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Questa tesina di maturità descrive lo sport del pugilato, che è stato definito anche la noble art. Gli argomenti che la tesina tratta sono: in Italiano Pasolini e Saviano, Teatro e Pugilato, in Storia la rivolta di Boxer, il nazionalismo cinese, in Filosofia la volontà di potenza nel pugilato, in Inglese Ernest Hemingway, in Francese Arthur Cravan , in Spagnolo Osvaldo Soriano, in Educazione fisica il regolamento del pugilato.
Italiano: Pasolini e Saviano, Teatro e Pugilato.
Storia: La rivolta di Boxer e il nazionalismo cinese.
Filosofia: La volontà di potenza nel pugilato.
Inglese: Ernest Hemingway.
Francese: Arthur Cravan .
Spagnolo: Osvaldo Soriano.
Educazione fisica: Il regolamento del pugilato.
IL PUGILATO, NON SOLO UNO SPORT MA ANCHE UNA FILOSOFIA DI VITA
Ogni sport richiede impegno , preparazione , attitudine, forza fisica e una buona dose di
intelligenza, ma nessun sport al mondo è cosi feroce da chiederti il 100% di te stesso in ogni istante
come fa il pugilato. Il ring è come una gabbia nella quale si sceglie di entrare e dalla quale nessuno
può fuggire perché sarebbe come fuggire da se stessi e un uomo non può permetterselo. Non è
necessario essere dei professionisti e affrontare dodici riprese da tre minuti ognuna per rendersi
conto quanto sudore, sacrificio e concentrazione siano necessari per salire su quel quadrato magico;
un solo round di 180 secondi sembrerà una montagna insormontabile anche per l’alpinista più
esperto e preparato del mondo, o rugbista , o calciatore e cosi’ via. Questa non deve essere una gara
tra sport, ma solo un piccolo esempio di come questo sport richieda tutto ciò che abbiamo. La
preparazione per un incontro è faticosissima, senza contare i dolori e gli infortuni ai quali si può
andare incontro, che possono cosi’ impedire gli allenamenti.
Il pugilato inoltre ti insegna a controllare le emozioni e a sfogare le proprio energie negative in
palestra e non per strada come molti possono pensare. Ti permette di conoscere te stesso a 360’ ,
consentendoti cosi’ un maggiore autocontrollo nella vita di tutti i giorni e riuscendo cosi’ ad
affrontare i problemi più facilmente . Molti vedono il pugilato como uno sport violento, ma la
violenza in realtà è ben altro: la violenza è una partita di calcio dove i giocatori si comportano in
modo scorretto e ci sono tifoserie che si insultano e picchiano; la politica è violenza, nei confronti
della gente che non riesce ad arrivare a fine mese, e non la boxe, non la “noble art” che è un
esempio perfetto di metafora della vita. Uno sport dove oltre la lotta fisica ,c’è quella psicologica tra
due persone che hanno sacrificato molto di loro per arrivare alla VITTORIA. Dopo l’incontro
però ,c’è il classico abbraccio tra i due “guerrieri” , dimostrando quanto rispetto c’è in questo sport
tra avversari. Perché praticare pugilato e qual’è il suo fascino? Il pugilato funziona al contrario della
vita .Sul ring vai incontro al dolore e vai incontro con tutta la forza che puoi per incassare il meglio
possibile senza mai indietreggiare, con la consapevolezza che tutto quello che potrebbe farti male ce
l'hai davanti, che niente ti colpirà alla nuca approfittando di una distrazione momentanea, che
nessuno giocherà alle tue spalle. Non ci sono traditori sul ring, nessuna bugia in quel quadrato,
perché il pugilato è onore ed insegna a crescere, ad essere uomini. Il pugilato è magia, è la follia di
rischiare tutto per un sogno che nessuno vede, tranne te.
