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Introduzione Come ribellARTI, tesina
Nella mia tesina di maturità ho scelto di trattare il tema della “rivincita dell'arte” come un vero e proprio augurio a me stessa per il futuro che verrà, avendo scelto di frequentare un istituto d'arte per i miei studi universitari. L'idea di questo tema per la mia tesina nasce da una semplice domanda sentita molte volte negli ultimi mesi da parenti e amici una volta comunicata loro la mia scelta per il corso di Communication Design: “Ne sei certa? Troverai poi lavoro?”. Fin da piccola la mia passione per l'arte ha trovato sfogo in numerose forme: la danza mi ha accompagnato per sedici anni dietro le quinte e sul palco di un teatro, la musica mi ha fatto consolidare amicizie nei pomeriggi passati a suonare, i ricordi più belli che possiedo sono quelli in cui i miei nonni disegnavano per me “coccodrilli dalla coda attorcigliata e cavalli”. Per questo motivo vorrei che l'arte diventasse la mia vita più di quanto già non lo sia. Ho deciso così di riportare esempi di grandi personalità che fecero la storia dell'arte nelle sue ampie sfaccettature, tutti uomini che decisero di ribellarsi abbandonando vie più convenzionali e di dedicarsi totalmente alla loro passione artistica, trovando infine il successo e cosa non meno importante, la felicità. La mia scelta nasce dalla convinzione che l'arte sia parte integrante della natura umana: l'arte è comunicazione, così come l'uomo stesso. Ogni uomo in quanto essere sociale prova l'irrefrenabile necessità di comunicare: anche quando non lo vorremmo e non sempre verbalmente, ci tradiamo continuamente cercando di nascondere i nostri veri pensieri. Basta un'espressione, un solo gesto. L'uomo e l'arte sono indissolubilmente uniti ed è ciò che mi spinge a considerare un lavoro a stretto contatto con l'arte come il lavoro più bello del mondo. L'uomo è pura comunicazione proprio come l'arte. L'uomo stesso è arte. La tesina permette anche collegamenti con le varie materie scolastiche.
Collegamenti
Come ribellARTI, tesina
Italiano - Carlo Emilio Gadda.
Arte - Henri Matisse.
Inglese - T.S. Eliot.
Fisica - Alfred Eisenstaedt e l'applicazione alla fotografia dell'effetto fotoelettrico in riferimento a Plack, Einstein e Compton.
Ho scelto di trattare il tema della “rivincita dell'arte” come un vero e proprio augurio a
me stessa per il futuro che verrà, avendo scelto di frequentare un istituto d'arte per i
miei studi universitari.
L'idea di questo tema nasce da una semplice domanda sentita molte volte negli ultimi
mesi da parenti e amici una volta comunicata loro la mia scelta per il corso di
Communication Design: “Ne sei certa? Troverai poi lavoro?”.
Fin da piccola la mia passione per l'arte ha trovato sfogo in numerose forme: la danza mi
ha accompagnato per sedici anni dietro le quinte e sul palco di un teatro, la musica mi ha
fatto consolidare amicizie nei pomeriggi passati a suonare, i ricordi più belli che possiedo
sono quelli in cui i miei nonni disegnavano per me “coccodrilli dalla coda attorcigliata e
cavalli”. Per questo motivo vorrei che l'arte diventasse la mia vita più di quanto già
non lo sia.
Ho deciso così di riportare esempi di grandi personalità che fecero la storia dell'arte nelle
sue ampie sfaccettature, tutti uomini che decisero di ribellarsi abbandonando vie più
convenzionali e di dedicarsi totalmente alla loro passione artistica, trovando infine il
successo e cosa non meno importante, la felicità.
La mia scelta nasce dalla convinzione che l'arte sia parte integrante della natura umana:
l'arte è comunicazione, così come l'uomo stesso.
