Daniele
Genius
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Svolgimento tema III

Il titolo dell’opera di Alberoni da cui è tratto il testo mette in luce una tematica molto importante in questo tempo caratterizzato da una crisi di valori e di identità: la speranza. Sperare vuol dire attendere con fiducia qualcosa che si desidera e, chi più dei giovani desidera qualcosa di più nella propria vita? Chi più di loro attende con fiducia che si realizzi il futuro? Ed è proprio in relazione a questi giovani che Alberoni focalizza un elemento molto importante, ossia la presenza nella vita di ostacoli.

Egli sostiene che la mente umana è “stata creata per risolvere problemi”. Ma, cos’è un problema? Per riprendere le parole di Alberoni, “un problema, è per sua natura, qualcosa che appare improvvisamente. Ci si presenta davanti quando non lo aspettiamo, ci coglie di sorpresa e poi si istalla al centro della nostra vita, e non lascia più la presa”. Bisogna dedicare tutte le energie alla risoluzione ed è solo quando la soluzione arriva che si ritrova la pace.
La generazione odierna è portata a evitare i problemi, a scacciarli quando si presentano. Si preferisce fuggire piuttosto che mettersi in moto per risolverli perché questo comporta fatica. Quanto detto è sicuramente il frutto di ciò che i giovani vivono all’interno delle loro case e delle loro scuole. Ma, come sostiene Alberoni, la scuola non deve essere resa leggera, eliminando gli ostacoli che si incontrano in essa. Ciò che invece si deve fare è aiutare gli alunni a capire che, laddove si presenta un problema, allora è certo che esiste una soluzione. Pensiamo ai problemi matematici dati a scuola: la soluzione non si vede a prima vista, bisogna cercare, sforzarsi, impegnarsi… Ma poi eccola! La soluzione c’è, bisogna solo cercarla.
In questo rientra la così detta “didattica per problemi”, un metodo teorizzato da J. Dewey. Il metodo consiste nel far risolvere agli studenti problemi via via sempre più complessi consentendo di raggiungere abilità cognitive sempre più elevate. Può essere utilizzato in scuole di ogni ordine e grado
Tale metodo ha una valenza educativa e formativa per vari motivi:
- Innanzitutto la soluzione del problema non è mai fornita dall’insegnante, ma è condivisa all’interno della classe o in piccoli gruppi. Questo è fondamentale per incrementare la capacità di problem solving;
- Permette all’allievo di apprendere e organizzare le proprie conoscenze;
- Sviluppa nello studente la capacità di affrontare problemi nuovi e imprevisti, trasferendo le conoscenze acquisite in altri contesti di vita reale;
- Permette di fare un’analisi della situazione, dividendo i problemi in sotto problemi, se necessario;
- Sviluppa l’autostima perché lo studente acquista fiducia in se stesso
- Incentiva la collaborazione con i compagni;
- Infine, incrementa notevolmente le capacità decisionali anche in situazioni in cui scegliere è difficile.
Questo ci fornisce un’idea dell’utilità di questo tipo di didattica. Il metodo motiva i ragazzi, li spinge a ricercare soluzioni, li rende soggetti attivi del processo di apprendimento. Ed è questo ciò a cui la scuola è chiamata. Per riprendere Alberoni “quando i professori non pongono loro problemi stimolanti, quando non li costringono ad essere creativi, quando non impegnano la loro intelligenza e il loro cuore, i ragazzi si indeboliscono”. La società è così cambiata nel corso degli ultimi decenni che la scuola non può più rimanere ancorata a vecchie tradizioni, ma deve rinnovarsi in parallelo con i mutamenti della società. Oggi i giovani chiedono creatività, movimento, stimoli sempre nuovi. Chiedono una scuola che li metta in discussione, che li faccia interrogare su loro stessi. La famiglia (e la crisi dei valori ad essa collegata), non è più in grado, da sola, di adempiere a questo compito. La scuola, in questo può essere molto d’aiuto. Essa non ha come unico scopo la trasmissione delle conoscenze, ma fine ancora più profondo e intrinseco quello di trasmettere un sistema di valori condiviso. Altrimenti il rischio che si corre è quello di vedere giovani demotivati e stanchi che parlando di scuola vedono solo voti, interrogazioni o compiti. Giovani che “pensano solo alle canzoni, alle vacanze o si perdono in chiacchiere con i coetanei”. Purtroppo è questa la visione che si ha dei giovani ed è abbastanza riduttiva perché essi sono in grado di impegnarsi se convinti a credere in ideali grandi per cui vale la pena di lottare.
Ovviamente, proprio per la loro giovane età, sono portati a lasciarsi influenzare dalla società e in particolare dai modelli di consumo in essa presenti. Essi acquistano un fascino agli occhi dei più giovani perché sono seducenti e danno l’illusione che con essi la vita sarà migliore. Acquistando un determinato oggetto “di moda” si ha la certezza di essere accettati dal gruppo di riferimento perché si viene ritenuti “ a posto”. E dopo essere riusciti ad ottenere quel bene indispensabile, ecco che si ricomincia con un nuovo oggetto. È un circolo vizioso che difficilmente vede la fine visto che tutta la generazione contribuisce alla sua creazione. Ma, una volta acquistato quel bene, ecco che perde di fascino, se non subito, sicuramente dopo qualche mese.
E questo riporta all’argomentazione iniziale: il fatto che i giovani vivono in un mondo in cui tutto è facile, non bisogna più guadagnarsi niente. Sembra che tutto ciò che si ha sia scontato. Basta chiedere qualcosa che subito viene data.
I giovani hanno sicuramente bisogno di vivere una vita piena, con tutti i suoi pro e contro. Perché le difficoltà sono quelle che rendono più forti, che fanno gustare di più le cose. Sono quelle che fanno crescere. Allora è bene vivere i problemi che la vita ci pone, piuttosto che rimanere nascosti in un angolo guardando la vita che scorre. I giovani sono i protagonisti della loro vita! Allora, in linea con il pensiero di Albinoni, riprendiamoci il nostro futuro, rafforziamo la speranza, diamoci dei traguardi, perché “ quando non c’è meta, futuro, speranza, ci incattiviamo il presente”.

