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nelle leggi che regolano l'uomo, ha un'ideologia conservatrice: quindi ogni
persona è ancorata al suo stato sociale e non può distaccarsene. Visione
radicalmente pessimistica : la società umana è per lui dominata dal meccanismo
della “lotta per la vita” un meccanismo crudele, per cui il più forte schiaccia
necessariamente il più debole. Gli uomini sono mossi dall'interesse economico,
dalla ricerca dell'utile, dall'egoismo, dalla volontà di sopraffare gli altri. E' questa
una legge di natura, universale, che governa qualsiasi società, in ogni tempo e in
ogni luogo, e domina non solo le società umane, ma anche il mondo animale e
vegetale. Chi cerca di uscire dalla condizione in cui il destino lo ha posto, non
trova la felicità sognata, anzi va immancabilmente incontro a sofferenze
maggiori. L’autore critica aspramente la vita borghese e non dà speranze al
proletariato; critica altrettanto duramente l'aristocrazia, e considera i
contadini e i braccianti dei "vinti" per natura, segnati inesorabilmente dal
destino.
Di fatto il Verga proviene da un ambiente aristocratico benestante e
soprattutto egli s'è formato intellettualmente negli ambienti borghesi di
Firenze e di Milano. Solo quando questi ambienti gli vennero a noia, egli
decise di ritornare a Catania, cominciando ad interessarsi delle condizioni
miserevoli dei meridionali. Il suo grande merito sta proprio in questo, sta
nell'aver evidenziato la miseria del Sud e nell’aver diffuso la conoscenza di
questa situazione nel nord d’Italia; Verga ha fatto della letteratura anche un
mezzo per portare la situazione del meridione ad un'attenzione nazionale.
IL CICLO DEI VINTI
Giovanni Verga volle condensare tutta la sua ideologia e tutto il suo
“programma” verista nell’ambizioso progetto di un ciclo di ben 5 romanzi.
Ciascuno dei 5 romanzi avrebbe dovuto incentrarsi sulla rappresentazione di
vari strati sociali, dai più bassi ai più elevati: 1)”I Malavoglia”, strati popolari
di pescatori; 2) “Mastro don Gesualdo”, strato piccolo - borghese; 3)”La
duchessa delle Gargantas”(poi duchessa di Leyra), strati nobiliari; 4)
“L’onorevole Scipioni”, strati sociali dediti alla politica; 5)”L’uomo di lusso”,
strati sociali dediti all’arte.
Si trattava di una vera e propria fantasmagoria della lotta per la vita, dalle
necessità di sopravvivenza degli strati popolari alle aspirazioni più elevate di
quelli borghesi e nobiliari.
Tuttavia, visto che il ciclo rimase incompiuto, sembrerebbe che Verga, pur
rappresentando gli strati popolari come sopraffatti da condizioni di miseria, vi
scorga in fondo un’autenticità e una positività di valori (la “religione della
famiglia”, l’unione familiare, l’operosità, l’onestà); invece rappresentando gli
strati borghesi e nobiliari con aspirazioni più elevate, vi scorga in fondo
un’assenza di valori e una certa vanità, superficialità e frivolezza.
I Malavoglia
Presso il piccolo paesino di Aci Trezza nel catanese vive la famiglia Toscano che,
nonostante sia decisamente laboriosa, viene soprannominata Malavoglia. Il
patriarca è Padron 'Ntoni, vedovo, che vive presso la casa del nespolo insieme al
figlio Bastiano detto Bastianazzo, sposato con Maria detta Maruzza la longa,
nonostante sia di statura tutt'altro che elevata. Bastiano ha cinque figli: 'Ntoni,
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Luca, Filomena detta Mena, Alessio detto Alessi e Rosalia detta Lia. Il principale
mezzo di sostentamento è la "Provvidenza" (piccola imbarcazione utilizzata per la
pesca). Nel 1863 'Ntoni, il maggiore dei nipoti, parte per la leva militare. Per far
fronte alla mancanza, padron ‘Ntoni tenta un affare comprando una grossa
partita di lupini - peraltro avariati - da un suo compaesano, chiamato Zio
Crocifisso per via delle sue continue lamentele e del suo perenne pessimismo. Il
carico, affidato al figlio Bastianazzo perché li vada a vendere a Riposto,
sfortunatamente naufraga, assieme a Bastianazzo. A seguito di questa sfortunata
avventura, la famiglia si ritroverà con una triplice disgrazia: il debito dei lupini, la
Provvidenza da riparare e la perdita di Bastianazzo e quindi di un membro
importante della famiglia. Tornato del servizio militare, 'Ntoni tornerà molto
malvolentieri alla vita laboriosa della sua famiglia, e non rappresenterà alcun
sostegno alla già precaria situazione economica del nucleo familiare. Purtroppo,
le disgrazie per la famiglia non terminano. Luca, uno dei nipoti, muore nella
battaglia di Lissa (1866) e questo determina l'annullamento delle nozze della
figlia Mena con Brasi Cipolla. Il debito causerà alla famiglia la perdita dell'amata
Casa del nespolo e via via la reputazione della famiglia andrà peggiorando fino a
raggiungere livelli umilianti. Un nuovo naufragio della "Provvidenza" porta Padron
'Ntoni ad un passo dalla morte, dalla quale, fortunatamente, riesce a scampare.
