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CENNI BIOGRAFICI: Martin Heidegger nacque a Messkirch, nel Baden-
Württemberg, il 26 settembre 1889. Dopo aver cominciato studi di teologia a
Friburgo in Brisgovia, cambiò facoltà per dedicarsi allo studio delle scienze
naturali, della matematica e della filosofia. I suoi primi interessi filosofici si
orientano verso lo studio del pensiero aristotelici e di quello di Husserl. Nel
La dottrina
1913 conseguì il dottorato discutendo una dissertazione dal titolo
del giudizio nello psicologismo, in cui polemizza con la concezione
psicologistica della logica. Nel 1915 ottenne la libera docenza con un lavoro
La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto.
su Nello stesso anno,
venia legendi Il concetto di tempo nella
consegue la con una lezione sul tema
scienza della storia. Nel 1915 fu chiamato a prestare servizio militare dal quale
si congedò nel 1918, potendo peraltro mantenere i contatti con l'università. Nel
1919, ritornato a Friburgo, cominciò la sua collaborazione con Husserl del quale
capolavoro,Essere e tempo
divenne assistente e al quale dedicò il suo (1927).
Professore prima a Marburgo, poi a Friburgo, e per breve tempo rettore di
questa Università, Heidegger si tenne appartato dalla cultura ufficiale nel
periodo del nazismo, per quanto in un discorso pronunciato da lui come rettore
L'autoaffermazione dell'università tedesca,
nel 1933, traspaiano i suoi legami
con il regime. Il discorso suscitò reazioni negative nell'ambiente filosofico
internazionale, tanto che fu bollato da Benedetto Croce, in un articolo apparso
La critica, Essere e tempo
su come «indecente e servile». rimase incompiuto e
nel 1930 i suoi scritti subiscono una svolta, che si vede negli scritti seguenti,
come per esempio in “introduzione alla metafisica (1956).
Heidegger è morto a Messkirch il 26 maggio del 1976.
"Benché la rinascita della 'metafisica' sia
COMMENTO ALL’OPERA:
considerata una conquista del nostro tempo, tuttavia il problema
dell'essere è purtroppo dimenticato". Così inizia l'opera più famosa di
Heidegger, Essere e tempo. Heidegger imposta la questione del problema
dell'essere - che considera "oscura e aggrovigliata" -, indagando e analizzando
"quell'ente che noi che cerchiamo, già siamo". La metafisica si presenta nel
primo Heidegger come analisi dell'Esserci, cioè di quell'essere, appunto, "che
noi stessi già siamo, e che ha, fra le altre possibilità, quella del cercare". Come
viene detto in questo passo, l'Esserci è caratterizzato, nel suo essere-nel-
mondo, dall'essere-per-la-morte. Se l'Esserci è definito dalla possibilità di
essere, la morte gli si presenta come il limite e la negazione di questa
possibilità e gli chiede di accettare l'essere per la morte come "orizzonte in cui
si iscrive la sua vita". Il "Si muore" cerca di esorcizzare l'angoscia davanti alla
morte, di tranquillizzare gli uomini, ma Heidegger considera inautentico questo
approccio all'essere-per-la-morte, che, invece, richiede all'uomo di progettarsi
sapendo quale è la possibilità estrema che gli appartiene. Sapendo che non
può solidificarsi su nessuna delle situazioni esistenziali raggiunte.
Per Heidegger l'esistenza è autentica quando è pervasa dall'angoscia che
scaturisce dal prendere coscienza della nostra finitudine: questo è il "vivere-
per-la-morte", che ha dunque una valenza altamente positiva, in quanto rende
autentiche le scelte e, con esse, la vita (cosa che non potrebbe avvenire in una
prospettiva di vita eterna). E tuttavia possiamo vivere come fatto solamente la
morte altrui, mentre la nostra la viviamo sempre e soltanto come possibilità
solo nostra, nella consapevolezza che, prima o poi, essa ci coglierà. Ne
consegue che la morte ha per noi un significato non come fatto, ma come
possibilità.
