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Sintesi
Psicologia: Donald Winnicott; Milton Erikson

Italiano: Luigi Pirandello

Inglese: Dubliners (James Joyce)

Filosofia:
Martin Heidegger (la ricerca dell'autenticità)
Estratto del documento

Battaglino Sebastiano

crisi dell’identità soggettiva e la ricerca

“La dell’autenticità”

La maturazione dell’identità nell’individuo

-Visione generale dell’identità in psicologia

L’identità personale si distingue sotto il profilo corporeo, intellettuale e psicodinamico.

Affinchè questa tre sfere, che compongono l’identità, si possano sviluppare pienamente, le agenzie

di socializzazione e formative sollecitano gli atteggiamenti di sicurezza, di stima di sé, di fiducia

nelle proprie capacità e motivazione alla curiosità; è inoltre indispensabile che l’individuo viva in

modo equilibrato e positivo i propri stati affettivi e che impari a controllare i proprio sentimenti e le

proprie emozioni, nonchè a rendersi sensibile a quelle degli altri, anche tramite l’interculturalità:

tant’è vero che le istituzioni dovrebbero educare a cogliere i valori specifici della comunità di

appartenenza non in forma esclusiva ed etnocentrica, ma in vista della comprensione di comunità

e culture diverse dalla propria.

-L’io sono nella società

Secondo Winnicott (“Sum,”, in “Da luogo alle origini”) la coscienza della propria identità nasce dall’

”Io sono”, ossia dalla consapevolezza di se’ come individuo distinto dagli altri, ma nel contempo

“compromesso nelle relazioni con gli altri”.

Infatti come lo stesso Winnicott afferma in “Costruzione dell’unita’ individuale” (“Sulla natura

umana”) l’acquisizione di un’autentica identità personale non avviene al chiuso della propria egoità,

ma in un vero e proprio commercio esistenziale con l’altro.

Le condizioni affinchè ciò avvenga quindi sono riscontrabili nell’adolescenza dove coesistono i

fattori cognitivi e relazionali che possono permettere all’individuo di creare e sviluppare la propria

identità.

-Il quinto stadio dello sviluppo piscosociale e la ricerca dei ruoli

Secondo Erik Erikson il problema dominante dell’adolescenza, infatti, è proprio lo sviluppo di un

solido senso di se’: un’identità personale che serva da norma per il proprio comportamento.

L’adolescente dovrà affrontare situazioni e prendere decisioni sulla base di quel che egli è e di ciò

che vuole dalla vita, slegandosi dai genitori che non possono più proteggerlo né prendere decisioni

per lui.

Il termine identità personale implica: l’individualità, la coerenza e l’integrazione.

L’individualità non significa isolamento, bensì “realizzarsi” in un modo unico; tuttavia il se’ dovrà

avere degli aspetti comuni con gli altri come sosteneva precedentemente Winnicott.

La coerenza è essenziale perché se le decisioni da prendere non si basano su di un insieme

coerente di bisogni, scopi e ideali, si indirizzeranno verso direzioni casuali o confuse.

Erikson dedica il quinto stadio dello sviluppo psico-sociale all’identità: “Identità e rifiuto posti a

dispersione d’identità” .

Il processo di formazione dell’identità emerge come una configurazione che si evolve, una

configurazione che viene gradualmente a stabilirsi attraverso sintesi e risintesi dell’io per tutta

l’infanzia. Fiducia ( primo stadio), autonomia (secondo stadio), iniziativa ( terzo stadio), operosità

(quarto stadio), contribuiscono tutte a formare l’identità del bambino. E’ nel quinto stadio però che

questo problema raggiunge l’apice. Rapidi cambiamenti psicologici producono un “nuovo” corpo

che ha bisogni sessuali non familiari. Questi cambiamenti, accanto alla pressione sociale affinchè

prenda decisioni relative all’occupazione e all’educazione, forzano i giovani a prendere in

considerazione una varietà di ruoli. Il compito di base per l’adolescenza consiste nell’integrare le

varie identificazioni che si porta dall’infanzia per formare una identità più completa. Erikson

ribadisce che questa totalità dell’identità è maggiore della semplice somma delle sue parti

(precedenti identificazioni) e comprende i nuovi bisogni, abilità e mete dell’adolescente. Se questo

non è in grado di integrare le proprie identificazioni, i propri ruoli e i propri sé, ha a che fare con

una “diffusione di identità”. La sua personalità è frammentaria, priva di nucleo. Il problema può

esacerbarsi se un individuo appartiene a una minoranza sociale, ha dei dubbi sulle proprie

tendenze sessuali, ha un’eccessiva identificazione con un genitore o ha davanti troppi ruoli fra cui

scegliere.

