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Storia dell'Arte: Alessandro Magno e gli artisti del suo tempo;
Letteratura latina: Seneca, Tacito, Curzio Rufo;
Letteratura Italiana: Ugo Foscolo, Alessandro Manzoni, Giovanni Pascoli, Alessandro Magno ai giorni nostri.
Alessandro infatti volse a Sud, e nel 332 conquistò, non senza fatica, le città di Tiro,
Sidone e Gaza. Ora niente poteva più arrestare la sua avanzata verso l’Egitto. Giunto
nella terra dei faraoni, Alessandro si reca all’oasi di Siwa per consultare l’oracolo di
Giove Ammone. Dopo una marcia nel deserto “benedetta dagli dei” Alessandro giunge
dall’oracolo che lo proclama suo figlio, nonché faraone d’Egitto e signore dell’Asia.
Sempre in Egitto tra il 332/1 Alessandro fonda la sua prima Alessandria sulla foce del
Nilo (Alessandria sarà poi il fulcro di una civiltà, quella ellenistica, che porta la firma
delle conquiste di Alessandro).
La conquista delle capitali
Nella primavera del 331, Alessandro lascia l’Egitto per riprendere le azioni di guerra
contro la Persia. La situazione in Grecia e nell’Egeo appare tranquilla e pertanto può
dedicarsi allo scontro che doveva risolvere il conflitto con Dario.
Varca indisturbato l’Eufrate a Tapsaco e poi il Tigri. Il piano di Dario era infatti quello di
attirare il Macedone nella vasta piana di Gaugamela, dove il suo immenso esercito
aveva più possibilità di vincere lo scontro. Questa volta Dario, consapevole che la
battaglia avrebbe deciso gli esiti della dinastia Achemenide, ha radunato tutte le
truppe disponibili, anche dalle più remote regioni dell’impero. Secondo alcuni storici
antichi, radunò da 500 000 a un milione di uomini; più realisticamente, come scrisse
Quinto Curzio Rufo, il suo esercito contava 200 000 fanti e 45 000 cavalieri (tra questi,
i famosi cavalieri della Battriana e i cavalieri corazzati sciti) oltre a 200 carri da guerra
falcati. La battaglia ebbe inizio il 1° ottobre. Nonostante la schiacciante superiorità
numerica, l’esercito di Dario è nuovamente sconfitto dall’inventiva tattica di
Alessandro e dall’ardore con cui i suoi soldati combatterono. Dario, nuovamente
sconfitto, fugge verso la Media, abbandonando in mano ad Alessandro il suo tesoro
(circa 4000 talenti), l’arco, le frecce e il carro.
Invece di lanciarsi all’inseguimento di Dario,
Alessandro si dirige verso Babilonia. Babilonia era
una delle più belle e antiche capitali persiane, una
delle sedi della residenza reale. Ospitava una delle
sette meraviglie del mondo, i giardini pensili, dai
quali gli amici di Alessandro rimasero talmente
impressionati che qualcuno, Tolomeo forse, disse:
“Aristotele li ha definiti barbari, ma non aveva mai
visto Babilonia”. Il satrapo Mazeo gli apre le porte
Figura 6 - Ingresso di Alessandro della città, che lo accoglie come un dio; il persiano
a Babilonia, Lebrun, Parigi,
Louvre Bagoas gli consegna le chiavi del tesoro. Come
sempre Alessandro si dimostra rispettoso delle antiche tradizioni, ragion per cui si reca
al tempio del dio babilonese Marduk e compie un sacrificio. Mazeo viene rinominato
satrapo di Babilonia. Questo segna una svolta nella politica di Alessandro: la rinomina
a satrapo di Mazeo testimonia la volontà del giovane re di affidare delle responsabilità
ai persiani all’interno dell’impero che sta conquistando e che sta cercando di
ricostruire sul modello achemenide.
Alla fine di dicembre si dirige a Susa, che come di Babilonia, lo accoglie a braccia
aperte e con ricchi doni. Anche qui il satrapo Abulite conserva la sua carica, mentre
suo figlio Ossiarte seguirà Alessandro nella sua conquista. Susa è, agli occhi dei greci,
la capitale achemenide per eccellenza. Erodoto la considerava il punto d’arrivo della
Strada Reale che partiva da Sardi; era la tesoreria reale, in quanto vi erano custoditi
oltre 50 000 talenti. Da Susa, con un gesto significativo di rispetto, Alessandro
rimandò ad Atene le statue dei Tirannicidi di Antenore, saccheggiate nel 480 da Serse,
amico dei Pisistratidi.
