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Morte
Consolazione o liberazione?
I vivi non hanno mai capito a fondo la morte. Infatti il pensiero religioso e
filosofico, sin dall’antichità, ha tentato di studiare il fenomeno della morte
per sconfiggere in questo modo la paura e l’angoscia esistenziale di fronte
ad essa. Seneca
“Non riceviamo una vita breve, ma tale la rendiamo: e non siamo poveri
quanto alla vita, ma la sprecchiamo con prodigalità” (De Brevitate Vitae)
Questa frase fu scritta da uno dei più grandi scrittori latini, Lucio Anneo
Seneca. Il problema del tempo e quello della morte erano stati sempre
presenti alla sua sensibilità. Aveva scritto che gli uomini perdono il loro
tempo in cose vane e si accorgono di quanto il tempo sia prezioso solo
quando si vedono la morte sul capo. Seneca afferma che occorre pensare
continuamente alla morte. Se l’uomo si rendesse conto di non essere
immortale saprebbe sfruttare il tempo utilizzandolo nel migliore dei modi.
Vuole spiegare all’uomo l’importanza di vivere compiutamente e in modo
utile l’intera esistenza. Quindi, per Seneca, la morte condiziona la vita
dell’uomo e viene vista come “un’occasione da non perdere”, nel senso
che, data la limitatezza della vita per la presenza della morte, gli uomini
debbono cercare di vivere intensamente tutto il tempo che hanno a loro
disposizione.
Nelle sue “Epistolae ad Lucilium” Seneca invita l’amico Lucilio a tenere
conto del tempo sprecato e cerca di risvegliare la coscienza dell’amico per
proiettarla verso un serio e responsabile impegno della vita.
Il poeta spiega che il vivere non è altro che il morire lento e inesorabile di
ciò che l’uomo lascia alle proprie spalle, una sorte di morte continua. 2
Come sono destinate a morire anche le nostre sofferenze, per cui la morte è
vista come la liberazione dai mali che tormentano la vita.
Schopenhauer
La vita è dolore perché tutti i desideri che animano l’uomo sono destinati a
rimanere inappagati,dice Schopenhauer, l’uomo prova dolore anche
quando è pervaso dalla noia perché cessa il desiderio oppure quando è
frastornato dalle sue occupazioni come sosteneva anche Seneca. Per
Schopenhaer la vita, in tutti i suoi gradi e in tutti i suoi aspetti, è
sofferenza, dolore. Su questo fondamanto poggia il famoso pessimismo del
filosofo. Positivo è solo il dolore, il piacere non è che momentanea assenza
di dolore. La vita è un pentolo che oscilla tra il dolore e la noia. Poi
aggiunge che la volontà di vivere è inconscia perché è un impulso che
spinge ogni essere ad esistere, ma è consapevole solo nell’uomo.
Schopenhauer ritiene impossibile l’esistenza di Dio perché l’assoluto è la
volontà e inoltre la sua filosofia è caratterizzata da un totale pessimismo
che non può trovare consolazione in un essere superiore. Schopenhauer
cerca d’individuare una risposta al dolore universale. Per salvarsi l’uomo
deve porsi nella condizione di non contrastare la volontà, cercando egli
stesso di “volere” il meno possibile e, al limite, di “non volere”. “Non
volere” significa per Schopenhauer lasciarsi sprofondare nelle cose per
conteplarne la natura profonda. L’uomo deve anche esercitare la virtù del
disinteresse e della compassione verso di se e verso il genere umano; ma
anche questo è un grado ancora imperfetto del quale occorre arrivare a una
completa ascesi. Quindi la filosofia di Schopenhauer si pone come una
negazione della vita che non può essere raggiunta con la morte, ma solo
con un distacco ascetico dal desiderio di vivere dell’uomo. Il passo
obbligato che deve compiere l’uomo non è tanto una scelta di comodo
come può essere quella del suicidio, ma una molto più sensibile ricerca del
distacco che implica una profonda consapevolezza della propria 3
condizione. Se giunge a tale risultato, l’uomo ha impratica cessato di
“esistere”, e si lascia vivere in armonia con le cose.
Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento nella Letteratura
Italiana il tema della morte, legato ad un trauma psicologico dato dalle
tragedie famigliari, è stato affrontato da Pascoli.
“Se il nostro destino deve condurci alla morte, meglio andarsene piccoli
quando non si è ancora conosciuto il dolore e l’odio”
Pascoli
La dolorosa esperienza biografica, segnata da continui lutti famigliari,
lascia un profondo segno sulla sua poetica. Alla morte del padre seguirono
quelle della madre della sorella e del fratello. Infatti nelle sue raccolte
(Myricae, Poemetti e Canti di Castelvecchio) prevale il tema della morte, e
si costruisce un contrasto tra le dolorose vicende della storia, segnate dalla
crudeltà umana, e la dimensione equilibratrice della natura, dominata da un
principio di pace. Vi è come un’ossesione funebre. Nella poesia di Pascoli
domina il mondo delle piccole cose. Una poesia impressionistica, per certi
effetti decadente. L’eros o semplicemente l’amore per la donna non esiste
se non per timidissime occhiate furtive. Siamo davvero davanti alla voce di
un bambino mai diventato adulto, fermatosi a quel 10 agosto in cui gli
uccisero il padre. Accanto al mistero che avvolge in un tutto l’infinità delle
piccole cose vi è la morte che ne è diretta emanazione. Ma non si tratta
della morte romantica, qui la morte è persnonale, chiusa nell’orto
domestico degli affetti, delle care memorie personali; è la voce dei morti,
eco e ricordo di cose lontane, perdute nel breve paradiso dell’infanzia. La
poesia sembra quindi un modo per ritrovare il mondo dell’infanzia: ma
proprio le immagini dell’infanzia richiamano la morte e le figure dei morti.
Pascoli tende costantemente ad evocare presenze che non ci sono più e
tratta soprattutto il tema della morte invendicata del padre. Infatti, il padre
del poeta, fu ucciso da un ignoto mentre tornava a casa, dove lo 4
aspettavano i figli. Nella mente di Pascoli sarebbe rimasta per sempre
impressa l’ingiustificata e improvvisa crudeltà di tale episodio. Nella
poesia “X Agosto”, il poeta, rievoca quella giornata in tutta la sua
drammaticità. Vi è descritta una rondine uccisa anch’essa senza motivo
mentre torna al nido dove l’aspettano i suoi piccoli; il cielo, dall’alto della
sua infinita distanza, assiste alle due morti con un lacrimare di stelle
cadenti. In questa poesia la morte, con il dolore che ne deriva, non è solo la
morte di un singolo ma si trasforma in un simbolo della sofferenza umana
e, più in generale, dell’ingiustizia del mondo.
L’uomo e la rondine, infatti, sono i simboli del dolore universale e della
malvagia ingiustizia che regola la vita sulla Terra e la lontananza del cielo
esprime la lontananza del bene e della giustizia dalla sofferenza umana. 5
“Morire ricchiede appena un breve momento” disse Emily Dickinson.
Emily Dickinson
The main themes of her poetry are nature and especially death, often
associated with God, life after death and eternity. The subject of death is
obsessively present in the majority of her poems, not only because it took
away the people she loved, but also because she was tormented by a
mystery she could not come to terms with. The idea of death made her feel
deeply anguished but this anguish reinforced her attachment to life.
Her poem “Presentiment – Is That Long Shadow – on the Lawn” can be
read as a metaphor of the unexpected and sudden coming of dead. The
setting of the sun means the end of a day, and symbolically represents the
end of life. The adjective “startled” conveys the idea that death comes
suddenly, when we do not expect it, and the reference to darkness
introduces the traditional association of night with the world of the death.
