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La nascita di una scienza
Winckelmann, nato a Stendal nel 1717, fu il primo ad interpretare artisticamente e
storicamente le opere dell'arte classica. Da bambino incitava i compagni di gioco a
scavare con lui per cercare urne antiche e più tardi fu chiamato il "padre
dell'Archeologia".
Nel 1762 pubblicò il suo primo lavoro "Sulle scoperte di Ercolano".
Ercolano, ricoperta insieme a Pompei da fiumi di lava il 24 agosto del 79 d.C.,
riemerse nel 1735 anche se qualche anno prima alcune statue e iscrizioni erano
venute già alla luce per merito del generale Moriz. Maria Amalia Cristina, sposa di
Carlo di Borbone, rimase così colpita dalla bellezza di questi antichi cimeli che
insistette per poterne cercare ancora. Perciò fu scoperta una città sepolta che
aveva giaciuto sotto quindici metri di lava solidificata per ben mille e settecento
anni. Il Vesuvio distrusse una città piena di vita; le case, i negozi, l'anfiteatro e i
templi rimasero come erano stati abitati, colmi di oggetti e pieni di persone.
Davanti alla ricchezza di queste scoperte si trovò un uomo che negli anni del
ritrovamento lavorava a Dresda come bibliotecario, che amava l'arte antica ma
sentiva anche l'esigenza di metodi di ricerca e di critica scientifica. Winckelmann
avrebbe dedicato a tutto questo la sua vita.
Nella sua opera riguardante gli scavi ad Ercolano, egli criticò aspramente i metodi
di restauro utilizzati da scultori e operai a danno delle opere ritrovate, che con la
loro inettitudine integravano pezzi mancanti, cosa che per lo più portò a false
interpretazioni, o addirittura fondevano i metalli per ricavarne candelabri. Inoltre
espresse la sua indignazione per il fatto che veniva impedita la visita alle rovine e
l'osservazione dei reperti. Egli comunque riuscì a compiere i suoi studi che gli
permisero di scrivere il suo trattato fondamentale, la "Storia dell'arte presso gli
antichi" del 1764. In esso classificò gli antichi monumenti e descrisse lo sviluppo
dell'arte antica. Egli interpretò con eccezionale acume ciò di cui disponeva e riuscì
a trasmettere entusiasticamente queste nozioni ai suoi contemporanei, tanto che
contribuì a diffondere in tutto il mondo quell'amore e quell'attrazione nei confronti
dell'antico che dominarono nell'età del classicismo.
Molte tesi di Winckelmann si rivelarono sbagliate e molte interpretazioni troppo
frettolose. Egli credendo di trovarsi di fronte all'arte greca, in realtà aveva visto
copie romane, che avevano perso i loro colori originari ed erano state levigate
dalla sabbia. La sua era un'immagine idealizzata ma egli riaccese il desiderio di
rintracciare l'antico ovunque esso ancora fosse nascosto ed indicò una chiave
d'interpretazione degli ideali e della cultura classica. Winckelmann ripercorse tutta
la mitologia greca e la storia per cercare ogni minimo indizio atto a spiegare ogni
monumento e così facendo egli diventò un modello, introducendo una vera e
propria scienza che avrebbe aiutato un giorno numerosi archeologi a riportare alla
luce molte civiltà.
La conquista di Troia
Schliemann nasce nel 1822 in Germania, da un povero pastore, che da vecchio
umanista raccontava al figlio la guerra degli eroi di Omero, la storia di Enea e la
scomparsa di Pompei. A soli sette anni egli promise che da grande avrebbe
cercato Troia e quarant'anni dopo iniziò gli scavi che durarono circa tre anni e che
portarono alla grandiosa scoperta.
Egli si impadronì del greco moderno in sei settimane e di quello antico in tre mesi.
Ciò che lo spingeva era l'esigenza di potersi confrontare con gli eroi del passato,
che esercitavano su di lui un richiamo irresistibile. Dopo aver fatto fortuna come
commerciante, egli liquidò tutto per dedicarsi al sogno della sua giovinezza e a
quegli studi che per lui avevano il massimo fascino.