Ogni uomo in quanto essere sociale prova l'irrefrenabile necessità di comunicare: anche
quando non lo vorremmo e non sempre verbalmente, ci tradiamo continuamente cercando
di nascondere i nostri veri pensieri.
Basta un'espressione, un solo gesto.
L'uomo e l'arte sono indissolubilmente uniti ed è ciò che mi spinge a considerare un lavoro
a stretto contatto con l'arte come il lavoro più bello del mondo.
L'uomo è pura comunicazione proprio come l'arte. L'uomo stesso è arte.
Nato il 31 dicembre 1869 in Francia da una famiglia agiata borghese, Henri Matisse
frequentò gli studi di giurisprudenza a Parigi lavorando come impiegato statale.
A causa di un attacco di appendicite che lo costrinse a letto, cominciò a dipingere nel 1889
scoprendo così “un vero Paradiso”, come lo definì in seguito.
Decise di diventare un artista con grande disapprovazione del padre frequentando in
seguito l'Accademia di Belle Arti a Parigi.
Le sue opere ottennero un discreto successo fin dagli esordi, facendolo divenire uno dei
maggiori esponenti di quello che sarà poi definito Espressionismo Francese dei
Fauves.
Sebbene siano poche le notizie riguardanti la sua biografia poichè la sua attività pittorica si
svolse per decenni nel suo ambiente familiare lontano dalla vita mondana, è tuttavia
risaputo che egli si dedicò all'arte fino alla veneranda età di 84 anni, venendo infine a
mancare nel 1954 a Nizza.
LA PRODUZIONE ARTISTICA
Matisse eseguì un attento lavoro di ricerca portando il suo stile al perfezionamento e alla
massima originalità, fino alle soglie dell'Astrattismo, senza mai perdere il gusto per la
forza espressiva del colore e la freschezza infantile delle forme.
Divenne il rappresentate più noto dei Fauves, movimento espressionista francese che
rappresentò una variante più solare e vivida dell'analogo Espressionismo Tedesco,
connotato da ambientazioni cupe e tematiche drammatiche.
Letteralmente, il termine “espressione” è il contrario di “impressione”: se gli Impressionisti
catturarono le sensazioni del mondo a loro circostante per immortalarne l'attimo fuggente,
gli Espressionisti rielaborarono la realtà tramite la loro soggettività interiore, con colori
dai toni forti e soggetti trasfigurati, elementi ben distinguibili nella produzione di Matisse.
Influenzato dai lavori di Cézanne, Gauguin, Van Gogh e Signac ma anche dall'arte
giapponese, fece del colore l'elemento cruciale dei suoi dipinti. Molti dei suoi quadri
realizzati tra il 1899 e il 1905 fecero uso del Pointillisme, praticato da Signac e nel 1898 si
dedicò anche allo studio dei dipinti di William Turner.
Le opere di Matisse giocano sul piano della bidimensionalità, sacrificando al colore
vivace la definizione dei dettagli e la tridimensionalità. L'uso di colori primari senza
alcuna stemperatura tonale conferiscono forza nella comunicazione visiva.
Il suo cromatismo gioioso esprime al meglio la serenità interiore dell'autore, il suo
equilibrio ed armonia.
In questa prima fase pittorica, rientrano celebri opere quali “La Danza” nelle sue due
versioni, “Madame Matisse – Ritratto con la Riga Verde”, il Ciclo delle Odalische, “Donna
con Cappello”, “Lusso, Calma e Voluttà”.
Recensione “PONT SAINT-MICHEL”, 1903 ca.
Collezione Stephen Robert e Pilar Crespi Robert
Mostra del 24 Marzo 2016, Torino
“Mi aggiravo per i corridoi tra la luce soffusa, il rumore dei passi ovattati sulla moquette.
Osservavo quei colori nervosi presentarsi uno dopo l'altro scontrandosi nelle opere e quelli
più tenui danzare insieme, forme diverse trovare un loro equilibrio o non ricercare affatto
quella sensazione di stabilità.
