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Matematica: Ricerca operativa durante la 2^ guerra mondiale
diviene pura solo fine a se stessa, il linguaggio è di ordine allusivo, ricco di metafore, di analogie, di
simboli; la parola diventa più preziosa, pura e astratta, a volte comprensibile solo per lo scrittore
stesso; la sintassi diventa imprecisa e a volte vaga, la metrica tende a lasciare il posto al verso
libero.
L’attenzione per l’interiorità dei personaggi e l’indagine del loro disagio esistenziale costituiscono il
comune denominatore di una nuova stagione narrativa che prende avvio dal Decadentismo e
continua per circa cinquant’anni, fino agli anni trenta del novecento. Quest’esperienza letteraria si
definisce “Romanzo della crisi”.
Il desiderio di distinguersi dalla massa si manifesta anche nella tendenza a considerare la malattia,
la corruzione e la morte come condizione di privilegio. Molti sono gli autori che indagano verso
questa scia di pensiero. Una figura tipica è quella sveviana, cioè quella dell’inetto, un uomo affetto
da malattia interiore, causata da una consapevolezza del senso della vita che lo rende incapace di
agire.
La patologia mentale, comunque si manifesti, è il risultato di una mancanza di adattamento
dell’individuo all’ambiente; le attività che questi esplica sono spesso scudi protettivi, forse tentativi
di colmare la distanza che lo separa da un Dio lontano e indifferente.
La “follia” può essere così un modo propulsivo per avvicinarsi, in modo del tutto inconscio, ad una
verità apparentemente irraggiungibile e in un certo senso può presentare un effetto del
riconoscimento di tale irraggiungibilità.
Lange Eichbaum affermava che “la maggior parte dei geni furono degli anormali psicopatici “. Le
biografie di molti geni testimoniano nodi psicopatologici, ma non si sa se tra genio e follia vi sia
una relazione di causa-effetto e non si può dire quale dei due possa essere causa dell’altro.
Riflettere sulla “follia” vuol dire riflettere sulla nozione di identità, su come percepiamo le cose, su
cos’è la realtà. La follia non è solo disagio o malattia : con le sue categorie, ci provoca e interroga la
nostra visione del mondo. Tradizionalmente, folle è colui che, per comportamenti e opinioni, si
distacca da ciò che la norma definisce “accettabile”. Qui inizia il problema della definizione della
pazzia : nei vari ambiti sociali e nei differenti contesti storici cambiano i parametri che dividono ciò
che è normale da ciò che è deviante.
La nevrosi, talvolta interpretata dalla società come vera e propria pazzia, è tra i temi privilegiati
della narrativa pirandelliana. Una svolta decisiva nella storia della follia è segnata dalla nascita
della psicoanalisi. I meccanismi del disturbo psichico sono ricondotti a quelli che regolano
l’inconscio di ogni uomo. La follia non è più un mondo estraneo. In questo modo si può rivendicare
il potere di conoscenza, mettendo in crisi le categorie tradizionali di io e di realtà. La pazzia quindi,
diviene una dimensione alternativa a quella della vita normale, giudicata come impraticabile da
molti scrittori del XX secolo. La follia è rifugio rispetto alla sofferenza dell’esistere. I più noti e
significativi esempi sono “Il fu Mattia Pascal” e “Unonessuno e centomila” che, come altri
personaggi pirandelliani, scelgono la pazzia per evadere dalla società e dalla sofferenza di esistere.
Luigi Pirandello
Nacque nel 28 giugno 1867 ad Agrigento (allora Girgenti), nella tenuta di famiglia denominata
“Caos”. Il padre di famiglia ligure aveva preso in affitto alcune zolfare, la madre apparteneva a una
famiglia antiborbonica.