Svolgimento tema IV a cura di Emanuela Grassucci

Maria Montessori è una delle più illustri pedagogiste del secolo scorso, una figura ambiziosa e innovativa che ha saputo rivoluzionare completamente la visione dell’infanzia. Ella nasce come medico e come tale si occupa dapprima dei bambini con problematiche psichiche. Da questo primo approccio al mondo dell’infanzia, capisce che il metodo applicato per i minori con problemi poteva essere allargato anche ai soggetti così detti “normali”. La sua pedagogia si basa sulla libertà data al bambino di esplorare l’ambiente che lo circonda. Dalla libertà, necessaria per il processo educativo, nasce la disciplina, essenziale per autoregolarsi. I bambini, a suo parere, dovevano imparare a prendersi cura di se stessi, venendo incoraggiati a prendere decisioni autonome.
Nel brano tratto dal libro “La scoperta del bambino” emerge la concezione che la Montessori ha del fanciullo; ella lo vede come “sveglio e, inoltre, i suoi rapporti con l’ambiente sono innumerevoli”. Questo testimonia la grande importanza che ella dà al bambino, visto come soggetto attivo della sua educazione. Per questo motivo è necessario che l’ambiente di apprendimento sia ordinato, in modo che il fanciullo possa scegliere ciò che più gli è congeniale. È inutile che il bambino sia bombardato di tanti stimoli uno dietro l’altro poiché questo non fa altro che creare confusione in una mente che, già di per sé, riceve molte sollecitazioni. Come sostiene la stessa Montessori, “egli ha bisogno di ordinare il caos formato nella sua coscienza dalla moltitudine di sensazione che il mondo gli ha dato”. Questo vuol dire che il bambino, per formarsi in modo adeguato ha bisogno di ordine. Tale discorso risulta essere molto attuale, anche se scritto nel 1948. Questo perché la nostra società è caratterizzata da un “disordine psichico” molto forte: famiglie che non sono più tali, ruoli genitoriali messi in discussione e così via.
L’infanzia è un periodo molto delicato della vita, in cui il bambino è come una spugna, assorbe, cioè, tutto ciò che gli sta intorno. Ecco perché è fondamentale ritornare a dare ordine a tutto il caos che ha accanto. Non ha bisogno di troppi stimoli, ma di pochi ed efficaci.
Proprio in questa prospettiva, i modelli di riferimento che il bambino ha in casa o a scuola risultano fondamentali. L’ambiente permea tutta la vita del fanciullo ed è importante organizzarlo in maniera adeguata alle sue esigenze. In particolare, l’ambiente educativo è quell’insieme di fattori ed elementi che, senza l’intervento preordinato degli educatori, direttamente o indirettamente agiscono sull’affettività, sulla psiche, sui comportamenti degli esseri umani. Per un bambino l’ambiente educativo è rappresentato dalla famiglia, dalla scuola e da tutti quei contesti che frequenta: palestra, piscina, parrocchia. Tutto contribuisce alla sua formazione.
L’educatore capace sa che l’ambiente, soprattutto nel contesto scolastico, deve essere a misura di bambino. Egli deve poter essere libero di muoversi, di scoprire, di sperimentare, di creare, senza che l’adulto organizzi in maniera rigida tutte le attività. Questo perché egli non è così passivo come si crede. Il bambino vuole apprendere e vuole farlo da protagonista. La Montessori lo sapeva bene: nella sua Casa dei Bambini, l’ambiente è progettato e proporzionato alle possibilità dei bambini. In questo ambiente il fanciullo interagisce attivamente con il materiale proposto, sviluppando creatività, concentrazione e voglia di fare. L’educatore deve essere in grado di facilitare l’apprendimento del bambino rendendo facilmente fruibile il materiale che occorre. Solo così potranno crescere bambini in grado di compiere scelte e di autodeterminarsi. Perché ciò che viviamo nell’infanzia segna il nostro cammino futuro e, se siamo persone creative e desiderose di sapere è perché da bambini siamo stati stimolati ad esserlo.

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