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Sintesi

Introduzione Forza delle donne tesina



Il titolo della tesina vuole fare riferimento ad un sentimento, ad un senso comune al genere femminile. La forza delle donne può metaforicamente indicare quella prontezza d’animo con cui queste nel corso della storia, e soprattutto della storia recente con i movimenti femministi, hanno saputo, o comunque provato, a far fronte alle discriminazioni, ai soprusi e alle violenze a cui le donne sono sempre state soggette. Non voglio scrivere né di emancipazione femminile, né di suffragette, voglio scrivere della forza delle donne, della forza che mettono nella vita di tutti i giorni: nel lavoro, nella casa, nella famiglia o in tutto ciò che c'é di importante nell'esistenza umana. Voglio scrivere, nella mia tesina di maturità, della forza delle donne comuni, di quelle che sanno ricoprire ruoli importanti nel lavoro, pur non dimenticando i loro impegni matrimoniali e genitoriali, di quelle che riescono a dar conforto alle persone care, di quelle che sanno compiere un gesto gentile perfino ad uno sconosciuto.
Le donne, all’interno del loro gruppo di parentela, hanno sempre occupato una posizione di minor rilevanza. Spesso le loro mansioni erano relegate alla cura e alla gestione della casa, mentre le attività retribuite, le quali comportavano un maggior potere “contrattuale” all’interno della coppia, erano specifiche del genere maschile.
Un’esperienza che segna la vita di moltissime donne e considerata, in situazioni di stabilità economica e familiare, unica nella sua essenza è il parto. Partorire si rivela per moltissime donne, nonostante i dolori fisici iniziali, un evento stupendo, collegato alla sensazione di sentir crescere un figlio nel proprio grembo e di darlo al mondo, una gioia collegata all’idea di aver generato altra vita, di avere in qualche modo oltrepassato i limiti della morte imprimendo un po’ di noi stessi in un figlio che vivrà quando noi non potremmo più farlo. L’esperienza del parto però non deve essere vista come caratteristica della femminilità, poiché si può essere donne anche senza aver provato quest’esperienza magnifica. E’ il crescere un figlio che però rende per davvero madri. Non tutte le donne, come alcune lesbiche o le sterili, possono partorire, ma possono essere ugualmente donne e madri.
Le donne sono forti, passionali, sognatrici, mogli, mamme, lavoratrici, casalinghe e soprattutto sono capaci di stare accanto ad un uomo, per tutta la vita o di lottare contro un uomo per far valere i propri ideali. Molti tra i più grandi uomini del mondo si sono ritrovati ad amare una donna, ad apprezzarla o ammirarla, dietro ogni grande uomo vi è stata una grande donna; spesso senza il riservato appoggio del genere femminile gli uomini si sarebbero trovati (sicuramente) in circostanze peggiori: come sarebbe l’immagine di Obama senza la figura della sua splendida moglie Michelle a fianco?
Entrambi i generi devono essere autosufficienti, la donna non deve più, come in passato, farsi carico da sola dell’intera gestione dei servizi di cura in ambito familiare, ma questa è una mansione che deve essere ugualmente ripartita, ciò senza escludere la reciproca assistenza economica, morale e affettiva che di norma dovrebbe esserci in una relazione matrimoniale. Al giorno d’oggi sembra raggiunta la parità di diritti rispetto agli uomini, ma in realtà non è ancora effettivamente così. La lotta è ancora lunga, ci sono ancora uomini che provano a prevaricare, a volte con successo, per questo è importante ricordare la lotta di auto-valorizzazione che deve portare innanzi il genere femminile, anche nelle piccole cose e nella vita di tutti i giorni. La colpa delle discriminazioni ai danni della donna non è imputabile interamente al genere maschile, come se si trattasse di un’entità pensante, ma è dei processi e delle strutture sociali che, fin da tempi immemori, sfruttano l’apparato riproduttivo femminile per il controllo e la gestione della prole e delle risorse territoriali, mantenendo di conseguenza la donna in una posizione di subordinazione. Ovviamente le donne devono rifiutarsi di accettare ancora situazioni discriminatorie nei loro confronti. Noi donne abbiamo la forza per farlo, abbiamo la forza di contrapporci alle istituzioni patriarcali. Come disse una volta una donna: “Siamo donne, è la forza a trovare noi”. Di seguito inserisco nella tesina maturità la poesia rivolta alle donne dalla Dr.ssa Simona Oberhammer, naturopata e autrice di diversi libri che affrontano i problemi ed la forza che mettono nelle piccole e grandi cose.