Matisse, tu da buon galantuomo, da buon amante, provi a concedermi il meglio di te.
Mi mostri la pacatezza, la tranquillità della vista da Pont Saint-Michel.
Mi prometti l'aspettativa di una vita dolce in tua compagnia, colorata, fresca, di un
panorama vitale, vibrante. Mi prometti che con te tutto sarà diverso da questo pontile.
Basta saper guardare.
Mi stringo nelle braccia, nel maglione troppo grande, nei capelli troppo lunghi, cerco di
trovare l'inganno delle tue promesse. Non traspare tristezza, sfogo, tensione,
ripensamento sofferto nella tua arte. Può essere davvero così? Non ti credo. Ma allo
stesso tempo non trovo il tuo trucco.
Sento il vuoto, sento l'aria in gola, sento una sorta di inquietudine quasi fastidiosa, quasi
piacevole. La consapevolezza di non dover pensare più a nulla.
Provi ad afferrarmi, a convincermi con un sorriso, a trattenermi ancora un po' su quel
ponte a sentire quella sensazione di libertà, dell'aroma del caffé al mattino mentre l'aria
fresca ti sfiora ancora la pelle, quando il sole deve ancora trovare la forza di scaldare e
diradare la nebbia, quando le foglie sono umide, il traffico delle dieci non é più così
violento nelle strade e lascia spazio a chi ha il tempo di respirare a pieni polmoni le ore
giovani e fresche.
Forse oggi pioverà.
C'é un uomo qui a pochi passi da me. Osserva la tua opera. Sembra così catturato dal tuo
modo di fare. Il modo in cui ti guarda, chissà se anche io ti guarderò mai così, ne provo
quasi gelosia.
Perché il mio ed il tuo, caro Matisse, é un tentativo di contatto che non si concretizza, un
amore inconcluso e la forte sensazione di necessità di risolvere qualcosa di irrisolto. É
indefinito ma bello, intenso, a tratti angosciante. A tratti é vuoto, silenzioso.
É nulla.
É un bacio negato all'ultimo di cui si ricorda solo il fiato mozzato e l'incrocio di sguardi.
É un abbraccio troppo stretto da cui liberarsi prima di scottarsi.
É l'incapacità di sciogliersi in un maglione troppo grande, nei capelli troppo lunghi, per poi
perdersi tra le dolci e forse false promesse della vista di Pont Saint-Michel, tra l'odore di
caffé.
É l'incapacitá di fidarsi e di andar più via da me”.
Carlo Emilio Gadda nacque a Milano nel 1893 da una famiglia della buona borghesia.
A pochi anni dalla sua nascita, i genitori proiettarono le loro aspirazioni nella costruzione di
una villa in Brianza ma ciò comportò la rovina economica della famiglia.
Da quel momento, Gadda dovette vivere in ristrettezze e privazioni che fecero scaturire in
lui la “nevrosi” e un profondo rancore nei confronti dei genitori.
Egli venne costretto dalla madre ad intraprendere gli studi di ingegneria contro la
sua naturale vocazione letteraria: la professione di ingegnere fu per lui un peso
insopportabile, qualcosa di arido e mortificante che alimentò l'astio per lei e diede vita ad
un rapporto di amore ed odio che ispirò le pagine del suo celebre lavoro “La Cognizione
del Dolore”.
Nel 1915 interruppe gli studi universitari e partì come volontario al fronte vedendo nella
guerra un riscatto contro il suo “male oscuro”. Al contrario, però, la morte del fratello
in combattimento lo segnò ulteriormente.
Tra il 1922 e il 1931 esercitò la professione di ingegnere, lasciando sempre più
spazio alla letteratura e alla scrittura: Gadda fu uno scrittore apprezzato negli ambienti
letterari ma ignorato dal grande pubblico.