PUGILATO ED ARTE: UN CONNUBBIO PERFETTO
Perché la boxe sembra essere uno degli sport in assoluto più «artistici»? Perché il ring è
essenzialmente l’immagine della drammaticità della vita e dei suoi conflitti. Se tutto lo sport è epica
e teatro, il pugilato — per le sue caratteristiche di individualità, lotta diretta, fisicità,
coinvolgimento, crudezza, prova di resistenza e insieme di agilità — è l’immagine del dramma,
della tensione della vita verso una liberazione o un riscatto. Il ring svela i contrasti nella loro
crudezza e immediatezza, concentra le tensioni della vita e le rappresenta. Ma soprattutto le
rappresenta fisicamente non idealisticamente. Il pugilato non è lotta di idee, ma di carne, sudore e
sangue, che però vengono assunti dentro uno spazio delimitato e sottomessi a regole precise. Forse
solamente la corsa, tra le altre discipline sportive, riesce a condensare per molte persone con la
stessa intensità l’essenza simbolica della vita. Ogni incontro porta con sé la metafora della sfida
quotidiana, della «lotta per la vita». Per questo spesso i personaggi prediletti nel pugilato
rappresentato nell’arte non sono gli «invincibili», i trionfatori, ma coloro che alternano momenti di
gloria e momenti di sconfitta. A volte proprio il dramma della sconfitta ha un potenziale espressivo
elevatissimo, come nel caso del film Toro scatenato di Scorsese, ma anche di Million Dollar Baby
di Eastwood, che mette in scena il pugilato femminile e lo fa con crudezza. Non è l’abile uso della
violenza, in realtà, a costituire il significato dell’azione, dunque. Certo, la rappresentazione
oggettiva è quella di un uomo che dà dei pugni a un altro uomo, il quale a sua volta si difende e
attacca. Eppure la situazione del ring così com’è rappresentato in letteratura, cinema, teatro o
pittura, è soprattutto «altro», e la violenza diventa metafora. Come si è già visto nel caso di Ali e
Foreman o di Entello e Darete, ma anche nel caso della lotta tra Jake LaMotta e Ray «Sugar»
Robinson, la sfida più appassionante non è tra due picchiatori poderosi,ma quella tra un pugile
massiccio che si impone per la stazza e la potenza fisica, e uno agile che lavora di tattica e di
intelligenza. In tal modo si viene a creare una sorta di dialettica tra massa e agilità, tra potenza e
intelligenza, che rende in maniera schematica le energie profonde di ogni essere umano. E tutto ciò
non ha nulla a che fare con certo estetismo vitalistico che a volte si pratica in maniera puramente
funzionale per sviluppare muscoli divenuti praticamente inutili nella vita di tutti i giorni. Nel caso
degli allenamenti descritti nelle opere letterarie o cinematografiche citate, tutto è funzionale non a
un esercizio fine a se stesso o all’aspetto fisico, ma a una lotta in cui il corpo è messo a dura prova.
Come si è detto, il pugile non ha nessuna preoccupazione di sviluppare i suoi muscoli
semplicemente per essere ammirato nel suo fisico: il suo obiettivo è l’azione credibile, non innocua,
coraggiosa. Joyce Carol Oates, grande scrittrice statunitense che della boxe ha scritto spesso e in
maniera illuminante, afferma:«Se la parola sport infatti sta per gioco innocuo, la boxe di certo non è
uno sport, né certamente è un gioco. Ma “sport” può anche essere un paradigma della vita, una
riduzione di tutte le complessità dell’esistenza nei termini di un unico simbolico atto […], definito e
contenuto entro un certo numero di regole, nome e costumi: nel qual caso la boxe con tutta
probabilità è, per usare le parole di George Foreman, lo sport a cui tutti gli altri aspirano. È la quinta
essenza della lotta umana, maschile o no, non solo contro un avversario, ma anche contro il proprio
io diviso».
IL PUGILATO COME RISCATTO SOCIALE
In America, da quando fu abolita la schiavitù si venne a creare una convivenza forzata tra bianchi e
neri. I neri vissero per molto tempo in condizioni a dir poco drammatiche: abitavano in veri e propri
ghetti e non potevano fare nulla insieme ai bianchi. Fino a metà degli anni '60 in molti stati degli
USA erano in vigore leggi che discriminavano duramente i neri, negando loro i più elementari
diritti civili. La lotta dei neri d'America per l'emancipazione, per l'affermazione dalla propria
dignità e delle proprie origini fu uno dei grandi episodi della storia fino agli anni ‘60. Bianchi e
neri erano divisi in ogni attività quotidiana della società civile: si acquista in supermercati e negozi
diversi, si mangia in ristoranti separati, si soggiorna in hotel distinti, le scuole sono diverse: bianchi
e neri sono diversi, pertanto non possono stare insieme o, se stanno insieme, i neri devono
comunque essere riverenti, portare rispetto ai bianchi e seguire certe regole. Molto importante per i
neri sotto questo punto di vista il pugilato, che rappresentava un forte riscatto sociale.
Uno dei casi più singolari di un uomo nero che attraverso il pugilato divenne campione del mondo
dei pesi massimi e famoso in tutto il mondo fu Jack Jonhson.