In seguito Maruzza, la nuora, muore di colera. Il primogenito 'Ntoni deciderà di
andare via dal paese per far ricchezze, ma, una volta tornato ancora più
impoverito, perde ogni desiderio di lavorare dandosi all'alcolismo e alla
nullafacenza. La dipartita di 'Ntoni costringerà la famiglia a vendere la
Provvidenza per risparmiare i denari accumulati per riacquistare la casa del
nespolo, mai dimenticata. La padrona dell'osteria Santuzza, già ambita dallo
sbirro Don Michele, a causa dei numerosi intrallazzi di quest'ultimo, si invaghisce
di 'Ntoni, mantenendolo a gratis all'interno del suo locale. La condotta di 'Ntoni e
le lamentele del padre la convinceranno a distogliere le sue aspirazioni da 'Ntoni
Malavoglia e a richiamare Don Michele all'osteria. Ciò sarà origine di una rissa tra
i due. Rissa che sfocerà in una coltellata di 'Ntoni al petto di Don Michele, durante
una retata anti contrabbando alla quale il Malavoglia si era dato. 'Ntoni finirà in
prigione; Padron 'Ntoni, accorso al processo e sentite le voci circa una relazione
tra Don Michele e sua nipote Lia, stramazza al suolo. Ormai vecchio, il suo
salmodiare si fa sconnesso e i suoi proverbi pronunciati senza cognizione di
causa. Lia, la sorella minore, vittima delle malelingue, lascia il paese e si
abbandona all'umiliante mestiere della prostituta. Mena, a causa della
vergognosa situazione della sorella, sceglie di rinunciare a sposarsi con compare
Alfio, di cui è innamorata, e rimarrà in casa ad accudire i figli di Nunziata e di
Alessi, il minore dei fratelli, che continuando a fare il pescatore ricostruirà la
famiglia e potrà ricomprare la "casa del nespolo". Acquistata la casa ciò che resta
della famiglia farà visita all'ospedale al vecchio Paron 'Ntoni, informandolo della
compravendita e annunciando un suo imminente ritorno a casa. Sarà l'ultima
gioia per il vecchio che morirà proprio nel giorno del suo agognato ritorno.
Neanche il desiderio di morire nella casa dov'era nato sarà dunque esaudito.
Quando 'Ntoni, uscito di prigione, ritornerà al paese, si renderà conto di non poter
restare a causa del suo passato di detenuto. Padron Ntoni è la figura che,
sicuramente rappresenta il modo di pensare e di fare di tutta la famiglia. Padron
Ntoni è un vecchio saggio che mette a disposizione di tutti i componenti della
famiglia, le sue conoscenze e le sue esperienze. E' un uomo che non si
demoralizza per niente, come si vede dal suo continuo lottare contro la sfortuna
che perpetua si abbatte sulla sua famiglia. Lotta nonostante la perdita della
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Provvidenza, nave su cui lavorava da sempre, e la casa del nespolo in cui aveva
sempre vissuto è una figura-simbolo della grandezza e dell'eroismo umano. Non
a caso un altro elemento di conforto è la fede in alcuni valori che sfuggono alle
leggi del destino e della società: religione della famiglia e della casa, intesa come
centro degli affetti e della solidarietà. Padron 'Ntoni soleva dire: " Gli uomini sono
fatti come le dita della mano: il dito grosso deve fare da dito grosso , e il dito
piccolo deve fare da dito piccolo". Nella famiglia Malavoglia il dito grosso era
proprio lui; era il depositario degli antichi valori familiari, che con le nuove
generazioni andavano scomparendo. Padron 'Ntoni condensava quei valori nei
proverbi che soleva ripetere:"Senza pilota la barca non cammina; per far da Papa
bisogna saper far da sagrestano".La saggezza che viene dalla coscienza dei nostri
limiti ci aiuta a sopportare le delusioni, a riconoscere che i guai fanno parte della
vita e che temprano e fanno scoprire la forza interiore. Chi non ha questa
saggezza, va incontro all'infelicità. Moderazione ed equilibrio sono le valvole di
salvezza."Più ricco in terra chi meno desidera"... Il giovane Ntoni con la sua
mania di allontanarsi dal paese rappresenta quasi l'antagonista del nonno.
