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Sintesi
Estratto del documento

Anno scolastico 2007/2008

Se c’è un poeta che fu molto vicino al fascismo è stato

sicuramente Gabriele D’Annunzio. Quando da poco stavano

sviluppandosi i primi fasci di combattimento in tutta Italia,

D’Annunzio era già in Istria per la famosa conquista di Fiume. Il

più famoso poeta italiano del Novecento combatté anche la

prima guerra mondiale pilotando il suo piccolo aeroplano con il

quale sorvolò Vienna per una delle più clamorose e famose

azioni di guerra italiane di sempre. Poeta che adorava la bellezza

e disprezzava tutto ciò che era brutto e senza significato.

I rapporti di D’Annunzio con il fascismo non sono ben definiti:

se in un primo tempo la sua posizione è contraria all’ideologia di

Mussolini, in seguito l’adesione scaturisce anche da motivi di convenienza che si concilia

con la sua fama. Non rifiuta, quindi, gli onori e gli omaggi del regime: nel 1924, dopo

l’annessione di Fiume il re, consigliato da Mussolini, lo nomina principe di Montenevoso,

nel 1926 nasce il progetto dell’edizione «Opera Omnia» curato dallo stesso Gabriele; i

contratti con la casa editrice «L’ Oleandro» garantiscono ottimi profitti a cui si aggiungono

sovvenzioni elargite da Mussolini : D’Annunzio, assicurando allo stato l’eredità della villa

di Cargnacco, riceve i finanziamenti per renderla una residenza monumentale: nasce così il

«Vittoriale degli Italiani», emblema del vivere inimitabile di D’Annunzio. Nelle sue opere

più recenti D’Annunzio saluta con entusiasmo l’avvento del fascismo al potere, ma è messo

risolutamente da parte da Mussolini che vede in lui un possibile nemico per la sua

leadership.

Gabriele D’Annunzio è stato,soprattutto, per quaranta anni il dominatore della poesia in

Italia. In seguito le nuove generazioni gli sono state ostili e hanno polemizzato con lui,

eppure il suo contributo alla letteratura italiana è stata decisiva e se gli scrittori del

Novecento si troveranno aperta la via della modernità, lo dovranno in parte al “vate” di

Pescara e alla sua arte inquieta e contraddittoria.

LA VITA

Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara nel 1863 compie gli studi presso il collegio Cicognini

di Prato e a soli 16 anni già pubblica i primi versi, raccolti in Primo vere. Già da ora

concepisce il desiderio di un “vivere inimitabile” e di farsi un “nome grande”. Nel 1881 si

trasferisce a Roma dove frequenta raramente l’università ma partecipa alla vita mondana

della capitale che racconta nelle brillanti cronache scritte per giornali e riviste. L’anno

successivo dopo una fuga romantica sposa la duchessa Maria Hardouin di Gallese da cui

avrà tre figli. Allaccia nel frattempo, però, altre avventure sentimentali e questi saranno gli

anni di scandali, di lusso sfrenato, espressione di una esistenza che vuole essere diversa da

quella dei comuni borghesi. Nel 1889, il primo romanzo di D’Annunzio, Il Piacere, inaugura

il decadentismo in Italia. Intanto, però, le pressanti richieste dei creditori lo inducono a

stabilirsi a Napoli. Mentre accoglie le novità del simbolismo europeo sposta la sua residenza

a Francavilla. La vera svolta avviene nel 1895 quando D’Annunzio conosce l’attrice

Eleonora Duse e pubblica sul Convito il romanzo Le Vergini delle rocce dove riecheggia il

mito del superuomo. Nel 1898 concepisce la tragedia La città morta,prima di una serie di

opere dedicate alla Duse. Con lei, nello stesso anno, si trasferisce nella villa La Capponcina.

Anche la sua relazione con la Duse finì ma ne allaccia altre con donne diverse, ma le grandi

spese dovute dal suo bisogno del superfluo gli causano il sequestro della Capponcina.

D’Annunzio,quindi, si ritira in esilio in Francia ma travolto di nuovo da debiti è costretto a

fare ritorno in Italia. Sostiene con infiammati discorsi l’intervento in guerra dell’Italia.