Arthur John "Jack" Johnson ( 1878-1946) nacque nel 1878 a Galveston, in Texas - e con poca
fantasia soprannominato il gigante di Galveston - da genitori molto poveri, ex schiavi. Lasciò da
bambino la scuola, per cominciare a lavorare come portuario. Il debutto da professionista lo fece nel
1897; dopo decine di incontri - e vittorie - contro avversari bianchi e afroamericani, nel 1903
conquistò il titolo mondiale dei pesi massimi 'di colore' (World Colored Heavyweight Champ).
Per diventare campione del mondo dei pesi massimi dovette aspettare diversi anni: l'allora detentore
del titolo, James Jeffries, si rifiutò di combattere contro di lui. Poi però, dopo la vittoria di Johnson
sul canadese Tommy Burns, nel 1910 ci fu il "combattimento del secolo" con Jeffries, che si era
ritirato da imbattuto, ma che decise di tornare sul ring su pressione dei media e della società, per
difendere l'orgoglio bianco. Johnson, però, dominò l'incontro. Il film-documentario della sfida che
fu seguita da rivolte e scontri in tutto il Paese fu a lungo vietato negli Stati Uniti. L'esito del match
fomentò diversi tumulti razziali in gran parte degli Stati Uniti; dal Texas al Colorado, da New York
a Washington, si susseguirono episodi di violenza razziale in tutto il Paese. La vittoria di Johnson
sul "bianco" Jeffries distrusse il sogno dei razzisti di aver trovato la "great white hope"
(letteralmente la "grande speranza bianca") in grado di sconfiggere il campione negro. Molti bianchi
si sentirono umiliati dalla sconfitta patita da Jeffries.
La gente di colore, al contrario, era al settimo cielo, e celebrò la vittoria di Johnson come una
conquista del movimento per l'emancipazione razziale. Il poeta William Cuney rievocò la reazione
del popolo dei neri alla vittoria di Johnson nel suo poema My Lord, What a Morning. In America, le
persone di colore uscirono addirittura per le strade in processioni festanti ed improvvisate e alcune
di loro si riunirono in gruppi di preghiera per ringraziare Dio. In alcune città, come Chicago, la
polizia non disturbò le celebrazioni. Ma in altre città, la polizia, insieme ad orde di cittadini di razza
bianca indignati, cercò di far cessare le manifestazioni di giubilo. Gli agenti di polizia dovettero
interrompere decine di tentativi di linciaggio ai danni di cittadini di colore. Nel complesso, i
"disordini" ebbero luogo in più di 25 Stati e in 50 città. Circa 23 afroamericani e due bianchi
morirono durante atti di violenza, e centinaia di persone rimasero ferite.
Poi cinque anni dopo, nel 1915, perse il titolo contro Jess Willard, cowboy del Kansas. Johnson
mori’ il 10 giugno 1946 in un incidente automobilistico all’età di 68 anni. Nel 1971 il celebre
jazzista Miles Davis gli dedicò l'album A Tribute to Jack Johnson, colonna sonora dell'omonimo
documentario. Al termine dell'ultima traccia, Yesternow, l'attore Brock Peters, impersonando
Johnson, dice: «I'm Jack Johnson. Heavyweight champion of the world. I'm black. They never let
me forget it. I'm black all right! I'll never let them forget it!» ("Io sono Jack Johnson. Campione del
mondo dei pesi massimi. Sono nero. Non mi hanno mai permesso di dimenticarlo. In ogni caso io
sono nero! E non permetterò mai che lo dimentichino!")
Un altro caso famoso di un nero diventato campione del mondo di pugilato che portò orgoglio ai
neri in tutto il mondo fu Muhammad Ali’. Muhammad ali’ ( il suo primo nome fu Cassius Clay,
poi con la conversione al Islam cambiò il suo nome in Muhammad Ali’) è nato nel 1942 a
Louisville da genitori cristiani. Ali’ è riuscito a vincere l'oro Olimpico ai Giochi di Roma nel 1960,
come pugile professionista ha detenuto il titolo mondiale dei pesi massimi dal 1964 al 1967, dal
1974 al 1978 . Un uomo fatto per esaltare i fratelli di colore e irritare i benpensanti bianchi, ai quali
la sua lingua lunga dà molto fastidio. È famoso, invincibile, ed è negro: negro, non nero, perché
nell'America degli anni '60 l'uguaglianza è ancora un miraggio. Quando poi diventa anche
musulmano, si conquista un plus di antipatia.
La bomba esplode quando, il 28 aprile 1967, Ali si rifiuta di indossare la divisa per andare a