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Sintesi
Storia : tipi di movimenti femministi, diffusione del femminismo nella seconda guerra mondiale , e nel secondo dopoguerra;

Italiano: "A Silvia " di Giacomo Leopardi , pensiero di Giacomo Leopardi, "Il Paradiso" (Divina Commedia ) di Dante;

Diritto: commento comma per comma dell'articolo 37 della Costituzione Italiana ;

Scienze delle finanze: prestazioni previdenziali , soffermandomi sulle prestazioni a sostegno del reddito (la cui gestione è affidata all'INPS);

Economia Aziendale : "L'Imprenditoria Femminile"( business plan, budget e legge 215/92 "Azioni positive sull’imprenditoria femminile”:)

Inglese: "Devil wears Chanel" ( Business organization :sole trader, partnership and limited company) , Microloan;

Matematica: relazioni statistiche( interpolazione,correlazione e regresione) e esercizio svolto in excel;

Informatica: La comunicazione in rete (Lan,wan e le loro origini);

Attualità : Le quote rosa nelle Cda e nella Politica.
Estratto del documento

Il movimento delle donne in Italia nasce nel

secondo dopoguerra , solo più tardi, negli anni

il femminismo italiano

’60, nasce ,

caratterizzato da un conflitto tra emancipazione e

liberazione. La spinta femminile per

l’emancipazione si esaurisce con il

raggiungimento del diritto al voto nel 1946

conquistato nel 1945 non ottenendo però il diritto

ad essere elette , con cui si era conclusa l’epoca

della dittatura fascista e della seconda guerra

mondiale. Il concetto di “liberazione” non

sottintendeva solo il diritto allo studio, al lavoro,

alla parità di salario; si trattava di rimettere in

gioco i diritti civili. La riflessione sul tema della

liberazione dall’oppressione di una società

maschilista non si esplicava solamente in assemblee e manifestazioni, ma in pratiche di

organizzazione originale, che valorizzavano la fondamentale autonomia e vivacità della donna:

riunioni, gruppi di autocoscienza, cortei per l’8 Marzo.

Il 3 Settembre 1943 l’Italia firmava l’armistizio con le Forze Alleate. Mentre l’Italia meridionale

era occupata già dagli Alleati, le regione centrali e del nord erano rimaste sotto il controllo dei

tedeschi. Non disposti ad aspettare l’arrivo degli Alleati per essere liberati dai nazi-fascisti, gli

italiani cominciarono ad organizzare un movimento di Resistenza di massa, fra loro vi era un

grande numero di donne: oltre 35.000 donne italiane furono impegnate direttamente nel

combattimento accanto agli uomini.

Proprio in quegli anni (1943-1945) venivano fondate le maggiori associazioni di donne italiane,

il CIF (cattolico) e l’UDI (schierato con la Sinistra).

Precisamente nel Settembre del 1944 a Roma, un gruppo di combattenti della Resistenza

composto di donne comuniste e socialiste formarono l’UDI (Unione Donne in Italia), proponendo

così la creazione di una grande associazione di donne unificata e democratica basata sulla loro

esperienza antifascista durante la guerra.

Nell’Ottobre del 1944, sempre a Roma, volendo promuovere la partecipazione di donne

cattoliche, un gruppo dei leader della Restistenza si incontrarono per formare il CIF (Centro

Italiano Femminile).

Per acquisire il diritto di voto, le donne dell’UDI e del CIF dovettero rivolgersi, per averne il

sostegno, ai partiti. In una mozione presentata al Comitato di Liberazione Nazionale nel

novembre 1944, i gruppi femminili chiedevano al governo di garantire alle donne il voto nelle

vicine elezioni. Solo dopo un intenso periodo di campagne e dispute, finalmente il voto fu

garantito nelle elezioni del 1946.

Le elezioni politiche del 2 giugno 1946 furono le prime elezioni della storia italiana dopo il

periodo di dittatura fascista.

Ebbero diritto di voto tutti gli italiani, maschi e, per la prima volta le femmine di almeno 21 anni

d'età. Gli aventi diritto al voto rappresentavano il 61,4% della popolazione.

In seguito l’UDI e il CIF lavorarono insieme per il sostegno e la protezione delle lavoratrici,

dentro e fuori la casa, e ciò fu strumentale per l’ottenimento della legge del 1950 che definì

illegale il licenziamento della donna durante la gravidanza e successivamente, nel 1963, venne

emanata una legge che proclamava illegale il licenziamento nel caso del matrimonio.