La modalità psicosociale di questo stadio è rappresentata dall’essere se stessi o meno. I giovani

cercano il loro vero sé attraverso gruppi di pari, associazioni, movimenti politici e così via. Se

durante l’infanzia l’individuo si fondava sull’identificazione con i genitori e i fratelli maggiori, durante

l’adolescenza ricerca figure esterne al contesto familiare. I gruppi hanno la funzione di fornire

opportunità per provare ruoli nuovi, allo stesso modo in cui il giovane si prova delle giacche in un

negozio fino a che trova quella che gli sta bene. L’ideologia della società, la controparte per

l’ordine sociale di questo stadio, guida questa messa in atto di ruoli, trasmettendo quelli più

accreditati dalla società.

E’ proprio questo il punto da cui muove Pirandello la propria critica all’idea d’identità.

L’inconsistenza dell’io nella concezione pirandelliana

-La fuga dalla “trappola”

La crisi dell’idea d’identità e di persona risente evidentemente dei grandi processi in atto nella

realtà contemporanea, dove si muovono forze che tendono proprio alla frantumazione e alla

negazione dell’individuo.

L’espandersi della grande industria e dell’uso delle macchine, che meccanicizzano l’esistenza

dell’uomo, riducono il singolo a insignificante rotella di un gigantesco meccanismo, privandolo di

relazioni e privandolo di coscienza: annullando l’individuo in quanto tale. (L’idea dell’individuo

artefice del proprio destino, dominatore del proprio mondo, che era rimasta alla base della cultura

della borghesia ottocentesca, ora tramonta).

Pirandello è uno degli interpreti più acuti di questi fenomeni, e li riflette lucidamente nelle sue

costruzioni letterarie.

La presa di coscienza di questa inconsistenza dell’io suscita nei personaggi pirandelliani

smarrimento e dolore. L’avvertire di non essere “nessuno”, provoca angoscia ed orrore, l’individuo

soffre il suo essere fissato in “forme” in cui non può riconoscersi. L’uomo si “vede vivere”, si

esamina dall’esterno nel compiere gli atti abituali che gli impone la sua “maschera”.

Queste forme sono sentite come una “trappola”, in cui l’individuo si dibatte invano per liberarsi. La

società gli appare come un’ “enorme pupazzata”, una costruzione artificiosa e fittizia, che isola

irreparabilmente l’uomo dalla “vita”, lo impoverisce e lo irrigidisce, lo conduce alla morte della

propria soggettività.

L’istituto in cui si manifesta per eccellenza la “trappola” è la famiglia.

L’altra è quella economica, la condizione sociale ed il lavoro. Gli eroi pirandelliani sono infatti

prigionieri di un’organizzazione gerarchica oppressiva.

Un chiaro esempio è rappresentato dalla novella “Il treno ha fischiato” pubblicata sul Corriere

della Sera nel 1914. Il protagonista, Belluca, un impiegato mansueto, sottomesso, metodico e

paziente viene sottoposto a pressioni sia nell'ambito familiare che lavorativo. A lavoro, infatti, è

vittima di mobbing in quanto il capoufficio gli dà da svolgere sempre del lavoro in più, che non

rientra nella sue mansioni e quindi nella sua retribuzione. Una notte, dopo aver sentito il fischio di

un treno, si ribella alle angherie del capoufficio producendosi in un imprecisato vaniloquio. Con

queste reazioni, fuori dagli schemi della società, i suoi colleghi lo ritengono pazzo e lo fanno

rinchiudere direttamente nell'ospizio. Nella novella l'ordine cronologico è invertito. Non si va dalla

normalità alla pazzia ma dalla pazzia dobbiamo risalire alle cause che l'hanno determinata che

affondano nella probabile normalità.

