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Storia: il Fascismo
Sistemi: il modello OSI
Elettronica: i convertitori
Inglese: the OSI model
Informatica: le maschere dei database
ESSERE E APPARIRE:
1° collegamento
La tragedia di Pirandello, che fa vedere nelle sue opere, è nel vedersi
vivere, cioè i personaggi sono come se uscissero da se stessi per vedersi
dal di fuori come se fossero altri e per vedere il contrasto tra la vera
realtà, tra la vera vita e la maschera (falsità) che indossiamo per
vivere nella società.
I suoi personaggi sono sempre tragici e sono definiti maschere nude
perché prive di una vera realtà, che è nascosta dentro di loro, tranne
quella che appare fuori all'esterno agli altri (falsa, maschera) e ci fanno
capire che la vera realtà dello spirito, se c'è, non si può conoscere mai.
LUIGI PIRANDELLO
-IL FU MATTIA PASCAL
BIOGRAFIA AUTORE:
Luigi Pirandello nasce ad (Girgenti) Agrigento nel 1867, da una famiglia
dell'agiata borghesia, proprietaria di una miniera di zolfo.
Lo scrittore, appartenendo alla classe borghese può partecipare agli studi
superiori e dopo essersi fatto una propria cultura frequentando il liceo classico
a Palermo, si iscrive alla facoltà di Lettere dell'Università di Roma, dedicandosi
soprattutto alla filologia romanza, per poi trasferirsi a Bonn nel 1889, dove
nel '91 si laurea in glottologia con una tesi sul dialetto di Agrigento e studia la
psiche umana, prendendo spunto dall’ideologia di Freud. Nonostante la sua
notevole distanza dall’isola di nascita, Pirandello porta dentro di se
un’immagine della Sicilia che resterà un riferimento costante della sua opera:
una terra ancora feudale, chiusa, in cui l’apparire conta più dell’essere e la
violenta vitalità delle passioni si scontra con la rigidità delle tradizioni.
Dopo la laurea, nel 1893 torna in Italia e l’anno successivo si sposa con una
giovine siciliana benestante (socia del padre), da cui avrà tre figli, e si stabilisce
a Roma, dove, grazie ad un assegno mensile del padre, si dedica
completamente alla letteratura. Nonostante la sua grande apertura verso
l’amicizia, resta molto ostile al d’Annunzio soprattutto per il suo pensiero
estetista e il suo spirito aristocratico. Frequenta quindi gli scrittori dell’alta
Italia che si riuniscono intorno a Luigi Capuana con cui stringe una forte
amicizia e, successivamente collaborando a riviste letterarie e insegnando
all’istituto superiore del Magistero di Roma, scrive le prime novelle,
pubblicando nel 1901 il primo romanzo (l’’esclusa). In queste opere l’autore,
nonostante non partecipasse alla vita politica, descrive la vita della classe
borghese, evidenziandone i difetti e criticandola.
Nel 1903 una frana con allagamento distrugge la miniera di zolfo nella quale
erano stati investiti sia i capitali di suo padre che la dote di sua moglie, la
quale, già sofferente di nervi (sospettava continuamente che il marito la
tradisse), si ammala gravemente, cominciando a manifestare i primi segni di
uno squilibrio psichico che la condurrà poi in manicomio. Pirandello reagisce a
questa situazione conducendo a Roma una vita ritirata e lavorando
intensamente per far fronte alle difficoltà economiche (insegnava, scriveva e
dava lezioni private); così la letteratura diventa per lo scrittore non
un’occupazione disinteressata e per il solo fine di trasmettere piacere (come i
letterati illuministi), ma un mezzo per mantenere la propria famiglia.
Tuttavia, le sue novelle, raccolte poi col titolo Novelle per un anno, e i suoi
romanzi (L'esclusa, Il turno, Il fu Mattia Pascal e altri), nonché i suoi saggi (in
particolare L'umorismo) passano quasi inosservati. Nel 1909 pubblica le sue
novelle sul corriere della sera.
Gli anni della guerra sono per Pirandello un periodo di solitudine e di angoscia,
oltre che per l’aggravarsi della malattia della moglie, per la morte della madre
a cui era legatissimo, e per la prigionia in Germania del figlio Stefano, partito
volontario.