L’ESSERE-PER-LA-MORTE DI MARTIN HEIDEGGER
La morte sovrasta l'esserci. La morte non è affatto una semplice presenza non
ancora attuatasi, non è un mancare ultimo ridotto ad minimum, ma è, prima di
tutto, un'imminenza che sovrasta. Ma all'esserci, come essere-nel-mondo,
sovrastano molte cose. Il carattere d'imminenza sovrastante non è esclusivo
della morte. Un'interpretazione del genere potrebbe far credere che la morte
sia un evento che s'incontra nel mondo, minaccioso nella sua imminenza. Un
temporale può sovrastare come imminente; la riparazione d'una casa, l'arrivo
d'un amico, possono essere imminenti; tutte cose, queste, che sono semplici-
presenze o utilizzabili o compresenze. Il sovrastare della morte non ha un
essere di questo genere. [...] La morte è una possibilità di essere che l'esserci
stesso deve sempre assumersi da sé. Nella morte l'esserci sovrasta se stesso
nel suo poter-essere più proprio. In questa possibilità ne va per l'esserci
puramente e semplicemente del suo essere-nel-mondo. La morte è per l'esserci
la possibilità di non-poter-più-esserci. Poiché in questa possibilità l'esserci
sovrasta se stesso, esso viene completamente rimandato al proprio poter-
essere più proprio. In questo sovrastare dell'esserci a se stesso, dileguano tutti
i rapporti con gli altri esserci. Questa possibilità assolutamente propria e
incondizionata è, nel contempo, l'estrema. Nella sua qualità di poter-essere,
l'esserci non può superare la possibilità della morte. La morte è la possibilità
della pura e semplice impossibilità dell'esserci. Così la morte si rivela come la
possibilità più propria, incondizionata e insuperabile. Come tale è
un'imminenza sovrastante specifica. [...] Questa possibilità più propria,
incondizionata e insuperabile, l'esserci non se la crea accessoriamente e
occasionalmente nel corso del suo essere. Se l'esserci esiste, è anche già
gettato in questa possibilità. [...]. L'esser-gettato nella morte gli si rivela nel
modo più originario e penetrante nella situazione emotiva dell'angoscia.
Un'angoscia davanti alla morte è angoscia davanti al poter-essere più proprio,
incondizionato e insuperabile. [...] L'angoscia non dev'essere confusa con la
paura davanti al decesso. Essa non è affatto una tonalità emotiva di
'depressione', contingente, casuale, alla mercé dell'individuo; in quanto
situazione emotiva fondamentale dell'esserci, essa costituisce l'apertura
dell'esserci al suo esistere come esser-gettato per la propria fine. Si fa così
chiaro il concetto esistenziale dei morire come esser-gettato nel poter-essere
più proprio, incondizionato e insuperabile, e si approfondisce la differenza
rispetto al semplice scomparire, al puro cessare di vivere e all'esperienza
vissuta dei decesso. [...] Un'interpretazione pubblica dell'esserci dice: "Si
muore"; ma poiché si allude sempre a ognuno degli Altri e a noi nella forma dei
Si anonimo, si sottintende: di volta in volta non sono io. Infatti il Si è il nessuno.
[...] Il morire, che è mio in modo assolutamente insostituibile, è confuso con un
fatto di comune accadimento che capita al Si. Questo tipico discorso parla della
morte come di un "caso" che ha luogo continuamente. Esso fa passare la morte
come qualcosa che è sempre già "accaduto", coprendone il carattere di
possibilità e quindi le caratteristiche di incondizionatezza e di insuperabilità.
Con quest'equivoco l'esserci si pone nella condizione di perdersi nel Si proprio
rispetto al poter-essere che più di ogni altro costituisce il suo se-Stesso più
proprio. Il Si fonda e approfondisce la tentazione di coprire a se stesso l'essere-
per-la-morte più proprio. Questo movimento di diversione dalla morte
coprendola domina a tal punto la quotidianità che, nell'essere-assieme, "i
parenti più prossimi" vanno sovente ripetendo al "morente" che egli sfuggirà
certamente alla morte e potrà far ritorno alla tranquilla quotidianità del mondo
di cui si prendeva cura. Questo "aver cura" vuol così "consolare il morente". Ci
si preoccupa di riportarlo nell'esserci, aiutandolo a nascondersi la possibilità del
suo essere più propria, incondizionata e insuperabile. Il Si si prende cura di una
costante tranquillizzazione nei confronti della morte. In realtà ciò non vale solo
per il "morente" ma altrettanto per i consolanti. [...] Il Si non ha il coraggio
dell'angoscia davanti alla morte. [...] Nell'angoscia davanti alla morte, l'esserci
è condotto davanti a se stesso in quanto rimesso alla sua possibilità
insuperabile. Il Si si prende cura di trasformare quest'angoscia in paura di
fronte a un evento che sopravverrà. Un'angoscia, banalizzata equivocamente in
paura, è presentata come una debolezza che un esserci sicuro di sé non deve
conoscere. [...] Un essere-per-la-morte è l'anticipazione di un poter-essere di
quell'ente il cui modo dì essere è l'anticiparsi stesso. Nella scoperta anticipante
di questo poter-essere, l'esserci si apre a se stesso nei confronti della sua
possibilità estrema. Ma progettarsi sul poter essere più proprio significa poter
comprendere se stesso entro l'essere dell'ente così svelato: l'anticipazione
dischiude all'esistenza, come sua estrema possibilità, la rinuncia a se stessa,
dissolvendo in tal modo ogni solidificazione su posizioni esistenziali raggiunte.