La vita familiare non era per niente serena a causa del carattere forte del padre; da questo Luigi
Pirandello ricavò la concezione di famiglia come “trappola”. Dopo aver frequentato gli studi in
Italia si laureò in Germania nel 1891 con un tesi in lingua tedesca sul dialetto agrigentino. Dalla
giovinezza alla matura età si dedicò alla poesia e produsse anche alcuni versi con chiare influenze
Carducciane, per esempio la prima raccolta “Mal giocando”. Pirandello aveva una visione del
mondo sostanzialmente antilirica che trasmesse in molte delle sue opere. Tornato in Sicilia decide di
sposare la figlia del suo socio d’affari , Antonietta Portulano, donna bellissima ma di salute
cagionevole e psicologicamente fragile. Gli inizi del matrimonio furono abbastanza felici, diedero
alla luce 3 figli che in seguito presero le sue orme in arte e letteratura. Grazie all’aiuto economico
del padre di Pirandello, la coppia poté vivere a Roma dove ebbero l’opportunità di frequentare
salotti culturali famosi dove egli conobbe Luigi Capuana, che lo incoraggiò nella sua attività di
scrittore. Collaborò a giornali e riviste mostrando avversione per il dannunzianesimo e per ogni
espressione di simbolismo e di estetismo.
Nel 1987 ebbe un incarico di insegnante di lingua italiana all’istituto superiore di magistero. Nel
1903 una frana distrusse le miniere di zolfo e la notizia del disastro finanziario provoco in
Antonietta una crisi nervosa che si manifestò attraverso prima sotto forma di paralisi isterica, in
seguito come vera e propria malattia mentale che la afflisse per tutta la vita.
Dopo essersi dedicato alla moglie malata per molti anni, nel 1922 Pirandello lasciò l’insegnamento,
e cominciò a vivere viaggiando all’estero per seguire compagnie teatrali che mettevano in scena i
suoi drammi, lì conobbe Marta Abba. Ispirandosi a lei Pirandello continuava a comporrei i suoi
drammi, contenenti stralci di Pirandellismo, per la rappresentazione problematica della realtà, che
secondo lo schema del contrasto tra la vita e la forma diventa inesistente.
In un clima di delusione storica per il tradimento dei grandi ideali risorgimentali, Pirandello
incontro l’opera dei grandi veristi : Capuana, Verga, De Roberto, dai quali prese le mosse per
approdare al superamento della loro visione del mondo e dei loro modelli narrativi.
L’interesse di Pirandello era centrato particolarmente nel spostare il punto di osservazione
all’interno della vita psichica, per scoprirne la fragilità e l’incoerenza. Esprimeva la concezione
dell’io debole formato da più strati di coscienza che si trovano in un agglomerato temporaneo,
aveva una visione ottimistica e positivista nella scienza come mezzo di conoscenza e dominio sulla
terra. Secondo Pirandello la vita è un continuo fluire, senza scopo ne ragione che crea continue
“forme” e “mondi ideali” destinate alla distruzione.
Secondo Pirandello, ogni immagine del mondo esterno che l’uomo cerca di darsi è opinionabile: se
va bene per me, non per forza deve essere condivisa da terzi che, attraverso un’altra prospettiva, ne
creano una propria. In questa sfiducia per le forme tradizionali del sapere, Pirandello si accostò
all’occultismo e allo spiritismo, cercando risposte al vuoto della sua condizione esistenziale.
La realtà gli si presenta come un magma caotico , un flusso continuo, in un continuo divenire
dove l’uomo ne è sommerso. La vita è istinto, sentimento, fantasia, passione, un flusso interiore
mutevole e vario. La forma è invece morale comune, convenzioni sociali, gli ideali, le convenzioni
che ci creiamo.
Per vivere in società e darsi una forma, l’individuo deve indossare più maschere a seconda dei ruoli
o dalla circostanze. Oltre alla maschera che noi indossiamo, ci sono anche quelle che gli altri ci
attribuiscono e che noi dobbiamo indossare, se vogliamo vivere integrati alla società, denudare le
maschere significa liberare i personaggi dalla cristallizzazione della forma per farli vivere in una
vita più dolorosa ma più autentica.
Lo strumento della quale si serve Pirandello è L’umorismo, capace di farti passare oltre l’apparenza
della forma per mostrare l’io frantumato e diviso.
Un originale prodotto delle sue riflessioni tra “io-mondo” è la lanterninosofia, esposta da Anselmo
Palerari a Mattia Pascal. Gli uomini diversamente dalle altre specie viventi , ha il triste privilegio di
“sentirsi vivere”, usano questo sentimento per conoscere il mondo esterno.