Tesina monografica di Storia sulla forza delle donne, le donne partigiane, le donne e la Resistenza

.
Estratto del documento

BICA

IPSSCT Elsa Morante

Via Selmi, 16 Sassuolo MO

Corso serale classe 5r

ROSALIA

anno scolastico 2013/14

Tecnico della Gestione

Aziendale ad indirizzo informatico

1

Introduzione

Il titolo della tesina vuole fare riferimento ad un sentimento, ad un senso

comune al genere femminile. La forza delle donne può metaforicamente

indicare quella prontezza d’animo con cui queste nel corso della storia, e

soprattutto della storia recente con i movimenti femministi, hanno saputo, o

comunque provato, a far fronte alle discriminazioni, ai soprusi e alle violenze a

cui le donne sono sempre state soggette. Non voglio scrivere né di

emancipazione femminile, né di suffragette, voglio scrivere della forza delle

donne, della forza che mettono nella vita di tutti i giorni: nel lavoro, nella casa,

nella famiglia o in tutto ciò che c'é di importante nell' esistenza umana. Voglio

scrivere della forza delle donne comuni, di quelle che sanno ricoprire ruoli

importanti nel lavoro, pur non dimenticando i loro impegni matrimoniali e

genitoriali, di quelle che riescono a dar conforto alle persone care, di quelle che

sanno compiere un gesto gentile perfino ad uno sconosciuto.

Le donne, all’interno del loro gruppo di parentela, hanno sempre occupato una

posizione di minor rilevanza. Spesso le loro mansioni erano relegate alla cura

e alla gestione della casa, mentre le attività retribuite, le quali comportavano

un maggior potere “contrattuale” all’interno della coppia, erano specifiche del

genere maschile.

Un’esperienza che segna la vita di moltissime donne e considerata, in

situazioni di stabilità economica e familiare, unica nella sua essenza è il parto.

Partorire si rivela per moltissime donne, nonostante i dolori fisici iniziali, un

evento stupendo, collegato alla sensazione di sentir crescere un figlio nel

proprio grembo e di darlo al mondo, una gioia collegata all’idea di aver

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generato altra vita, di avere in qualche modo oltrepassato i limiti della morte

imprimendo un po’ di noi stessi in un figlio che vivrà quando noi non potremmo

più farlo. L’esperienza del parto però non deve essere vista come caratteristica

della femminilità, poiché si può essere donne anche senza aver provato

quest’esperienza magnifica. E’ il crescere un figlio che però rende per davvero

madri. Non tutte le donne, come alcune lesbiche o le sterili, possono partorire,

ma possono essere ugualmente donne e madri.

Le donne sono forti, passionali, sognatrici, mogli, mamme, lavoratrici,

casalinghe e soprattutto sono capaci di stare accanto ad un uomo, per tutta

la vita o di lottare contro un uomo per far valere i propri ideali. Molti tra i più

grandi uomini del mondo si sono ritrovati ad amare una donna, ad apprezzarla

o ammirarla, dietro ogni grande uomo vi è stata una grande donna; spesso

senza il riservato appoggio del genere femminile gli uomini si sarebbero trovati

(sicuramente) in circostanze peggiori: come sarebbe l’immagine di Obama

senza la figura della sua splendida moglie Michelle a fianco?

Entrambi i generi devono essere autosufficienti, la donna non deve più, come

in passato, farsi carico da sola dell’intera gestione dei servizi di cura in ambito

familiare, ma questa è una mansione che deve essere ugualmente ripartita, ciò

senza escludere la reciproca assistenza economica, morale e affettiva che di

norma dovrebbe esserci in una relazione matrimoniale. Al giorno d’oggi sembra

raggiunta la parità di diritti rispetto agli uomini, ma in realtà non è ancora

effettivamente così. La lotta è ancora lunga, ci sono ancora uomini che provano

a prevaricare, a volte con successo, per questo è importante ricordare la lotta

di auto-valorizzazione che deve portare innanzi il genere femminile, anche

nelle piccole cose e nella vita di tutti i giorni. La colpa delle discriminazioni ai

danni della donna non è imputabile interamente al genere maschile, come se si

trattasse di un’entità pensante, ma è dei processi e delle strutture sociali che,

fin da tempi immemori, sfruttano l’apparato riproduttivo femminile per il

controllo e la gestione della prole e delle risorse territoriali, mantenendo di

conseguenza la donna in una posizione di subordinazione. Ovviamente le

donne devono rifiutarsi di accettare ancora situazioni discriminatorie nei loro

confronti. Noi donne abbiamo la forza per farlo, abbiamo la forza di

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contrapporci alle istituzioni patriarcali. Come disse una volta una donna:

“Siamo donne, è la forza a trovare noi”. Di seguito inserisco la poesia rivolta

alle donne dalla Dr.ssa Simona Oberhammer, naturopata e autrice di diversi

libri che affrontano i problemi ed la forza che mettono nelle piccole e grandi

cose.

Lettera di forza alle donne

Cara donna, io so che la forza è dentro di te. Tu sai essere...

...forte quando hai un peso grosso sulle spalle però non smetti di tendere la tua

mano a chi ne ha bisogno;

...forte quando ti sembra che non ci sia più speranza eppure tu credi ancora

che tutto possa sistemarsi per il bene;

...forte quando consegni il tuo cuore e ti viene restituito in pezzi ma tu continui

a credere nell'amore;

...forte quando ti ammali ma tu speri, e speri, che il tuo corpo ce la possa fare;

...forte quando combatti per i tuoi figli come solo una madre sa fare;

...forte quando vieni lasciata in disparte da tutti e ti lecchi le ferite da sola, per

riprenderti e risorgere;

...forte quando piangi, e piangi, fino a far ritornare sul tuo viso il sorriso;

...forte quando gli anni passano e tu cerchi nuove risorse dentro di te, per

rinascere ancora;

...forte quando non sai più chi sei e inizi a scavare e a scavare, per ritrovare i

pezzetti di te stessa;

...forte quando sogni e continui a credere al tuo sogno, contro tutti i pronostici

a sfavore, perché è la tua creatura;

...forte quando ti senti diversa da tutti gli altri ma hai il coraggio di mostrarlo,

camminando a testa alta, senza mai smettere di credere in te stessa;

....forte quando nonostante le burrasche della vita sai che accanto a te c'è

sempre la tua anima...

La forza è dentro di noi, nel nostro femminile.

Simona Oberhammer 4

CARLA CAPPONI: la forza di una donna italiana

Carla Capponi nata il 7 dicembre 1918 a Roma,

staffetta partigiana e politica italiana, decorata con

la medaglia d’oro al valor militare, contro il fascismo

e il nazismo. Nasce da una famiglia piccolo

borghese e antifascista, figlia di un ingegnere

minerario e geologo, che le insegnò la scienza e la

matematica, e di una maestra che le insegnò a

leggere e a scrivere. I suoi genitori avevano una

mentalità molto aperta, senza pudori e pregiudizi,

parlavano liberamente del concepimento e della nascita. Carla aveva una

sorella e un fratellino e nei primi anni le due bambine vivevano tranquillamente

nella loro casa con giardino, mentre il fascismo restava fuori dalle mura. Il

padre lavorava come ingegnere alla sicurezza e le raccontava di come il suo

mestiere fosse molto pericoloso, anche perché i padroni non spendevano soldi

per la sicurezza dei lavoratori. E’ in questo modo che nacque in loro

l’antifascismo, all’interno di un nucleo familiare in cui si coltivava l’amore per la

libertà e l’odio per le violenze e la guerra, cioè tutto ciò che non dava il

fascismo, come poteva essere (anche) la libertà di parola o libertà di agire. La

determinazione che aveva Carla si vide anche da un altro avvenimento: già a

13 anni ricopiò un opuscolo su Matteotti per consegnarlo in classe.

Nel ’30 Mussolini stava facendo lasciare le proprie case a tutte le famiglie

benestanti che non erano del partito fascista o che potevano compromettere il

suo piano di guerra, così come la famiglia di Carla, che dovette lasciare in

breve tempo la propria casa per andare in quartieri decadenti e in rovina, con

fitti altissimi. Carla però si ritenne ugualmente fortunata perché andarono in

un bell’alloggio, situato all’ultimo piano. Pian piano, con la crescita,

l’antifascismo di Carla mutò in comunismo. Carla si diplomò al liceo Visconti ma

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alla morte del padre, avvenuto in un incidente in miniera, fu costretta a lasciare

gli studi di giurisprudenza per aiutare economicamente la famiglia. Nel luglio

del ’43, dopo il bombardamento in cui venne ferita la madre, Carla accorse in

ospedale per starle vicina e rimase volontaria per aiutare i feriti.

