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Sintesi

Introduzione Illusione - Tesina



Nel corso di quest'anno scolastico, abbiamo affrontato più volte il tema dell'illusione, trattato sia in letteratura da autori come Leopardi, Pirandello e Svevo, che in filosofia da Schopenhauer.
Ho scelto di incentrare la mia tesina di maturità su questo argomento soprattutto dopo aver studiato le riflessioni di Schopenhauer sull'illusione e i romanzi di Svevo il cui protagonista è spesso l'inetto, ossia l'illuso.
Capita spesso che gli uomini, nel corso della loro vita, si illudano, perché la vita è piena di illusioni: l'illusione dell'amore, l'illusione di poter comprendere la realtà attraverso la conoscenza, l'illusione di potersi realizzare nella vita, persino l'illusione ottica.
Questo aspetto della vita, però, ha influenzato non solo scrittori e filosofi, ma anche pittori. É così che è nato il Surrealismo: un movimento che ha permesso agli artisti di dare sfogo alla loro creatività, di mischiare la realtà al sogno, portando gli uomini a interrogarsi sul significato più profondo dell'opera, e a capire che un quadro può essere interpretato in più modi di quanti ne immaginassero.
Uno dei più grandi esponenti del Surrealismo è senza dubbio Magritte, che ha saputo lasciarci a bocca aperta giocando con l'uso della parola e con l'illusione ottica.
É impossibile restare indifferenti a quelle immagini che confondono l'uomo, creando l'illusione della profondità e del movimento attraverso l'uso dei colori, della prospettiva e delle immagini geometriche. Queste immagini mi hanno sempre affascinato, e ho colto l'occasione per parlarne nella mia tesina.
Per concludere, ho scelto questo argomento per la mia tesina, perché credo che tutti, almeno una volta nella vita, si siano illusi, me compresa.

Collegamenti


Illusione - Tesina



Italiano - L'inetto di Svevo.
Filosofia - L'illusione per Schopenhauer.
Storia dell'arte - Magritte.
Scienze - L'illusione ottica.
Estratto del documento

L'INETTO

Una vita,

In Svevo presenta per la prima volta la figura

centrale dei suoi romanzi: l’inetto, ovvero l'uomo inadatto

alla vita e alla società, lo sconfitto. Egli non ha valori in cui

credere, non ha scopi, non ha un ruolo nella società in cui

riconoscersi, quindi non riesce a dare un senso alla propria

vita. L’inetto quindi si contrappone all’esteta.

L'inettitudine caratterizza tutti coloro che fanno parte della

società borghese, ma si distinguono da essa perché non ne

condividono i valori come il culto del denaro e del successo

personale. L'impossibilità di adattarsi alla società diventa

una vera impotenza psicologica, perché l'inetto non riesce

ad identificarsi con la figura vincente tipica della borghesia,

e si auto-esclude, rifugiandosi in mondi fittizi (grazie alla

letteratura) e vedendo in ogni altro uomo un antagonista,

in grado di uscire sempre vincente da ogni situazione, ma

anche dei punti di riferimento a cui appoggiarsi e cercare,

invano, di uscire dalla propria inettitudine.

Alfonso Nitti è appunto un inetto, che maschera i propri

sentimenti più veri fingendo di averne altri e non è capace

di vivere un'esistenza "costruttiva", ispirata da valori,

convinzioni, ideali positivi.

Alfonso è avvilito per la sua frustrante vita di impiegato.

Però il suo riscatto non avviene tramite la concretezza del

lavoro, ma attraverso l'evasione fantastica. Cioè Alfonso si

consola e si esalta col pensiero di essere superiore agli

altri, intellettualmente e culturalmente. Egli vive, perciò,

più delle sue fantasie che della realtà.