Il fischio del treno (che sarebbe il treno della Fantasia) rappresenta un modo per uscire dalla

quotidianità. A differenza degli altri personaggi pirandelliani lui non cerca di crearsi un'altra vita

(Mattia Pascal in Il fu Mattia Pascal) o è in ribellione continua con tutte le regole della società

(Moscarda in Uno, nessuno e centomila), ma ritorna semplicemente a condurre la sua vita nello

stesso modo di prima, solo che ogni tanto si concede qualche viaggio con la mente.

-La “maschera”: antitesi del vitalismo

Ma dalla “trappola” della società Pirandello non individua una via di fuga: il suo pessimismo è

totale, non gli consente di vedere altre forme di società diverse. Per lui è la società in quanto tale,

in assoluto, che è condannabile, poiché negazione del movimento vitale e di conseguenza

dell’identità.

Per Pirandello, infatti, la realtà tutta è “vita”, ”perpetuo movimento vitale”, eterno divenire: come il

flusso incandescente di un magma vulcanico.

Tutto ciò che si stacca da questo flusso, assume forma distinta ed individuale, si rapprende e si

irrigidisce, comincia, secondo Pirandello, a morire.

Così avviene anche dell’identità personale dell’uomo. Tendiamo a cristallizzarci in forme

individuali, a fissarci in una realtà che noi stessi ci diamo, in una personalità coerente ed unitaria.

Non solo noi stessi, però, ci fissiamo in una forma. Anche gli altri, con i quali viviamo in società,

vedendoci ciascuno a seconda della propria prospettiva particolare, ci danno a loro volte

determinate “forme”. Noi crediamo di essere “uno” per noi stessi e per gli altri, mentre siamo tanti

(centomila!) individui diversi.

Ciascuna di queste forme è una costruzione fittizia, una “maschera” che noi stessi ci imponiamo e

che ci impone il contesto sociale. Sotto questa maschera però non c’è un volto definito,

immutabile: non c’è “nessuno”, o meglio un fluire indistinto e incoerente di stati in perenne

trasformazione, per cui un istante più tardi non siamo più quelli che eravamo prima.

“Uno,nessuno e centomila” è l’approdo estremo della parabola iniziata con il “Fu Mattia Pascal”

sulla critica dell’identità.

Mentre Pascal distrugge l’identità senza proporre però un’alternativa, Moscarda va più a fondo:

non si limita a confessare di non sapere chi sia, ma afferma deliberatamente di non voler più

essere nessuno, di rifiutare totalmente ogni identità individuale.

Rifiuta cioè di chiudersi in qualsiasi forma parziale e convenzionale e accetta di sprofondare nel

fluire mutevole della vita, morendo e rinascendo in ogni attimo identificandosi con le persone

esterne occasionali.

“Perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in

ogni cosa fuori.”

Se “Uno, nessuno e centomila” propone un messaggio che vuol essere positivo, esemplare, un

programmatico tipo fi insegnamento di vita. E’ un’alternativa radicale alle finzioni della commedia

sociale, poiché nessun legame lo unisce più alla società. Moscarda, infatti, sceglie la fusione con

la natura. Al contrario la conclusione del “Fu Mattia Pascal” è solo negativa ed interlocutoria, che

condanna l’uomo alla paralisi.

-Lo strappo nel cielo di carta

Un chiaro esempio c’è dato da Anselmo Paleari, il padrone di casa di Adriano Meis, nuova identità

di Pascal, che in trattenendo il protagonista con le sue storie bizzarre tocca questo punto centrale

delle concezioni pirandelliane.

“L’immagine della marionetta d’Oreste sconcertata dal buco nel cielo mi rimase tuttavia un pezzo

nella mente. A un certo punto “beate marionette!” sospirai” su le cui teste di legno il finto cielo si

conserva senza strappi! Non perplessità angosciose, né ritegni, né intoppi, né ombre, né pietà:

nulla! E possano attendere bravamente e prender gusto alla loro commedia e amore e tener se

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