Nel 1836 la morte della madre risultò un fatto traumatico e scatenò in lui terribili sensi
di colpa, tanto da spingerlo ad avviare la stesura del suo romanzo più famoso,
“La Cognizione Del Dolore”, tra il 1936 e il 1938.
Tra il 1938 e il 1941 pubblicò parzialmente la sua opera sulla rivista “Letteratura” ma solo
nel 1963 avvenne la pubblicazione in volume della medesima.
Divenuto anziano, trascorse gli ultimi anni della sua vita in protettiva solitudine tormentato
dai dolori fisici, dal suo “male oscuro” e dalle sue fobie.
Morì a Roma nel 1973.
“LA COGNIZIONE DEL DOLORE”
“La Cognizione del Dolore” è l'opera più importante di Carlo Emilio Gadda, pubblicata
parzialmente fra il 1938 e il 1941, poi in volume nel 1963 ma lasciata incompiuta.
In questo romanzo, Gadda proiettò tutte le sue sofferenze ed ossessioni, molte delle quali
scaturite in primo luogo dal tormentato rapporto con la madre.
Scomparsa la madre nel 1936, Gadda decise di far i conti con i risentimenti, le frustrazioni,
gli odi e le delusioni che Adele Lehr incarnava fisicamente attraverso una confessione
tragicamente autobiografica, dal momento che aveva sempre praticato un'analisi spietata
e consapevole delle proprie nevrosi generate dalla mancanza di affetto in tenera età.
La vicenda del romanzo è ambientata nell'immaginaria località del Maradagal (una simil
Brianza lombarda in Sud America) dove il protagonista Don Gonzalo Pirobutirro (alter
ego trasfigurato di Gadda), discendente da una famiglia di hidalgos spagnoli, è un
ingegnere quarantenne scapolo, colto, appassionato di letteratura e studi filosofici.
Egli, proprio come l'autore, vive ancora con la vecchia madre nella villa fatta costruire
dai genitori con sacrifici dolorosi che segnarono la sua infanzia, pur di non rinunciare
all'antico lustro signorile della famiglia.
L'eroe è spesso colpito da nevrosi, tormentato dalla morte del fratello in guerra,
ossessionato da fobie che sfociano in deliri, prova rancore profondo verso la figura
materna.
La vicenda ha inizio il 28 agosto 1934, quando il dottor Felipe Higueróa viene informato
del fatto che Don Gonzalo lo attende nella sua villa per una visita.
Prima del loro incontro, il dottore raccoglie lo sfogo di una domestica che biasima
l'ingegnere come una persona spaventosa per poi visitare Don Gonzalo, il quale si sfoga
riguardo l'eccessiva generosità della madre nei confronti del prossimo in contrasto con la
la fame e il freddo che ha patito nell'infanzia. Infine, egli si rivela deciso a rivendicare
il possesso della sua casa e allo stesso tempo esprime una forte apprensione nei confronti
della figura materna.
Dopo diversi episodi in cui Don Gonzalo assiste all'invasione della villa da parte di abitanti
del luogo, minaccia la madre per poi partire.
La convivenza dei due, legati da affetto sincero ma chiusi in una sorda incomunicabilità,
non potrebbe essere più difficile: da una parte la signora è costretta a temere il figlio e sa
di non poter contare su di lui per il sostegno di cui avrebbe bisogno; dall’altra Gonzalo,
incapace di frenare le proprie fantasie persecutorie e deliranti, si abbandona a furiosi scatti
d’ira rivolti verso la madre e verso i contadini che affollano la proprietà, lasciando
presagire un finale drammatico: la notte stessa, la madre è vittima di una violenta
aggressione per mano di intrusi e viene ritrovata moribonda nella sua camera da letto.
La “Cognizione del Dolore” presenta un titolo forse poco accattivante ma decisamente
rilevante, essendo un'analogia riguardante la materia della psicanalisi: la metafora