Entrambe le associazioni promossero la battaglia per ottenere fondi necessari per erogare

pensioni alle casalinghe, che risultò nella creazione di Mutualità Pensioni nel 1963

(un’assicurazione pensionistica volontaria). Inoltre, lottarono per i servizi sociali garantiti dallo

Stato, come asili nido, scuole materne e servizi per il tempo non-scuola, l’uguaglianza entro il

nucleo familiare e molte altre cause.

Ma il punto di vera svolta fu indubbiamente segnato dal movimento collettivo del 1968,

allorché studenti, operai, artigiani e donne appartenenti ai più svariati livelli occupazionali e

sociali si trovano uniti nel rivendicare diritti fino ad allora calpestati; gli studenti chiedevano la

riforma scolastica e il diritto allo studio, i lavoratori condizioni migliori di lavoro e di salario, le

donne dimostravano a favore di una maggiore e definitiva emancipazione.

Nuovo e importante risultò il fatto che il femminismo, aggregandosi al movimento studentesco

del Sessantotto, ne abbia condiviso la carica rivoluzionaria.

Il boom economico, l’avviata industrializzazione avevano mutato l’assetto sociale delle famiglie

e le nuove necessità, nel frattempo, avevano portato anche la donna nel mondo del lavoro,

riscattandola in parte dai ruoli tradizionali all’interno della famiglia.

I MOVIMENTI DEGLI ANNI ’60-’70 IN ITALIA

Negli anni Sessanta e Settanta, le donne cominciarono, quindi, ad ottenere posti di

responsabilità nel campo del lavoro e delle professioni, nell’industria privata e nel pubblico

impiego.

Il femminismo, dunque, non si propose più come movimento globale di rivendicazioni

estremistiche o generalizzate, ma appuntò le sue iniziative su specifiche richieste, intese alla

conquista di una legittima e dovuta “pari opportunità”, sul lavoro, nelle professioni, nella

società e all’interno stesso della famiglia.

Nel 1970 nascevano i primi collettivi femministi, all’interno dei gruppi che facevano parte del

cosiddetto “Movimento Studentesco”.

Nel 1972 i collettivi delle donne crescevano in tutta la penisola: il “Movimento di Liberazione

della Donna” (M.L.D), vicino al partito radicale; il “Fronte Liberazione Donna”, nato all’interno

dei sindacati; “Rivolta Femminile”, un gruppo teorico a cui aderivano donne avvocato per

studiare la riforma delle vecchie leggi e le proposte di leggi nuove.

Il movimento delle donne cominciava ad essere propositivo. Anche se ogni gruppo agiva in

perfetta autonomia, il filo che li univa era il medesimo.

In questi anni ci furono diverse innovazioni.

Nel 1970 era stata approvata la legge che introduceva anche in Italia il divorzio, ma i gruppi

cattolici reagirono con una alzata di scudi e chiesero immediatamente l’istituzione di un

referendum popolare per abrogarla. Tutto questo portò a un chiaro fallimento del referendum,

nel quale quasi il 60% degli italiani votò per non abrogare la legge.

Nel 1972 si cominciò a pensare di riscrivere alcune vecchie leggi che risalivano ai primi anni del

fascismo, e questo impegno portò alla approvazione del Nuovo Diritto di famiglia, avvenuta nel

1975.

Questi furono i cambiamenti più importanti:

separazione nel matrimonio fra rito religioso e rito civile;

 riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio;

 depenalizzazione dell’adulterio femminile;

 comproprietà dei beni acquisiti dopo il matrimonio;

 patria podestà anche alla madre.

Molto più travagliata e sofferta fu la legge per la legalizzazione dell’aborto, che era già in

vigore in altri stati europei.

La prima stesura venne presentata nel 1970. Nuovamente il mondo cattolico, specialmente

femminile, si ritrovò tutt’altro che compatto: la grande piaga dell’aborto clandestino, che

colpiva le donne meno abbienti, semplicemente non poteva essere ignorata. Chi aveva

possibilità economiche andava ad abortire in Inghilterra oppure approfittava di cliniche private

dove l’intervento veniva registrato come aborto spontaneo.

Anche in questo caso ci volle un referendum, nel 1978 l’aborto viene introdotto per legge.

La Costituzione Italiana

“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le

stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.

Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della

sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre ed al

bambino una speciale ed adeguata protezione .

La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.