La celebrità gli giunge soltanto in età matura, quando, a partire dal 1916, si
rivolge quasi interamente al teatro. Le sue commedie suscitano entusiasmi e
scalpori, talvolta accolte con dissensi clamorosi, si impongono al pubblico
soprattutto dopo la fine della I guerra mondiale. Ottengono vasta risonanza
Liolà, Pensaci Giacomino!, Così è (se vi pare), L'uomo dal fiore in bocca, Enrico
IV e molte altre commedie.
Grazie alle sconvolgente novità delle sue opere, Pirandello diventa l’autore più
famoso e discusso del teatro italiano, oscurando la fama del D'Annunzio. Nel
1921 l’opera “sei personaggi in cerca di autore” è fischiata a Roma, ma
accolta trionfalmente a Milano, Londra, Parigi e New York. Grazie a questo
successo internazionale, la vita dello scrittore cambia radicalmente: a quasi
sessant’anni abbandona l’insegnamento, si lascia alla spalle la vita borghese e
sedentaria svolta fino a quel momento per girovagare per palcoscenici e
alberghi di tutto il mondo, al seguito dei suoi attori teatrali. Rispetto ai
riconoscimenti del pubblico e della critica, il suo atteggiamento rimane
ambiguo: da un lato li cerca e se ne compiace, dall’altro se ne dichiara
imbarazzato e infastidito. Agli inizi del 1926 pubblica una delle sue opere di
maggior rilievo “Uno, nessuno e centomila” avvicinandosi con interesse al
cinema.
Nel '24 si iscrive al partito fascista, pochi mesi dopo l'assassinio di Matteotti e
forte sarà la sua polemica con Amendola. Tuttavia, Pirandello, iscrittosi solo
per aiutare il fascismo a rinnovare la cultura, restandone presto deluso, non si
è mai interessato di politica. E’ convinto che i problemi dell’uomo dipendono
dalla sua esistenza e che non possono essere risolti da cambiamenti sociali e
istituzionali. Si dimostra “superficiale” e oscillante nelle prese di posizione
pubbliche; vaga dal radicalismo giovanile, fondato sulla denuncia del
tradimento degli ideali risorgimentali all’annessione al fascismo e nel '29 il
governo Mussolini lo include nel primo gruppo dell'Accademia d'Italia appena
fondata (insieme a Marinetti, Panzini...): questo era allora il massimo
riconoscimento ufficiale per un artista italiano, ma Pirandello non se ne
dimostra affatto entusiasta, assumendo un atteggiamento sempre più
distaccato dal regime. La polizia politica lo individua fra coloro che “portano il
distintivo all’occhiello, ma non nel cuore”, e lo accusa di approfittare dei viaggi
all’estero per “denunciare il fascismo”. Nel '25 assume la direzione di una
compagnia teatrale di Roma, che resterà in vita sino al '28.
Nel '34 gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura. Mussolini,
attraverso il Ministero degli Esteri, cerca subito di sfruttarne la fama
internazionale sperando di usarlo come portavoce estero delle ragioni del
fascismo impegnato nella conquista dell'Etiopia. Nel luglio del '35 infatti il
drammaturgo deve partire per Broadway, per rappresentare alcuni suoi
capolavori fatto che lo avrebbe condotto ad un intervista da parte dei
giornalisti. Ma Pirandello non si presta a tale servilismo.
Nell’ultimo periodo della sua vita il successo non cancella
l’amarezza e il senso di isolamento; Durante le riprese
cinematografiche de Il fu Mattia Pascal, effettuate a Roma, si
ammala di polmonite e muore nel 1936, lasciando
incompiuto “I giganti della montagna”. A dispetto del regime
fascista, che avrebbe voluto esequie di Stato, vengono
rispettare le clausole del suo testamento, nel quale chiede di
essere cremato, di lasciar disperdere le sue membra per non
far avanzare nessuna parte del suo corpo e di lasciar passare in silenzio la sua
morte. E così fu fatto.