Ai suoi tempi i dubbi sull'esistenza di Omero erano accompagnati da quelli sulla
veridicità dei suoi poemi. L'"Iliade", che Schliemann teneva sempre con sè, era
considerata favola, mito, leggenda, frutto dell'ispirazione del maggiore dei poeti,
quale era considerato Omero.Ma la sua fede era incrollabile. Egli riteneva il
racconto realtà e gli eroi omerici personaggi storici.
Gli studiosi del suo tempo indicavano come probabile sede di Troia un piccolo
villaggio nel nord della Grecia, Bunarbashi, poichè vi erano due sorgenti che
ricordavano le fontane citate da Omero. Ma Schliemann, che con l'Iliade aperta
cercava alttre conferme negli antichi versi paragonando la descrizione al territorio
che aveva davanti, subito capì che quella terra così lontana dal mare non poteva
essere l'antica Ilio. Invece, colpì il suo sguardo un altopiano quadrato più a nord,
chiamato Hissarlik, e immediatamente raccolse dati e prove, per poi rivolgersi
incantato a ciò che i suoi occhi fino a quel momento avevano cercato con
incontenibile ardore: Troia. Egli si mise all'opera, utilizzando tutte le sue energie, e
trovò le rovine della Nuova Ilio, conosciuta da Serse e Alessandro. Ma sotto di
esse egli scoprì altri numerosi strati, ultimo dei quali risultò il più antico, preistorico,
dato che gli abitanti ignoravano ancora l'uso del metallo. Nel secondo e nel terzo
strato notò che c'erano delle tracce d'incendio, resti di grandi mura ed un'enorme
porta. Così egli ebbe la certezza di aver trovato le mura del palazzo di Priamo e le
mitiche Porte Scee. L'entusiasmo si diffuse in tutto il mondo e non c'era nessuno
che non parlasse della scoperta di Troia.
Schliemann trionfò, ma insieme a lui anche Omero, perchè con questa enorme
scoperta venne confermato che tutto ciò che era ritenuto leggenda dai suoi
contemporanei era esistito veramente, cosa in cui l'archeologo aveva sempre
creduto.
La sua fatica venne coronata dal sensazionale ritrovamento di quello che lui
ritenne il tesoro di Priamo, durante il penultimo giorno di scavo. Oro e avorio,
gioielli di inestimabile valore, diademi e fermagli conobbero di nuovo la luce. Poco
dopo la sua morte venne dimostrato che Troia non si trovava nè nel secondo
strato, nè nel terzo ma nel sesto a partire dal basso e che il tesoro scoperto da
Schliemann apparteneva a un re molto più antico di Priamo. Ma la sua
determinazione e i suoi sogni lo portarono ad un ulteriore successo. Egli trovò,
all'interno delle rovine di Micene, già da tempo conosciute, cinque tombe di
scheletri coperti d'oro che lui ritenne Agamennone e i suoi compagni, assassinati
da Clitemnestra ed Egisto. Oggi sappiamo che sono molto più antichi, risalenti al
XVI secolo a.C. Ma questo non ha molta importanza, poichè era stato fatto un
ulteriore passo verso la conoscenza del passato, verso un mondo antico e ormai
perduto e si era nuovamente confermata la veridicità di Omero. Schliemann
afferma infatti << un mondo nuovo e mai presentito è quello che io ho scoperto per
l'Archeologia >>.I tesori, dal punto di vista scientifico e materiale, da lui scoperti,
sono testimonianze di una civiltà, che è quella che ci ha preceduto e nella quale
troviamo le nostre radici.
Se Winckelmann aveva mostrato da lontano il segreto della civiltà greca,
Schliemann aveva indicato il mondo più antico dei greci, aveva portato la ricerca
archeologica sul suolo ellenico e , attraverso lo studio, ma anche la fatica e gli
scavi, aveva esteso i limiti dell'Archeologia, rendendola davvero viva e presente.
Anche se le sue prime interpretazioni si rivelarono errate (ma anche Colombo
quando scoprì l'America credette di trovarsi in India) egli iniziò a scavare ispirato
da un sogno, ma diventò presto un vero e proprio scavatore scientifico.
La chiave per l'Egitto
Champollion nacque nel 1790 in Francia, dove visse con il fratello, segretario
all'Istituto Egiziano, a Parigi. A diciannove anni conosceva più di dodici lingue, era
professore a Grenoble e aveva visto per la prima volta la stele di Rosetta, che
avrebbe determinato il suo destino.