A questo punto, disponendo di risorse praticamente illimitate, Alessandro pensa bene
di rafforzare il suo esercito reclutando nuove truppe, che gli arrivano dalla Grecia e
dall’Asia Minore. Riprende quindi la marcia e nel gennaio del 330 raggiunge Persepoli,
residenza estiva dei Gran Re. Per ordine del re, i macedoni si danno al saccheggio
sfrenato della città, uccidendo gli uomini, violentando le donne e prendendo i bambini
come schiavi. Non è ben chiaro il motivo di tale scempio, ma pare che qualcosa sia
successo a Persepoli che abbia fatto “scattare” Alessandro. Raccontano alcuni storici
che sulla strada per Persepoli l’esercito si sia imbattuto in un gruppetto di schiavi
greci, vecchi, con i corpi mutilati da anni di torture. Essi affermavano di essere quanto
restava dell’armata dei Diecimila che aveva combattuto in Asia circa settant’anni
prima. Se questa storia sia vera oppure sia stata inventata in seguito per giustificare
l’insensato massacro di Persepoli, questo nessuno lo sa. Durante l’inverno del 330
Alessandro conquista Pasargade, luogo simbolo della dinastia achemenide: è qui che i
Gran Re vengono incoronati, in un tempietto adiacente la tomba che Ciro il Grande si
era fatto costruire.
Nel maggio dello stesso anno Alessandro, rientrato a Persepoli, durante un banchetto
“animato” dalla provocante Thais, diede fuoco alla reggia. Anche a questo atto si è
cercato di dare una spiegazione. Alessandro era forse in preda a un delirio dovuto al
troppo vino, oppure era perfettamente cosciente di ciò che faceva? Alcuni credono,
me compresa, che Alessandro abbia voluto incendiare la reggia di proposito perché
piena di troppe ricchezze, e la ricchezza, si sa, corrompe gli animi degli uomini. Ma ai
greci piacque un’altra storia, quella del vendicatore: Alessandro, adempiendo alla sua
promessa di vendicare i torti subiti dalla Grecia durante l’invasione persiana del 480
a.C., incendiò la reggia di Persepoli in memoria dell’incendio che distrusse l’Acropoli di
Atene.
Con l’incendio di Persepoli Alessandro ha in suo potere ormai tutte le capitali dell’ ex
regno achemenide. Ora, per diventare il nuovo Gran Re, gli manca solo da uccidere
Dario.
Il nuovo Gran Re: colonizzazione o assimilazione?
Uccidere Dario non sembra però essere un’impresa facile. Nonostante infatti la
sconfitta di Gaugamela, e la perdita di Babilonia, di Susa, di Persepoli e di Pasargade,
Dario dispone ancora di grandi risorse finanziarie, nonché di molti alleati. Si rifugia
quindi a Ecbatana, dove comincia costituire un nuovo esercito per affrontare
Alessandro in una nuova battaglia campale. Prima di lasciare Ecbatana, preleva dal
suo tesoro 8000 talenti, che sarebbero serviti a pagare nuove truppe.
Informato della fuga del suo nemico, Alessandro manda Parmenione a Ecbatana con il
tesoro e i carriaggi e si lancia all’inseguimento di Dario a marce forzate, durante le
quali molti uomini e cavalli muoiono. Dario, intanto, procede verso la Battriana
passando attraverso le Porte caspie, una stretta valle sorvegliata da presidi persiani
che avevano la funzione di rallentare un’eventuale avanzata nemica. Ma Alessandro le
passa senza difficoltà e nell’estate del 330 occupa la Media e la Partia. Questo getta
nello sconforto le truppe persiane le quali, vedendo il loro re fuggire impotente davanti
al nemico, decidono di abbandonarlo e di passare dalla parte del Macedone.
Dario ha ormai perso tutto il suo prestigio e i capi persiani organizzano un complotto
per eliminarlo. Anima del complotto è il satrapo della Battriana Besso, che fa arrestare
Dario con l’intenzione di consegnarlo ad Alessandro per ottenere una posizione di
prestigio. Ma nel luglio del 330, alla notizia dell’imminente arrivo del conquistatore,
Besso decide di far uccidere Dario, che fino ad allora era stato tenuto rinchiuso nel suo
carro. Arriano presenta Dario come un uomo vile e codardo, che aveva avuto la fine
che meritava; così facendo però, involontariamente, svilisce l’importanza delle vittorie
di Alessandro, attribuendole non alla sua bravura, ma alla codardia di Dario.
