato dalla situazione della domanda e dell’offerta: quando la domanda di lavoro da parte
degli imprenditori cresce, anche il salario tenderà a innalzarsi, quando c’è una eccedenza di offerta di lavoro
da parte dei salariati il prezzo del lavoro tenderà a comprimersi.
Il lavoro salariato dominava senza ostacoli in tutti i casi in cui non era richiesto nemmeno un minimo di
specializzazione. Ci fu un problema relativo all’origine sociale degli operai salariati che cominciarono a
popolare le fabbriche delle nuove città industriali negli ultimi decenni del Settecento. Inizialmente la forza-
lavoro salariata era stata spesso fornita dalla popolazione marginale dei poveri e vagabondi.
Con la legislazione inglese del Seicento, la migliore d’Europa sia per spietatezza repressiva che per
efficienza assistenziale, cominciò allora quella che è stata chiamata l’epoca della “grande deportazione” nelle
case di lavoro: ai “poveri validi”, cioè ritenuti in grado di compiere un lavoro utile, vennero sempre più
negati i sussidi della carità pubblica e si poneva loro l’alternativa di vivere nella forma più miserabile della
povertà (duramente repressa) o in reclusione negli “ospedali dei poveri”. Qui ad attenderli c’era il lavoro
coatto e condizioni di vita durissime, tanto che questi ospedali erano considerati una terribile minaccia per
chi non riusciva a trovarsi un lavoro.
Almeno per le condizioni di vita disumane e la completa sottomissione a una disciplina ferrea si può dire che
esista una certa continuità fra tali workhouses e le prime fabbriche nel senso moderno della parola.
Si può pensare che lo sviluppo dell’industria si accompagnò ad un aumento di una popolazione marginale e
sradicata: in primo luogo perché la macchina viene vista come causa diretta della proletarizzazione in quanto
consentiva una produzione a costi assai bassi e perciò mandò in rovina l’intero mondo degli artigiani,
costringendoli a declassarsi e a entrare nel mondo del proletariato.
Si ritiene inoltre che l’origine del proletariato moderno sia da ricondurre alle campagne dove, espulsi dalla
terra, un gran numero di contadini si sarebbero riversati nelle città come masse proletarizzate pronte ad
accettare le più dure condizioni di lavoro.
Il problema dell’origine del proletariato si combina con quello delle condizioni di vita degli operai delle
industrie. I salari industriali erano di solito più alti di quelli agricoli, e ciò deve indurre a credere che
l’urbanizzazione non fosse solo il risultato di un’espulsione dalle campagne, ma anche di una vera forza di
attrazione della città.
La città anonima e la fabbrica alienante resero il lavoro assai più penoso che in passato. Le prime agitazioni