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Sintesi
Ho deciso di fare un percorso utilizzando come tema principale il mare, iniziando con una delle storie che più ha suscitato il genere umano: Il Titanic!
Estratto del documento

quindicina di superstiti. Il governo cercò di mettere a tacere le

critiche dell’inadeguatezza dei soccorsi, ma due dei sopravvissuti,

dopo aver invano chiesto un rimborso per i danni subiti, scrissero un

violento resoconto dell’evento, che fece scalpore in tutta Europa.

Géricault lavorò a lungo per questa tela e fu indeciso fino all’ultimo

su quale aspetto della vicenda rappresentare. Alla fine scelse uno

dei momenti meno mostruosi, ma più sconvolgenti dal punto di

vista emotivo, quello più carico di tensione drammatica e

psicologica: il primo avvistamento da parte dei naufraghi dell’Argus,

il loro chiamare a raccolta le ultime forze per far segnalazioni e il

disperato sconforto in cui sprofondano quando la nave scompare.

Nel groviglio umano di corpi avvinghiati, l’artista rappresenta un

graduale crescendo di emozioni che vanno dalla disperazione alla

falsa speranza. In primo piano un vecchio siede meditando

tristemente tra i morti; dietro di lui alcuni sopravvissuti in piedi

rivolgono la propria attenzione verso l’orizzonte che un compagno

sta loro indicando; altri sono rianimati da un’ultima speranza; altri

ancora aiutano un nero a salire su un barile, perché possa

sventolare la camicia bianca più in alto, per chiedere soccorso

all’equipaggio dell’Argus, ma la nave alla quale sono rivolti i gesti di

questa piramide umana non è che un punto quasi indistinguibile tra

lo scuro agitarsi delle onde.

La scena su cui è proiettata l’ombra di un nuvolone enorme, è

impostata su una serie di diagonali che dalla base della zattera

convergono verso diversi apici; inoltre è dominata da due spinte

contrarie: l’onda montante dei naufraghi e la marea che spinge il

relitto, con il vento che, soffiando da destra a sinistra,gonfia la vela

in direzione opposta. Sul piano instabile, tutta la composizione è

scossa da questi due impulsi contrari, la speranza e la disperazione,

la vita e la morte. Il fluire e il rifluire degli stati d’animo viene qui

controllato da un’impostazione formale precisa. Queste vittime, da

quindici giorni alla deriva, non appaiono emaciate, ma imponenti e

vigorose. I corpi dei morti sono ancora di natura accademica, belli

come quelli degli eroi antichi e mantengono la compostezza solenne

delle figure classiche. Per la prima volta, però lo stile epico e le

vaste dimensioni della tela, erano usati per rappresentare le

sofferenze di gente comune.

Dipingendoli in questo modo, Géricault attribuì alla condizione dei

naufraghi un significato universale e trasformò un episodio di

cronaca in un dramma senza tempo, costringendo così il pubblico a

interrogarsi sui perenni problemi dell’eroismo, della speranza, della

disperazione e della sofferenza. Dopo tanti quadri che celebravano

l’epopea napoleonica, questo ribalta di colpo la concezione stessa

della storia: non è più eroismo e gloria, ma disperazione e morte. La

scelta di rappresentare un soggetto del genere fece pensare che

Géricault intendesse attaccare sia la tradizionale gerarchia

accademica dei generi sia la struttura sociale recentemente

restaurata, tanto che il quadro finì con l’essere considerato

un’allegoria politica. Non a caso, lo storico Jules Michelet lo avrebbe

ricordato come un simbolo della Francia, affermando: “E’ la nostra

società intera che Géricault imbarca su quella zattera”.

E’ molto importante ricordare l’ispirazione che il Mare ha dato nella

storia della letteratura internazionale: i diversi scrittori sono riusciti

a descrivere i diversi tratti del mare. Montale ha descritto con cura

e minuziosità il suo amato e allo stesso tempo odiato paesaggio

ligure dove il mare provoca disagio nell’anima del poeta, pur

essendo calmo, piatto e tranquillo.