Essa venne scoperta per caso nel 1799 da un soldato, presso la città di Rosetta,
sul Nilo. Vennero riconosciute tre forme di scrittura diverse, precisamente
quattordici righe di geroglifici, trentadue di demotico (ultimo sviluppo cronologico di
scrittura geroglifica) e cinquattaquattro di greco. Facile fu supporre che i tre scritti
riportassero il medesimo contenuto e , dato che il greco era conosciuto e
traducibile, per la prima volta si affacciò l'opportunità di interpretare i geroglifici.
Champollion, da giovane insegnante di storia, riteneva l'aspirazione alla verità lo
scopo ultimo della ricerca storica. Professava la necessità della ricerca di una
verità assoluta, insieme ad una libertà assoluta in ambito scientifico, senza
imposizioni, permessi e cautele. L'intensità dei suoi sentimenti per la libertà e la
verità fu accompagnata da un forte interesse e una grande passione per lo studio
dell'Egitto.
I geroglifici erano oggetto dell'attenzione di tutto il mondo, tuttavia nessuno era
riuscito a decifrarli. Si parlava di essi come di una scrittura figurata, dal valore
simbolico e l'interpretazione degli studiosi fin dal XVII secolo raggiunse risultati
fantasiosi, bizzarri e a volte davvero grotteschi.
Champollion studiando, confrontando e sperimentando, raggiunse a poco a poco
la soluzione. La svolta avvenne quando eglì oso compiere l'audace passo di
ipotizzare che i geroglifici potessero essere segni fonetici e riuscendo a dimostrare
la sua tesi. Egli quindi giunse alla decifrazione definitiva e fu in grado non solo di
tradurre le singole parole, ma di riconoscere il sistema. Egli rese leggibile e
insegnabile la scrittura dell'antico Egitto.
La sua conquista teorica non fu seguita da un’ attività nel campo dello scavo
archeologico, ma egli compì una spedizione nel 1828 per visitare l'Egitto e per
trovare conferma diretta dei suoi studi e delle sue tesi, che fino ad allora avevano
suscitato lo scherno dei contemporanei. Egli non decifrò soltanto, ma esaminando
per la prima volta i grandi templi, ebbe nuove idee e corresse gli errori di datazione
e di attribuzione, grazie alla sua cultura e alle sue intuizioni.
Egli visse troppo poco per poter vedere i suoi meriti riconosciuti pubblicamente e le
sue tesi considerate ufficialmente esatte. L'opera di Champollion fu seguita da
decenni di scoperte archeologiche ed egli fu considerato il "padre dell'Egittologia",
colui che aveva svelato il mistero dei geroglifici, trovando la chiave per aprire tutte
le porte chiuse dell'Egitto.
Passato e futuro
Guardare al futuro non significa voltare le spalle al passato, ma richiede la
capacità di scrutare nelle profondità del tempo per conoscere le civiltà che migliaia
di anni prima di noi vissero, furono grandi e morirono.
E' necessario interrogarsi su quale futuro possa avere una società che pensa di
fare a meno del proprio passato, di dimenticare per sempre le proprie radici. Lo
studio e la ricerca dell'antico non possono certamente predire in modo assoluto
come sarà il futuro, ma può fornire una chiave di interpretazione del presente, può
aiutare ad esaminare l'attualità con una maggiore profondità.
Questo non significa considerare la società umana come immobile e ripetitiva, ma
se pensiamo all'esistenza, anche nel passato, dei sentimenti umani, come l'amore
e il dolore, ma anche al rapporto dell'individuo con la morte, le sue domande sul
senso della vita, troviamo una testimonianza che l'esistenza dell'uomo, forse, è
stata più precaria, ma sicuramente non meno intensa.
L'Archeologia viene definita anche come avventura romantica e romantico deve
essere l'archeologo, poichè per capire la Storia è necessario possedere sensibilità
e fantasia, come ho cercato di dimostrare attraverso la rapida descrizione di
uomini come Winckelmann e Schliemann.
Bisogna conoscere bene i cinquemila anni che ci hanno preceduto per poter vivere
i prossimi cent'anni con consapevolezza e tranquillità e confrontarsi davvero con
gli eroi e gli uomini del passato per capire e conoscere i volti dell'uomo di oggi.
Bibliografia
C.W. Ceram "Civiltà sepolte" (ed Enaudi)