GABRIELE D’ANNUNZIO
CENNI BIOGRAFICI: Nasce a Pescara 12 marzo 1863 da facoltosa famiglia
borghese.
Nel 1879 appena sedicenne pubblica la sua prima raccolta poetica “primo
vere” di ispirazione carducciana, ma già caratterizzata da una originale
sensualità.
Nel 1880 pubblica la notizia della propria morte; dopo i necrologi ne pubblicò la
smentita e l’annuncio della nuova edizione di “primo vere”.
Collabora con le riviste e si trasferisce a Roma dove si iscrive a lettere, ma si
dedica soprattutto alla cronaca del bel mondo, cui partecipa e in cui si afferma
come fascinoso letterato.
Nel 1882 pubblica canto novo e terra vergine, che usciranno insieme al
romanzo verghiano Mastro don Gesualdo.
Sposa la duchessina Maria Hardouin con cui ha dei figli; tornato a Roma
incontra Barbarella,il suo più grande amore, e qui nascono i primi romanzi: Il
piacere, Giovanni Episcopo, L’innocente.
Nel 1895 esce La vergine delle rocce, il romanzo in cui si affaccia la teoria del
superuomo e che dominerà tutta la sua produzione successiva. Inizia una
relazione con l'attrice Eleonora Duse, descritta successivamente nel romanzo Il
Fuoco, e avvia una infruttuosa produzione teatrale. Nel '98 mette fine al suo
legame con la Gravina, da cui ha avuto un altro figlio. Si stabilisce a Settignano,
nei pressi di Firenze, nella villa detta La Capponcina, dove vive lussuosamente
prima assieme alla Duse, poi con il suo nuovo amore Alessandra di Rudinì.
Intanto escono Le novelle della Pescara (1902) e i primi tre libri delle Laudi:
Maia, Elettra, Alcyone (1903). Negli anni dell'avvento del Fascismo, nutrendo
una certa diffidenza verso Mussolini e il suo partito, si ritira, celebrato come
eroe nazionale, presso Gardone, sul lago di Garda, nella villa di Cargnacco,
trasformato poi nel museo-mausoleo del Vittoriale degli Italiani. Qui, pressoché
in solitudine, nonostante gli onori tributatigli dal regime, raccogliendo le
reliquie della sua gloriosa vita, il vecchio esteta trascorre una malinconica
vecchiaia sino alla morte avvenuta il primo marzo 1938. (italialibri.net)
IL TRIONFO DELLA MORTE
Trionfo della morte
Protagonista del è Giorgio Aurispa, nobile intellettuale di
origini provinciali, che è preso da sottili turbamenti psicologici nel contrasto tra
un innato vitalismo e un impulso alla passività e all'abbandono. Deluse le
speranze di un possibile ritorno al passato nei luoghi dell'infanzia, il
personaggio si lascerà andare a propositi di morte, fino al suicidio conclusivo in
cui coinvolgerà anche la fascinosa e sensuale Ippolita, che era stata capace di
isterilire ogni sua aspirazione. Questo romanzo del 1894, dalla scrittura
frammentaria, racconta la parabola fallimentare dell'intellettuale decadente,
così come era stato concepito da D'Annunzio.(dizionariozanicheli.it)
TRAMA:Giorgio Aurispa è un esteta alla ricerca di un significato alto e nobile da
conferire alla propria esistenza, in contrapposizione alla volgarità e banalità
del vivere comune.