L’ispirazione di Montale è concentrata su brevi

momenti dell’esistenza circoscritta nelle linee di

un paesaggio ligure compreso tra il mare e le

colline. È un paesaggio arido e brullo, tormentato

e scavato dal sole, che ne rende quasi allucinati e

irreali i contorni, caricandoli di valenze

metafisiche ed esistenziali. Il poeta ne spia le

forme e si sofferma ad ascoltare le voci con un

atteggiamento di perplessità attonita e meditativa. Il paesaggio di

Montale non si apre all’uomo (e per l’uomo); vive in se stesso,

chiuso nella propria realtà incomunicabile. Esso non è uno scopo, il

cui conseguimento possa appagare il poeta, ma un tramite, senza

sbocchi risolutori, verso l’“altro”, verso un qualcosa che resta, alla

fine, misterioso e in conoscibile, crudele nel suo rifiuto di dare

risposte. Il confine tra la terra e l’acqua non apre nuove

prospettive,ma il mare risulta un termine e un ostacolo invalicabile,

superficie opaca e stagnante che non rivela nulla, a differenza di

altri poeti, come Baudelaire e Rimbaud che avevano visto nel mare

il senso profondo di un mistero aperto a nuove esigenze

conoscitive. Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896. Dal 1905,

trascorre l’intera stagione estiva a Monterosso, nelle Cinque Terre,

perciò il paesaggio marino ligure sarà lo scenario privilegiato degli

Ossi di seppia, poetica.

la sua prima raccolta

Ossi di Seppia

Negli tutto è assorbito dal mare fermentante; ma il

tema, così importante, del mare è bivalente: perché dal mare l’io si

sente quasi risucchiato, potentemente, come dall’elemento mitico

per eccellenza vitale, ma insieme ne è rifiutato, espulso, confinato a

terra; il mare è dunque la pienezza, l’integrità impossibile, quella

della Vita stessa, contemporaneamente cantata a piena voce e

negata al soggetto che la canta. Dunque Montale rimane a terra: di

Ossi

questa terra in cui sono ambientati quasi tutti gli egli scrive: “la

Liguria orientale – la terra in cui trascorsi parte della mia giovinezza

– ha questa bellezza scarna, scabra, allucinante”, aggiungendo

molto significativamente di aver cercato un verso che aderisse

intimamente a quelle caratteristiche. Ma a sua volta il paesaggio

ligure ha nella raccolta una doppia valenza: di risonanza dei

sentimenti di solitudine, che abitano l’io, ma anche simbolo di

quell’atteggiamento che la dignità dell’individuo vorrebbe opporre

alla propria condizione esistenziale precaria.

Nel mese di marzo del 1923 dona a Francesco Messina e Angelo

Barile due fascicoli identici. Entrambi i manoscritti recano il titolo

Rottami.

complessivo di Nel mese di luglio dona a Francesco

Messina una seconda raccolta di versi che però non s’intitola più

Rottami, Ossi di seppia.

ma Il 31 maggio 1924 compaiono su “Il

Ossi di seppia.

Convegno” cinque liriche con il titolo complessivo di

Ossi di seppia.

Nel 1925 pubblica a Torino Nel 1928 la casa editrice

Ossi di

Ribet pubblica una seconda edizione accresciuta degli

seppia.

Ossi di seppia

Gli sono la raccolta del Montale classico che ha la

funzione di un libro “ufficiale” che rappresenta il meglio del poeta.

Ossi di seppia

Tra le varianti di grande interesse c’è il titolo: è

Rottami.

preceduto idealmente dal quasi sinonimo

Ossi

Negli rimangono degli endecasillabi con accentuazione non

canonica. Altro punto della metrica di questi componimenti è la

frequenza di novenari, anch’essi molto frequenti.

Montale intreccia rime facendone un uso originale né così intenso (è

stato calcolato che il cinquanta per cento dei versi di questa

collezione sia rimato). Il tempo soggettivo è quello di una

giovinezza già chiusa e corrosa, stretta tra la fine dell’infanzia

mitica e un futuro incerto, o meglio bloccato, che si esprime

fondamentalmente in negativo. Il tempo della storia italiana in cui

Ossi

sono scritti i più degli è quello dell’affermazione del fascismo. È

difficile inoltre concepire alcuni passi di questa raccolta senza le

basi dannunziane di certe serie “marine”. Notiamo echi danteschi

come il palpitare lontano del mare. Quanto al lessico e alle

immagini di matrice percepiamo il gusto per la terminologia esatta

e specifica, specie della flora e fauna e del paesaggio e i motivi

legati al senso della natura ostile e minacciosa. In particolare il

Ossi di seppia

dannunzianesimo degli si spiega anche,

tematicamente, con la rappresentazione di una natura rivierasca

insieme infuocata e fermentante, difficile da concepirsi senza il

precedente dannunziano.