PENSIERO E POETICA:
Pirandello definisce la vita un “involontario soggiorno sulla terra” “un’enorme
pupazzata” e vive la sua attività di scrittore come una fuga: “Io scrivo e studio
per dimenticare me stesso per uscire dalla disperazione”. Lo scrittore è in
costante disarmonia con se stesso e con il mondo. Infatti in sintonia con le
filosofie di vita contemporanee, egli percepisce la vita come un evento
spontaneo e inarrestabile; in base all’ “umorismo Pirandelliano”, viene vista
come un “Ossimoro”: bisogna ridere nella disperazione. Gli individui vengono
identificati nella società in base ai ruoli che svolgono, i doveri e le abitudini a
cui sono sottoposti e le immagini che gli altri si fanno; cioè in base a finzioni
necessarie ma non autentiche, incapaci di rispecchiare l’effettivo modo di
essere. Chiunque cerchi di mettere a nudo il suo vero volto, liberandosi delle
finzioni, scopre che la sua identità è impossibile separarla dall’apparenza. L’io
personale si trasforma di volta in volta, è in continua evoluzione, frutto di
diverse modi in cui ci vedono le persone che ci stanno a contatto. La
“frantumazione dell’io” si avverte soprattutto nel saggio “L’Umorismo
(1908)” in cui viene anche fuori la volontà dell’autore di distrugger il “mito”,
demistificare l’arte, in netto contrasto con l’ideologia di D’annunzio che vuole
creare il “mito” di se stesso.
Se quindi è impossibile conoscere la verità di noi stessi, a maggior ragione non
è possibile conosce la realtà del mondo esterno; non esiste una realtà uguale
per tutti, ma tante realtà soggettive che ciascuno si costruisce a modo suo, dal
suo particolare modo di vista (relativismo). Pirandello è consapevole che una
simile visione del mondo non può appoggiarsi sulle tradizionali concezioni
dell’arte; infatti nel saggio “L’Umorismo” prende le distanze sia dalle poetiche
veristiche e decadenti che dall’idea della poesia scevra da componenti razionali
e filosofiche. Lo scrittore “umoristico” deve infatti far interagire il sentimento
con la riflessione. L’accostamento di questi due opposti atteggiamenti mette a
nudo le differenze fra ciò che appare e ciò che è. Così, invece di mirare
all’ordine e alla coerenza, l’umorista crea opere scomposte che vogliono
spiazzare il lettore. Lo scrittore distingue il “comico” dall’ “umoristico”
asserendo che il primo si ha quando qualcuno o qualcosa è il contrario di quello
che dovrebbe essere, mentre l’umorismo si instaura quando dalla riflessione
nasce un sentimento di pietà. Questo processo di sdoppiamento viene
evidenziato da Pirandello come il “sentimento del contrario”: un misto fra riso
e pianto, disprezzo e compassione.
Pirandello è stato probabilmente l'autore che ha meglio rappresentato il
periodo che va dalla crisi successiva all'unità d'Italia all'avvento del fascismo.
Pochi come lui hanno avuto coscienza dello scacco subito dagli ideali del
Risorgimento e dei complessi cambiamenti in atto nella società italiana.
Al centro della concezione Pirandelliana sta il contrasto tra ciò che gli uomini
credono di vedere, anche in buona fede, e la sostanza delle cose. La critica delle
illusioni va di pari passo con una drastica sfiducia nella possibilità di conoscere
la realtà. L’arte maggiore di Pirandello va ricercata soprattutto nella sua opera
di drammaturgo. Egli segna nel teatro una svolta decisiva. Prima di lui il
teatro s’era proposto di portare in scena uno spaccato della realtà
oggettivamente intesa e rappresentata con l’arte del verosimile. Ma per
Pirandello, che esclude l’oggettività della realtà, ciò è impossibile.
Le opere teatrali del Pirandello contengono molte pagine belle di sincero
sentimento, di profonda umanità, di tristezza e pietà per il destino e la
fragilità dell’uomo; però presentano non pochi difetti, come l’umorismo
spietato e distruttore, l’eccessiva impostazione aulica delle vicende,
l’uniformità dei motivi e dei problemi trattati, lo squallore di intrecci contorti
e stentati, i personaggi che non vivono le loro azioni, ma le analizzano con
dialettica sottile. Tuttavia l’arte pirandelliana, malgrado i limiti, con il suo
messaggio umano ha fatto sentire il suo influsso sui drammaturghi moderni,
italiani, europei e americani.
CONFRONTO CON AUTORI CONTEMPORANEI:
Specialmente nei primi racconti delle novelle composte da Pirandello, non è
difficile individuare l’influenza di Verga, anche se l’autore si dimostra estraneo
all’interesse per il “tipico” e il “verosimile”.