La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad

essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.” Art. 37

norma sancisce il principio dell'assoluta

COMMA 1.La

parità tra i lavoratori uomo e donna più in

generale tratta del divieto di discriminazione in

base al sesso, sancito dall'art. 3. In attuazione del

dettato costituzionale, molte leggi speciali

tutelano, in primo luogo, la parità di trattamento

l'accesso e le opportunità di

per quanto riguarda

lavoro (indipendentemente da qualunque sia il

parità di

settore o il ramo di attività), nonché la

retribuzione .

Il legislatore, nell'intento di garantire l'eguaglianza sostanziale fra uomo e

azioni positive

donna, può anche prevedere a favore delle donne, volte a

garantire un trattamento preferenziale rispetto all'altro sesso .

A livello sovranazionale la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione

europea, all'art. 23 tutela, nell'ambito del più generico principio di parità tra

uomini e donne, anche l'applicazione di questo diritto nel campo del lavoro,

dell'occupazione e della retribuzione. In particolare la Carta europea, al fine di

conciliare la vita familiare e professionale degli individui, tutela all'art. 33, in

maniera esplicita, i diritti delle lavoratrici legati alla maternità. «essenziale

l'esigenza di tutela della

COMMA 2.Sancisce

funzione familiare» dell'infanzia,

e

speciali

introducendo garanzie e diritti (come l’art. 31

,comma 2 : ”Protegge la maternità,infanzia e la

(la Repubblica) . Il

gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo ”)

madre,

legislatore si occupa della lavoratrice in quanto

ritorna, infatti, ad essere giustificato ed opportuno

l'intervento protettivo ed assistenziale, poiché la tutela

della maternità e della funzione familiare della donna

acquista una posizione prioritaria nella scala dei principi costituzionali,

superiore anche a quella della parità di trattamento.

divieto di licenziamento della donna a causa di

A tal fine si sancisce il

matrimonio gravidanza,

e durante il periodo di e si riconoscono una serie di

diritti (aspettative, riposi ed assenze retribuite), alcuni dei quali sono stati

estesi progressivamente anche a soggetti (lavoratore padre) ed a situazioni

(figli in mancanza di vincolo matrimoniale) originariamente non contemplati.

comma introduce una riserva di

COMMA 3.Questo

legge nella determinazione del limite di età per l'acquisto della capacità di

prestare lavoro. Il D.Lgs. 345/1999 ha stabilito che l'età minima per

l'ammissione al lavoro dei minori è quella

posseduta dal minore nel momento in cui

conclude il periodo di istruzione obbligatoria e

mai, in ogni caso, prima dei 15 anni compiuti. Il

conseguimento dell'età in cui il minore termina la

scuola dell'obbligo è il requisito indispensabile

previsto dall'art. 32 della Carta dei diritti

fondamentali dell'Unione europea al fine di

ammettere i giovani al lavoro. tutela

Il lavoro minorile è garantito da una

COMMA 4.

autonoma, speciale

cioè differenziata rispetto al lavoro femminile, e rispetto

alla generale tutela dei lavoratori. Ciò ha consentito di introdurre significative

limitazioni nell'impiego della manodopera minorile da parte del datore di

lavoro, nonché il divieto di adibirla a lavori pericolosi, faticosi ed insalubri e

visite mediche preventive periodiche,

l'obbligo di sottoporre i minori a e per

accertarne l'idoneità allo svolgimento delle specifiche mansioni e seguirne lo

sviluppo psicologico. a parità di

Ai minori che prestano lavoro, inoltre, devono essere garantite,

lavoro, le medesime retribuzioni spettanti ai lavoratori adulti, per evitare di

discriminare il lavoro minorile sulla base di un suo presunto minore rendimento.

La particolare attenzione che la nostra Costituzione riserva al divieto di lavoro

minorile trova corrispondenza anche a livello sovranazionale nell'art. 32 della

Divieto del

Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, intitolata

lavoro minorile e protezione dei giovani sul luogo di lavoro. La Carta

europea, in particolare, oltre a sottolineare la protezione dei giovani nei

confronti dello sfruttamento economico dovuto alla loro età, sancisce che il

lavoro a cui questi sono ammessi non deve minarne la sicurezza, lo sviluppo

fisico, mentale, morale o sociale o mettere a rischio la loro istruzione.

“A Silvia”- Giacomo

Leopardi

Scritta a Pisa nella primavera del 1828 nel periodo più

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