È presente il gusto per la puntualità lessicale, che sfocia nel

tecnicismo, il termine non individua mai il genere, ma sempre

specie precise e rare, notevole anche nella terminologia. È a questa

ricerca dell’individualizzazione lessicale e del tecnicismo che va in

buona parte riportata la serie non breve di dialettalismi liguri, ma

Ossi

ora è ovvio che la fitta presenza di ligurismi negli sia

soprattutto in funzione del colore locale o meglio del mito regionale,

in modo specifico, non generico, sentimenti e sensazioni sempre

oggettivati.

Montale è colui che ha congiunto il massimo di fisicità con il

massimo di astrazione metafisica: è poeta celeste e poeta terrestre

insieme. Proveniente del resto dalla marginale e singolare Liguria,

Montale è al centro della poesia italiana del secolo ma non è per

niente tipico di essa: anche se è stato immenso e capillare, egli non

ha propriamente avuto seguaci.

Si può parlare per Montale di poesia del correlativo oggettivo: le

cose diventano emblemi, anche i concetti e i sentimenti più astratti

trovano la loro definizione ed espressione in “oggetti” ben definiti e

concreti.

La poesia delle “cose” in Montale è tutt’altro che semplice e lineare,

ma è ardua e difficile, talora vertiginosamente oscura, nel tentativo

di attribuire agli oggetti il compito di cogliere il senso indecifrabile

dell’esistenza. Un medesimo termine contiene spesso una pluralità

di significati, intrattenendo con il contesto molteplici relazioni, che

lo rendono di ardua decifrazioni sul piano razionale.

Il simbolismo di Montale potrebbe essere visto, meglio, come una

forma nuova e tutta moderna di allegoria, nella misura in cui gli

elementi della natura rappresentano condizioni spirituali e morali.

LA CASA SUL MARE

Il viaggio finisce qui:

nelle cure meschine che dividono

l’anima che non sa più dare un grido.

Ora I minuti sono eguali e fissi

come I giri di ruota della pompa.

Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.

Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.

Composto quasi certamente nel 1924, questo testo termina il

trittico dedicato a Paola Vicoli. Si basa sulla condivisione del

negativo esistenziale, il fallimento del proprio destino si offre come

via di scampo per la donna. È il componimento esemplare della

sezione che presenta un legame tra esperienza e metafora,

dall’immagine-metafora del titolo stesso: il ritorno alla casa sul

mare dell’infanzia s’identifica col viaggio stesso della vita, privo di

risultati e di senso. I segni della realtà fisica, che il soggetto è in

grado di raccogliere, trasmettono tutti i sensi di una ripetizione

priva di sbocchi o di un’eccezionalità senza seguito. La stessa

memoria è incapace di trattenere lo sperpero vitale, e si riduce ad

una traccia evanescente. La conclusione è dunque carica di

desolazione e di malinconia. Si pone in rilievo tuttavia uno scatto

che affida all’interlocutrice femminile la possibilità, negata a se

stesso, di fare eccezione, partecipe di un destino di salvezza.

Descrive la fine di un viaggio, un percorso concreto, probabilmente

il “viaggio” della vita, finito perché giunto ad un ostacolo

invalicabile come il mare, oppure alla meta, rappresentata dalla

casa d’infanzia dove si deve interrogare sul senso della vita. Finisce

in preoccupazioni banali che feriscono l’anima, divenuta incapace di

reazioni vitali. L’immagine del ripetersi circolare del tempo è

rilevata dall’equivalenza tra il ruotare della pompa che estrae

l’acqua dal pozzo e il trascorrere del tempo. Il moto delle onde e

delle maree è ancora un’immagine del tempo sempre ripetitivo. La

distesa del mare non mostra nulla se non fumi quasi immobili, fumi

che possono essere intesi come nebbia oppure provenienti dalle

case sulla costa. E solo raramente appaiono, quando c’è la

silenziosa cala del vento, in mezzo alle nuvole, la Corsica montuosa

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