Anche in Oscar Wild abbiamo un riferimento al tema della morte, o
meglio, al tentativo di sfuggire ad essa. Infatti, nel “Ritratto di Dorian
Gray” il protagonista desidera di restare sempre giovane mentre il suo
ritaratto che contiene la sua anima invecchia con il tempo. 6
Taras Shevchenko
E rimanendo sul tema della morte vorrei parlare di uno dei più importanti
poeti dell’Ucraina, Taras Shevchenko. Nato nel 1814, il poeta passò la vita
a scrivere di schiavitù e della morte dei kosaki per la liberazione della
terra-madre. Una delle sue poesie più famosi, però, riguarda egli stesso. E’
intitolata “Testamento”. Come in un solito testamento, il poeta, espone i
suoi ultimi desideri. Essendo lontano da casa, perché esiliato, non desidera
altro che essere sepolto nella sua amata terra Ucraina, vicino al bellissimo
fiume Dniprò. 7
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Il nazismo - Auschwitz
Parlando del tema della morte è doveroso ricordare quel lagher che
divenne la tomba di migliaia di persone, soprattutto ebrei: il lagher di
Auschwitz. Il lagher di Auschwitz fu costituito il 20 Maggio 1940. I
.
nazisti decisero la creazione di un Lager che, oltre a quelli già esistenti e
che si dimostravano inadatti , potesse ospitare un gran numero di deportati.
Questo campo doveva inoltre rendere possibile attuazione della «soluzione
finale» del problema ebraico, cioè lo sterminio degli ebrei europei.
Accanto al lagher vi furono uno stabilimento per la produzione di gomma
sintetica, delle aziende agricole e delle fabbriche. Il campo principale, in
breve, non fu più sufficiente. Così, accanto ad Auschwitz I sorsero altri due
lagher, chiamati Auschwitz II e Auschwitz III. Un immenso territorio,
isolato dal resto del mondo, pieno di deportati, uomini e donne,
provenienti da tutti i paesi invasi ed occupati dai nazisti. Auschwitz era
una vera e propria zona industriale. Per coloro che, arrivando al campo,
erano considerati abili al lavoro, le prospettive di sopravvivenza non
superavano i tre mesi. Poi c'erano le fucilazioni in massa, per supposti
sabotaggi, le punizioni individuali cui ben pochi poterono resistere, e le
camere a gas. Queste hanno funzionato senza interruzioni. Treni e treni di
uomini, donne e bambini, scaricati sulle rampe dei Lager ed avviati alle
finte docce dove venivano uccisi con un gas letale. Alle SS il Lager
rendeva anche quando gli schiavi erano morti. C'erano le loro spoglie da
dividere. Treni interi di indumenti sottratti ai deportati, camion carichi di
casse di gioielli e denaro furono spediti da Auschwitz a Berlino, al quartier
generale delle SS. Il campo fu finalmente sgombrato il 17 gennaio del
1945, ma lo sterminio non finì lì. Infatti tutti coloro che potevano
camminare furono avviati, a marce forzate, verso altri campi. Migliaia di
uomini e di donne furono abbattuti a colpi di mitra, quando non riuscivano
più a muoversi. “La soluzione finale”, cioè, lo sterminio degli ebrei fu
ordinato da Hitler perché li riteneva inferiori o pericolosi per la razza
ariana. 10
La rappresentazione bestiale della natura umana che si combina con
concrete allusioni alle devastazioni compiute dalla seconda guerra
mondiale è presente nella pittura di Francis Bacon.
Francis Bacon
Definisce l’arte “una delle distrazioni che l’uomo ama costruirsi per non
pensare seriamente alla morte”.
L’inevitabilità e la presenza costante della morte lo assediano e lo ispirano.
In una delle sue interviste dicchiara:
“Ciò che mi interessa è cogliere nell’aspetto esteriore degli individui la
morte che lavora dentro di loro. Quel che ci distingue dagli animali è,
forse, la coscienza della morte.”
. Per il suo stile figurativo, impattante e drammatico, intensamente
commovente e umano, Bacon si è confermato uno degli artisti più originali
del secolo passato.
Nell’opera “Tre Studi per la Crocefissione” del 1962 troviamo quarti di
carne macellata, corpo dilaniato dai colpi di arma da fuoco ed una carcassa
di carne appesa. Nel pannello centrale del trittico, tradizionalmente risrvato
alla figura del Cristo crocefisso, viene rappresentato un corpo disteso su un
letto, crivellato di colpi di arma da fuoco. Nel 3° pannello invece è
riconoscibile la carcassa di un animale appesa e macellata che sta a
rappresentare il corpo di Gesù crocefisso, dalla quale sta per fuoriuscire
una testa, ovvero un autoritratto cifrato. 11