Nonostante l’età si arruola come volontario e prende parte ai combattimenti compiendo

coraggiose imprese. Si batte in fanteria compie incursioni aeree,perdendo anche un occhio,

e va all’attacco delle navi austriache. Nell’ agosto del 1918 vola su Vienna per lanciare

manifesti tricolori sulla città. È l’ultima delle azioni che producono enorme

impressione sull’Italia e nel mondo. Nel 1919

deluso dal trattato di pace, organizza una legione di

volontari e in nome dell’Italia occupa con un colpo

di mano la città istriana di fiume. Qui istituisce un

vero e proprio stato dove lui era il dittatore e che

dura più di un anno fino al Natale di sangue

quando viene sloggiato con la forza. Dal 1921

risiede nella casa-museo del Vittoriale, sul lago di

Garda dove si spegne il 1 marzo 1938.

IDEOLOGIA E PERSONALITA’

L’espressione letteraria della crisi culturale in corso al principio del Novecento è il

decadentismo, una tendenza che abbraccia due decenni dell’Ottocento e il primo

quindicennio del Novecento. Esso viene chiamato decadentismo in Italia, estetismo o

modernismo in Inghilterra, simbolismo in Francia. La tendenza dei poeti decadenti era

quella di promuovere un’arte antinaturale, che si fondi cioè non sulla rappresentazione del

vero della realtà, ma sui lati oscuri del mondo e della vita, su quanto sfugge alla ragione

( l’inconscio,l’enigma). Insiste perciò su elementi irrazionali, come la sensazione o

l’intuizione.

D’Annunzio è, insieme con il Pascoli, il poeta più rappresentativo del Decadentismo

italiano, almeno della prima parte; ma essi, pure essendo quasi

contemporanea - appena otto anni separano D’Annunzio (1863) dal

Pascoli (1865) - e pur muovendosi nell’ambito del Decadentismo,

sono poeti, sotto molti aspetti, assai differenti.

Anzitutto il Decadentismo del Pascoli fu più istintivo che

consapevole, con scarse o inesistenti sollecitazioni e influenze

esterne ( ad eccezione del Poe e di Baudelaire, infatti, non pare che

il Pascoli conoscesse altri testi del Decadentismo europeo ); il

Decadentismo del D’Annunzio fu invece frutto di scelte precise,

operate nell’ambito delle più svariate tendenze del Decadentismo

europeo, assimilate e padroneggiate per l’eccezionale disponibilità

del suo spirito alla più varie e ardite esperienze di vita e di arte.

E` vero che il D’Annunzio assimilò le tendenze più appariscenti e

superficiali del Decadentismo europeo, come l’estetismo, il sensualismo, il vitalismo, il

panismo, l’ulissismo (inteso però in senso dinamico, attivistico, come ricerca di esperienze

sempre nuove ed eccezionali, e non in senso vittimistico, di perseguitato dal destino, come

quello del Foscolo), ma ne ignorò il misticismo gnoseologico (ossia la concezione della

poesia come strumento di conoscenza del mondo ultrasensibile) ed il dramma della

solitudine umana e dell’angoscia esistenziale.

Tuttavia, nonostante questo limite vistoso, egli non solo divenne parte integrante del

movimento decadente europeo, ma seppe creare un proprio stile di vita e di arte che va sotto

il nome di « dannunzianesimo », un fenomeno culturale e di costume tanto diffuso che si

può dire che all’Italia largamente carducciana della seconda metà dell’Ottocento, successe,

tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, un Italia altrettanto largamente

dannunziana, nonostante l’accanita polemica degli oppositori e dei denigratori.

Gli aspetti più significativi del decadentismo dannunziano sono:

1) L’estetismo artistico - cioè a concezione della poesia e dell’arte come creazione di

bellezza , in assoluta libertà di motivi e di forme - sorto come reazione alle miserie e alle

"volgarità" del verismo;

2) l’estetismo pratico, che ha un rapporto di analogia con l’estetismo artistico: anche la vita

pratica deve essere realizzata in assoluta libertà, al di fuori e al di sopra di ogni legge e di

ogni freno morale;

3) l’analisi narcisisticamente compiaciuta delle proprie sensazioni più rare, sofisticate,

raffinate;

4) il gusto della parola, scelta più per il suo valore evocativo e musicale che per il suo

significato logico. Esso culmina nei capolavori dell’Alcyone;

5) il panismo, ossia la tendenza ad abbandonarsi alla vita dei sensi e dell’istinto, a

dissolversi e ad immedesimarsi con le forze e gli aspetti della natura, astri, mare, fiumi,

alberi; a sentirsi, cioè, parte del Tutto, nella circolarità della vita cosmica.