Il protagonista si presenta per la prima volta in una lettera

alla madre dove appare con chiarezza come la città, la

banca, la società in cui è costretto a vivere siano per lui

ostili ed emerge subito la sua tendenza ad autocompatirsi,

la sua incapacità di lottare e vivere nella società. Quando

viene invitato a casa Maller prepara in anticipo dei discorsi,

ma una volta in salotto è imbarazzato, vuole fuggire, non

riesce a dire ciò che avrebbe voluto. Egli sogna di diventare

un grande scrittore, un grande filosofo, ma non è all’altezza

della vita colta e filosofica cui aspira. L’illusione di vivere

per l’arte non lo salva, perché egli non è un artista, né un

filosofo, ma un uomo come tanti. Questo continuo

contrasto tra sogno e realtà accentua un’altra caratteristica

tipica dell’inetto di Svevo: il sopraggiungere della malattia,

del malessere che è indice di disadattamento da cui

Alfonso si solleva solo parzialmente con le evasioni fuori

città, che gli permettono di fuggire dalle persone tra cui è

costretto a vivere e con cui non riesce a relazionarsi.

L'INFLUENZA DI SCHOPENHAUER

Svevo ammette di essere stato influenzato da

Schopenhauer, in una lettera indirizzata a Valerio Jahier. La

vicenda di Alfonso riflette il rovesciamento del rapporto tra

conoscenza e volontà ipotizzata da Schopenhauer. Secondo

il filosofo, la volontà dell'uomo è irrazionale, non è guidata

dall'individuo stesso ma è un'espressione della volontà.

Alfonso è convinto di dominare le sue scelte, ma questa

convinzione è illusoria, è frutto di un autoinganno. Di fronte

agli esiti spesso fallimentari delle sue scelte, il protagonista

cerca di convincersi di aver agito in totale libertà. Egli non

è un lottatore (colui che vince nella lotta per la vita), ma un

contemplatore (colui che viene sconfitto). Alfonso non sa

impegnarsi nella vita. Ad esempio, prima del matrimonio, il

giovane fugge e torna in paese, con la ''scusa'' della madre

malata. Però, ci si è sempre posto il problema della

conclusione del romanzo, cioè del suicidio di Alfonso, che

non rientra nella condanna del suicidio da parte di

Schopenhauer. Svevo vede il suicidio e la morte come una

liberazione dalle sofferenze che vengono sottoposte dal

Mondo come volontà e rappresentazione,

mondo. Nel

Schopenhauer afferma che il suicidio non è una negazione,

ma un'affermazione della volontà. Il suicida vorrebbe la

vita, ma non è soddisfatto delle condizioni che essa gli

offre. Egli non rinuncia quindi al voler vivere, ma

unicamente al vivere.

ARTHUR SCHOPENHAUER

IL MONDO COME VOLONTÀ E RAPPRESENTAZIONE

Schopenhauer, filosofo tedesco, nacque a Danzica nel

1788. Studiò filosofia e si laureò a Jena. Sulla sua

formazione influirono soprattutto le dottrine di Platone e di

Kant. Quest’ultimo fu sempre considerato da Schopenhauer

come il filosofo più originale e più grande che sia mai

comparso nella storia del pensiero. L'influenza di Kant è

infatti presente nell'opera principale di Schopenhauer, “Il

mondo come volontà e rappresentazione”, pubblicata nel

1819. In questa lo stesso filosofo afferma “la mia filosofia

muove da quella Kantiana”. Infatti pone come punto di

partenza della propria dottrina la distinzione Kantiana tra

fenomeno e noumeno.

Inizialmente Schopenauer, come Kant, ritiene che la realtà

abbia due facce: quella fenomenica e quella noumenica.

Fenomeno è un termine che significa “rappresentazione”.

Per Kant la realtà fenomenica, quella che vediamo intorno a

noi, non è la realtà ultima, ma è comunque ben fondata dal

punto di vista razionale. Per Schopenhauer, invece, la

realtà fenomenica non è razionalmente fondata, è

illusione, è quello che nella filosofia indiana viene

chiamato “Velo di Maya” ossia l’illusione che vela la

realtà delle cose nella loro essenza autentica.

“E’ Maya, il velo ingannatore, che avvolge il volto dei

mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi

né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al

sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il

pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche

rassomiglia alla corda gettata a terra, che agli prende per

un serpente.”

Il concetto iniziale di velo di Maya deriva dai testi sacri

Veda e Purana. Nelle Upanishad antiche è ben spiegato che

Tempo, Spazio e Causalità sono le forme a priori che danno

origine alle rappresentazioni fenomeniche, cioè a Maya.