L’uccisione di Dario è una grande fortuna politica per Alessandro: egli infatti, anziché
come usurpatore, può presentarsi come vendicatore del Gran Re. Seguendo la
tradizione achemenide, Alessandro fa inumare Dario a Persepoli e dà inizio alla
spedizione verso Oriente contro Besso. Ma Satibarzane, satrapo dell’Aria, d’accordo
con Besso dà inizio a una rivolta e Alessandro è costretto a tornare verso Sud per
domarla. Ucciso Satibarzane, si trova a dover raggiungere la Battriana per una strada
molto più lunga, passando attraverso la Drangiana e l’Aracosia.
Ed è proprio durante una sosta nella capitale della
Drangiana nell’autunno del 330, che scoppia la
prima crisi tra il re e la nobiltà macedone.
Accusato di tradimento, Filota, uno dei più intimi
amici del re, viene arrestato, torturato, processato
davanti all’esercito e infine giustiziato.
Ufficialmente, Filota aveva criticato, in privato,
Alessandro, per aver cominciato ad adottare il
cerimoniale della corte achemenide, vestendosi
come il Gran Re, cingendosi la testa con il diadema
Figura 7 - Filota giudicato davanti ad
Alessandro, Gian Domenico Ferretti, reale e utilizzando persino il sigillo di Dario per le
Museo degli Uffizi corrispondenze; inoltre, si era circondato di un
harem di 365 concubine (una per ogni notte dell’anno!) e, cosa assai molto più grave
proskynesis
agli occhi dei suoi soldati, aveva esteso l’obbligo della a tutti. Di fronte a
queste novità, numerosi nobili macedoni reagiscono violentemente, anche se altri,
come Efestione, stanno al gioco. Che sia vero oppure no che Filota abbia realmente
criticato Alessandro, è probabile che il re si sia valso di questa accusa per eliminare un
nobile macedone troppo potente e influente. Filota era infatti capo degli Eteri, nonché
ipparco, cioè capo della cavalleria, e figlio del generale Parmenione (che verrà
eliminato subito dopo di lui). Quindi è molto più probabile che questo episodio sia
stato l’epilogo di un’altra storia di rapporti conflittuali tra la monarchia e la nobiltà
macedone. Per evitare una rivolta all’interno del suo esercito, Alessandro riunì tutti
coloro che avevano mostrato disappunto per la morte di Filota e Parmenione in un
unico battaglione chiamato “battaglione dei turbolenti”, perché le loro idee non si
diffondessero tra l’esercito come la peste.
Nella primavera del 329 l’esercito riprende la spedizione contro Besso, attraversando
l’Hindu-Kush. Nonostante la carestia, il freddo, e la tattica della terra bruciata applicata
da Besso, Alessandro raggiunge e conquista la capitale della Battriana, Battra, e vi
insedia un satrapo a lui fedele, Artabazo. Besso, abbandonato dai suoi uomini e tradito
dai suoi ufficiali, viene consegnato ad Alessandro. Il traditore viene torturato secondo il
metodo persiano: viene denudato (il massimo del disonore) e gli vengono tagliate le
orecchie e il naso. Poi viene condotto in catene a Ecbatana dove viene giustiziato di
fronte alla famiglia reale. L’assassinio di Dario è vendicato.
Tra il 329 e il 328 Alessandro riprende la sua marcia verso est. E’ costretto a
fronteggiare diverse rivolte, tra le quali quella del satrapo Spitamene, che nel 328
assedia Maracanda. Alessandro risponde inviando 1400 cavalieri e 1550 fanti, che
vengono lanciati in un attacco sconsiderato e massacrati. E’ la prima sconfitta
macedone in campo aperto. Al fine di evitare un crollo del morale dell’esercito,
Alessandro proibisce ai superstiti di farne parola, pena la morte. Nell’estate di quello
stesso anno Alessandro finalmente riesce a venirne a capo e conquista Maracanda.
Durante un banchetto abbondantemente innaffiato dal vino, Clito il Nero, fratello di
latte di Alessandro, prende la parola e, forse ubriaco, critica Alessandro e al tempo
stesso elogia Filippo. Il re, i cui attacchi di collera erano ben conosciuti e molto temuti,
in uno scatto d’ira uccide Clito con le sue stesse mani. Poi, resosi conto della terribile
azione da lui commessa, tenta di suicidarsi, ma gli amici glielo impediscono. D’ora in
poi, il fantasma di Clito perseguiterà il re.
Per sigillare la sua alleanza con la nobiltà iranica,
Alessandro decide di sposare, nel 327, Rossane,