STORIA
Le condizioni indispensabili per riconoscere un "giusto" sono tre: aver salvato
ebrei, averli salvati sotto la minaccia di un grave pericolo per la propria vita, aver
operato senza pretendere nessun compenso.
I cittadini italiani di religione ebraica che fino a quel momento erano ben
integrati nel tessuto sociale, di colpo divennero le vittime incolpevoli di un’epoca
che aveva smarrito la propria coscienza. La campagna razziale ormai tristemente
nota del 1938 sorprese sia gli ebrei che gli italiani non ebrei: bambini, ragazzi e
insegnanti espulsi dalle scuole pubbliche, ebrei stranieri allontanati dal suolo
italiano, in un crescendo di leggi e circolari ministeriali che avvelenarono la vita di
chi faceva parte di una «razza» considerata sgradita. Tutto ciò avveniva mentre il
Paese era alleato con la Germania nazista che perseguiva l’antisemitismo. Ma se
l’avversione tedesca nei confronti del popolo ebraico era dettata da razzismo
biologico e sconfinò nella tragedia della soluzione finale, l’Italia fascista -
nonostante avesse elaborato una propria politica antiebraica di cui non si
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cancellano le responsabilità - era tuttavia lontanissima dall’idea di ricorrere a uno
sterminio di massa. Il clima che gli ebrei italiani respiravano era complesso,
carico di luci e ombre, in un singolare miscuglio di benevolenza e tradimento. Ma
chi erano i Giusti? Chi erano queste persone, per lo più sconosciute, che seppero
proteggere il valore e la dignità dell’uomo in un periodo oscuro della storia
europea, al contrario di chi invece non assumeva rischi con l’alibi di non poter
incidere su una simile realtà? (atteggiamento questo, che equivaleva a un
«silenzio-assenso»). «Il Giusto - simboleggia l’essere umano, l’essenza stessa
dell’idea del libero arbitrio dell’uomo di scegliere il bene contro il male e di non
restare indifferente». In una sorta di «elenco del bene», scorrono i nomi e i volti
anonimi e un po’ sfuocati di quei Giusti italiani riconosciuti dallo Yad Vashem (il
museo Yad Vashem, è il memoriale ufficiale di Israele delle vittime ebree dell'olocausto fondato nel
frutto di una procedura scrupolosa e complessa, finalizzata ad
1953), grazie alla
accertare la verità dei fatti; volti rigorosamente allineati in ordine alfabetico, che
raccontano storie simili e diverse da quelle già note al grande pubblico;
testimonianze di sopravvissuti segnate da successi e fallimenti, spesso
commoventi di persone di ogni fede e ceto sociale, anziani, giovani, parroci,
suore, atei, antifascisti e fascisti; addirittura racconti di soccorritori antisemiti
disgustati dai crimini nazisti e di coloro che avevano il rulo di «persecutori»,
come funzionari di polizia, carabinieri, finanzieri e perfino «camicie nere»,
all’occasione capaci di chiudere un occhio. Italiani brava gente insomma, uniti in
un esemplare concorso di buone azioni come trovare rifugio, cibo, false tessere
annonarie, cure mediche, ma anche documenti falsi per accompagnare i
clandestini alla frontiera italo-svizzera.
La percentuale di sopravvissuti in Italia fu alta proprio per la grande solidarietà
della popolazione. Di fronte allo stupore dei media o dei curiosi nei confronti del
coraggio e dell’eticità delle loro azioni, i Giusti quasi sempre hanno manifestato
uno stupore ancora maggiore. Quasi sempre dichiarano di non aver fatto nulla di