6 Successivamente, la madre di Carla

fu molto coraggiosa poiché aprì casa

sua all’ attività clandestina,

ospitando le riunioni del comitato

femminile di assistenza diretta. In

queste riunioni Carla conobbe

Rosario Bentivegna, soprannominato

Sasà, studente di medicina. La

mattina del’ 8 settembre, Carla seguì

un gruppo di civili armati e si offrì

volontaria nella battaglia per la

difesa di Roma dalla truppe tedesche,

Attentato di Via Rasella - Roma lì si unì ad un gruppo di donne che

distribuivano cibo ai militari e si offrì anch’essa di combattere, senza riuscire

però ad avere alcun’arma, anche perché scarseggiavano. L’indomani assisté al

mitragliamento tra un carro tedesco e uno italiano, con un soldato di nome

Carta: il carro andò a fuoco ed ella tirò fuori Carta per le ascelle e se lo portò

fino a casa sulle proprie spalle, salvandogli la vita. Dopo l’occupazione tedesca

entrò nel partito comunista italiano e partecipò alla resistenza nel GAP

centrale, comandato da Rosario. Allora le donne svolgevano solo funzioni

d’appoggio, ma lei voleva di più, sentiva di poter dare di più, non le bastavano

quelle semplici funzioni, lei voleva l’arma, così ne rubò una ad un milite in un

autobus affollato e la prima volta che iniziò ad usarla fu la sera del 17 dicembre

del ’43, quando insieme a Bentivegna ed altre due persone eliminarono un

tedesco. Carla, soprannominata poi Elena, mise successivamente una bomba

all’uscita di un cinema frequentato da soldati tedeschi, uccidendone 8.

Partecipò alla collocazione di un altro ordigno fuori da un carcere tedesco,

durante il cambio di guardia uccidendone altri 8. Nel ‘44 i tedeschi fecero

grandi rastrellamenti. In viale Giulio Cesare, un gruppo di donne volle portare

assistenza ai mariti imprigionati dai nazi-fascisti. Una di queste, Teresa,

ribellatasi ad una prepotenza tedesca, ottenne come risultato (di essere

fucilata).

Carla vedendo cadere il corpo morente di Teresa, d’impulso prese la pistola e

sparò, ma contemporaneamente un’altra partigiana sua amica le aveva alzato

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il braccio, così da far partire il colpo in aria. Subito dopo, fu circondata dalle

altre donne presenti, tra le quali vi era Marisa Musu, la quale le sfilò la pistola e

le mise in tasca la tessera di un’associazione fascista così quando Carla venne

arrestata, riuscì a convincere di essere estranea all’azione. Il giorno dopo fece

saltare da sola un camion tedesco carico di fusti di benzina vicino al Colosseo.

La Capponi dal ’44 divenne completamente clandestina e arrivò a tingersi i

capelli di nero per non farsi riconoscere. Il 23 marzo del 1944 avvenne il più

grande e importante attacco dei GAP in via Rasella, a Roma, contro il I

battaglione composto da 156 uomini. L’azione fu compiuta con una bomba al

tritolo di 18 kg, portata con un carrello della nettezza urbana, trasportato da

Bentivegna travestito da spazzino, il quale accese anche la miccia. Poco

lontano, di sentinella ad attenderlo con un’impermeabile per il cambio d’abito,

c’era Carla e gli altri della squadra erano pronti ad attaccare da più lati con

bombe modificate sparate da mortai brixia. Morirono 33 soldati tedeschi

mentre ci furono 110 feriti; in questa azione morirono anche 2 persone

estranee ai fatti, ma cui un bambino. (Dopo) I tedeschi, per vendetta, decisero

che per ogni tedesco ucciso, 10 italiani dovevano pagarla, così ci fu l’eccidio

delle Fosse Ardeatine: fu un massacro di 335 italiani, tra militari e civili tra cui

anche un gappista. Furono tutti fucilati a Roma il 24 marzo del 1944. Poco

tempo dopo fu arrestato un gappista per furto e dopo esser stato torturato tradì

facendo il nome di molti partigiani. Dopo questa strage Carla e Rosario,

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