In nostro sentimento della vita è paragonabile ad un lanternino colorato che si diffonde intorno un
debole chiarore, da far apparire minaccioso il buio al di là dei suoi confini. Noi alterniamo i
lanternini a dei lanternoni che rappresentano le nostre ideologie e le fedi. A seguito dei mutamenti i
lanternoni cadono, vaghiamo come lucciole senza meta. La morte, spegnendo i nostri lanternini, ci
unirà con l’essere indistinto.
Secondo quanto afferma Pirandello, noi, dunque, possediamo strumenti inadeguati di
conoscenza: e da essi ne ricaviamo un senso di smarrimento per il buio che ci circonda.
Per quanto riguarda lo stile, Pirandello, rinunciò alla retorica, ottenendo una lingua molto vicina al
parlato ancora una volta in antitesi con le scelte dannunziane.
Le sue opere principali
Le novelle
Le novelle da lui scritte sono più di 200 raccolte in un’unica opera intitolata
Novelle per un anno perché avrebbero dovuto essere 365. Esse rappresentano
situazioni in cui l’autore esprime la propria amara concezione della vita.
Le opere teatrali
Tra le più importanti vi sono:
Sei personaggi in cerca d’autore nel quale ciascuno dei sei
personaggi vogliono mettere in scena il proprio dramma;
La giara La storia rappresentata ripercorre con umorismo molti dei temi cari allo scrittore
agrigentino, tra cui la molteplicità dei punti di vista, l'ambiente siciliano e i conflitti
interpersonali
I romanzi
Tra i romanzi ricordiamo:
Uno, nessuno, centomila che presenta uno dei più interessanti temi
del pensiero pirandelliano: l’incomunicabilità umana.
Il fu Mattia Pascal : la storia di un uomo che, creduto morto, si rifà una
vita ma alla fine capisce che è impossibile essere veramente liberi dai
pregiudizi;
Uno, nessuno e centomila
La follia è il grande tema che percorre tutta l'opera pirandelliana; le sue opere
sono piene di richiami al mondo della follia, dell’inconscio, del sogno. Essa è il
suo punto di partenza per esplorare quella crisi d'identità che qualsiasi evento
può scatenare. Dall'idea per cui la personalità degli uomini non è una ma
molteplice verrà uno dei suoi temi decisivi: la follia
I suoi personaggi si sdoppiano, sono dissociati, sono contemporaneamente
“Uno,nessuno e centomila”. Questo romanzo aiuta a riflettere su uno dei più
interessanti temi del pensiero pirandelliano: l'incomprensione e
l'incomunicabilità umana (da cui poi ci si ricollega al tema della follia).
Il protagonista, Vitangelo Moscarda, entra in crisi quando gli viene fatto
notare dalla moglie di avere il naso diverso da come lui se lo vedeva:
questa banale constatazione lo porterà gradualmente alla pazzia.
Questo romanzo mette in evidenza quindi la diversità che esiste tra
come noi ci vediamo e come gli altri ci vedono ,non solo esteriormente
ma anche interiormente. Ciascuno non è uno, ma centomila, tante quante
sono le immagini che gli altri si fanno di lui. Naturalmente al termine pazzia
non sì dà il significato di patologia grave della psiche ma quello
pirandelliano più congruo di spazio vuoto, squarcio improvviso nella Pazzo è
coscienza, istantaneo ed insperato coincidere di essere ed esistere.
infatti chi, allo specchio, si scopra ad esistere in maniera diversa da quella
in cui credeva;e comunque chi, con la reduplicazione speculare
dell'immagine, come Vitangelo M., avvia un generale processo dì
scomposizione dell’ “io”, della propria personalità. La storia narrata in "Uno
nessuno e centomila" è proprio quella di una progressiva "scomposizione
dell'io”, il protagonista si accorge, di fronte allo specchio, di non essere
quell'uno che credeva di essere per sé e per la moglie. L'impossibilità di
conoscersi appieno, se non a patto di osservarsi praticamente dall'esterno,
e, quindi uscendo da sé per cui diventa impossibile vivere e vedersi
contemporaneamente.
Quindi, l'esperienza allo specchio gli conferma la sua ipotesi (cioè di non