La conoscenza è rappresentazione della realtà. É un

incontro tra il soggetto che conosce e la realtà e da questa

relazione non si può uscire. Schopenhauer sostiene che

l'uomo non può avere una conoscenza della realtà

oggettiva, ma essa si fonda sulla rappresentazione. Questo

ci porta ad avere una visione della realtà velata, illusoria.

La rappresentazione non ci permette di cogliere la realtà

per ciò che è, ma ce la fa cogliere in modo velato.

Non possiamo arrivare a capire cos'è la realtà attraverso la

conoscenza, perché essa ci porta alla realtà velata dal velo

di Maya.

''Il mondo è una mia rappresentazione: questa è una verità

che vale in rapporto a ciascun essere vivente e

conoscente.''

La Maya è il potere divino mediante il quale l’Essere

supremo può far sorgere e scomparire le cose, da qui il

significato di potere illusionante. Ed è proprio da queste

considerazioni che Schopenhauer trova ispirazione per la

sua filosofia.

Per il filosofo la realtà visibile è apparenza, e quindi

illusione.

Poiché Schopenhauer paragona le forme a priori a dei vetri

sfaccettati attraverso cui la visione delle cose si deforma,

egli considera la rappresentazione come una fantasmagoria

ingannevole, traendo la conclusione che la vita è un

sogno, cioè un tessuto di apparenze o una sorta di

incantesimo.

Ma al di là del sogno e del fenomeno esiste la realtà vera,

sulla quale l’uomo non può fare a meno di interrogarsi.

Infatti l’uomo e un “animale metafisico”, che, a differenza

degli altri esseri viventi, è portato a stupirsi della propria

esistenza e ad interrogarsi sull’essenza ultima della vita.

Schopenhauer dunque non si limita a definire la realtà e il

fenomeno come illusione, ma indica anche quali secondo

lui sono le principali illusioni che devono essere svelate.

Esse sono:

-l'illusione dell'amore,

-l'illusione dell'ottimismo cosmico,

-l'illusione dell'ottimismo sociale,

-l'illusione dell'ottimismo storico.

L'ILLUSIONE DELL'AMORE

L'amore, a primo impatto, potrebbe sembrare una delle vie

di fuga dal dolore, ma per Schopenhauer non è così, anzi, è

visto dal filosofo come una forma di dolore. Schopenhauer

distingue tuttavia l'amore in due tipi: l'eros e l'agape.

L'amore è una maschera che cerca di nascondere la

tragicità della vita dell'uomo. Esso ci fa provare affetti che

sono solo un trucco per nascondere cosa sia davvero

l'amore, che è un'espressione egoistica della volontà.

Dietro l'amore, che è sentimento, si maschera l'amore

sessuale, chiamato eros, finalizzato alla riproduzione.

L'uomo sa che riprodursi significa mettere al mondo un

individuo caratterizzato da dolore e sofferenza. Per

nascondere questa realtà, l'uomo vive quell'insieme di

sentimenti e affetti che gli consentono di accettare il fatto

di conservarsi e riprodursi. Questo lo ha portato a

considerare propria la sessualità un tabù e a viverla con

vergogna. L'uomo si vergogna di volersi autoconservare.

L'eros è un istinto distruttivo. Esso esiste solo sotto forma

di impulso sessuale; anche chi crede di essere realmente

innamorato, in realtà inconsciamente sta solo cercando di

continuare la propria razza.

Anche l'ideale di bellezza ha questo scopo: l'uomo,

cercando il bello, cerca di migliorare la sua specie. L'amore

è visto come un semplice bisogno fisiologico e un atto

procreativo tanto che, dopo il momentaneo godimento

successivo all'atto sessuale, l'uomo non prova

appagamento, perché non ha fatto nulla per sé, ma ha

semplicemente obbedito alla Natura, che gli aveva affidato

il compito di procrearsi.

Il simbolo dell'amore sensuale è la mantide religiosa, che

prima si accoppia, poi uccide il suo partner.

L'agape, o carità, è una forma positiva dell�

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