Per dannunzianesimo s’intende il complesso degli atteggiamenti deteriori del D’Annunzio,

che influenzarono la vita pratica, letteraria e politica degli italiani del suo tempo.

Nella vita pratica il D’Annunzio suscitò interesse e curiosità in certa aristocrazia e borghesia

parassitaria e sfaccendata, e ne influenzò il costume con i suoi atteggiamenti estetizzanti,

narcisistici, edonistici, immorali e superomistici.

Nella vita letteraria con i suoi virtuosismi lessicali e stilistici diventò il modello di tanti poeti

del suo tempo.

Nella vita politica dapprima con la sua eloquenza fastosa di interventista e con le imprese

eroiche e leggendarie di combattente, galvanizzò, entro certi limiti l’Italia in guerra; poi con

il gusto estetizzante dell’avventura e della ribellione all’autorità costituita ( al tempo

dell’impresa fiumana ) influenzò il Fascismo, al quale il dannunzianesimo fornì gli schemi

delle celebrazioni esteriori, dei discorsi reboanti e vuoti, dei messaggi e dei motti

( ricordiamo il famoso Memento audere semper ) l’uso del gagliardetto, la teatralità dei gesti

e le pose istrionesche del capo.

Ma il dannunzianesimo non fornì al Fascismo soltanto gli schemi esteriori, che, tutto

sommato, potevano anche rimanere innocui: gli lasciò anche eredità più nefaste e brucianti,

che vennero a far parte dell’habitus mentale fascista, come la mancanza di senso storico il

fastidio o il disprezzo per il lavoro umile, l’improvvisazione, la faciloneria, la

sottovalutazione e il disprezzo degli avversari: tutti elementi che portarono l’Italia alla

guerra e alla disfatta.

D’Annunzio fin da giovane non nascose la sua passione per l’arte, il lusso e tutto ciò che è

bello. Da quando si trasferì a Roma, il vate abruzzese frequentò sempre i salotti letterari

romani dove veniva a contatto con l’aristocrazia e le novità letterarie.

I generi praticati da D’Annunzio sono molteplici: la poesia lirica, quella epica, il romanzo,

le novelle, il teatro, la cronaca giornalistica e la prosa d’arte. Questo perché ha sperimentato

sempre affiancando modelli antichi e moderni. Più volte gli vennero polemizzati dei plagi,

essi però, vanno intesi come aspetto del suo sperimentalismo e voglia di essere il

dominatore della parola. Allo sperimentalismo vanno aggiunti molteplici interessi culturali

di D’Annunzio.

Anche per rispondere al gusto mutevole del pubblico egli fece uso delle nuove tendenze

letterarie. Finì per creare una sorta di enciclopedia del decadentismo la cui espressione più

importante divenne il romanzo Il Piacere che fu la creazione di un vero e proprio "pubblico

dannunziano", condizionato non tanto dai contenuti quanto dalla forma divistica, un vero e

proprio star system, che lo scrittore costruì attorno alla propria immagine. Egli inventò uno

stile immaginario e appariscente di vita da "grande divo", con cui nutrì il bisogno di sogni,

di misteri, di "vivere un'altra vita", di oggetti e comportamenti-culto che stava connotando

in Italia la nuova cultura di massa, proprio come il suo Andrea Sperelli, il protagonista del

romanzo. Estetismo per D’annunzio prima di tutto è aspirazione a costruire la propria vita

come un oggetto artistico. Il programma dell’estetismo è completamente delineato nel

protagonista de Il Piacere, il quale, riduce la figura dell’esteta a una dimensione mondana

arricchendo le vicende con la cornice esclusiva ed elegante dell’aristocrazia romana e

ottiene infatti un gran successo di pubblico.

Il mito dell’esteta si travasa a partire dal romanzo Le vergini delle rocce, in quello del

superuomo, infatti,si diffuse molto presto anche in Italia la filosofia del superuomo.

D’Annunzio si accostò subito al tema nietzschiano attraverso la spettacolarizzazione, viene

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