Shymon
di Simone Milli
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Cosa accomuna James Dean nei panni del ribelle protagonista di “Gioventù Bruciata” e i ragazzi spensierati a bordo della vespa 50 di “Sapore di sale”? E come si conciliano queste due realtà all’immagine degli Hippy pacifisti e il loro slogan “Peace and Love”? Ribellione, trasgressione, disubbidienza da una parte e regressione infantile, spensieratezza, leggerezza dall’altra, ma anche creativa ricerca di pace e solidarietà per fondare un mondo migliore, sono quelle che Miscioscia chiama “strategie sperimentate dai giovani” nella loro ricerca continua di esperienze, attraverso le quali il mondo giovanile dagli anni ’50 ad oggi ha “esplorato nuove dimensioni della mente e della realtà virtuale, hanno ridisegnato la geografia dei rapporti sessuali, affettivi e sociali, hanno scoperto, infine, nuove forme espressive e comunicative”.


La cultura giovanile si è sviluppata percorrendo strade differenti, ma tutte con un elemento comune, un fattore che sta alla base e che Tomasi definisce bene come “intrinseca capacità che i giovani hanno di autodefinirsi nei loro comportamenti valoriali all’interno della società nella quale sono parte”. Una ricerca del limite che si è espressa nei vari aspetti del vivere sociale, un bisogno di capire fino a dove ci si può spingere, scoprire cosa c’è oltre ai freni o ai divieti che la società sembra imporre e che alle nuove generazioni appaiono come insopportabili, una necessità di liberarsi dalla rete troppo stretta delle convenzioni.
E così questa voglia di libertà si esprime nella moda, con Mary Quant, la stilista inglese a cui si deve l’invenzione della minigonna, l’indumento con cui le ragazze varcano il limite della casta gonna al ginocchio delle loro madri; ma si manifesta anche a livello sociale, culturale e politico nel maggio 1968 a Parigi, con un movimento storico di ribellione e rivolta contro la società tradizionale e il potere costituito.
Ma i limiti che si ricercano sono anche e soprattutto quelli del proprio corpo, un corpo che cresce, si sviluppa e cambia. La forma più diffusa, ma anche la più pericolosa attraverso la quale questa ricerca viene affrontata dai giovani, sin dagli anni ’50, è l’uso e l’abuso di droghe e alcool. Sostanze che permettono di sentirsi diversi, più forti, capaci di affrontare le sfide e le preoccupazioni che opprimono i ragazzi, ma sono anche sostanze in grado di far evadere dalla realtà, di allontanare, seppur temporaneamente, la persona da quello che il suo mondo che lo circonda e che non sempre va nel verso giusto.
Una cultura e stili di vita che si sono diffusi, in primo luogo attraverso un mezzo di comunicazione in particolare, la radio e quindi attraverso le canzoni. È in particolare con la cultura inglese che, come afferma Hobsbawm, “faceva raccordo tra America ed Europa, per una specie di osmosi spontanea”, che sono stati divulgate mode, costumi e stili di vita. Una comunicazione che passava attraverso i grandi miti come Elvis Presley o Jim Morrison, che scardinarono, ognuno nel loro speciale modo, le tradizioni musicali e non solo: masse di giovani raccolte attorno a queste icone che, ancora oggi, resistono come simboli forti di una cultura giovanile in cui identificarsi.
E ancora il movimento punk, un mix di sonorità diverse, da far rabbrividire padri e nonni, un look che non poteva e non voleva rimanere inosservato. La necessità di affermarsi e farsi sentire, perché i giovani hanno molto da dire.

Ma oggi, “cultura giovanile”, mantiene ancora lo stesso significato che ha assunto negli ultimi 40 anni? Si sviluppa con le stesse “strategie” di sempre, anche ora che la tecnologia 2.0 si è affermata e, possiamo anche azzardare, ormai radicata nella comunicazione contemporanea? Oppure la diffusione di Facebook ha cambiato il modo di comunicare e di diffondere idee e costumi?
Oggi possiamo rintracciare icone della cultura giovanile nei Nirvana, e in particolare la canzone “Smells Like Teen Spirit”, probabilmente la più conosciuta canzone della band grunge, che è diventata l'inno di una generazione di cui Cobain viene considerato una sorta di portavoce. Il brano è un grido sordo che esprime pensieri e riflessioni comuni, in cui i giovani si identificano.
La necessità di trovare limiti la ritroviamo, in fondo, anche oggi. L’uso di stupefacenti non si è di certo arrestato; i nuovi figli dei fiori hanno forse trovato una diversa location per esprimersi: non più distesi al sole su campi verdi con una chitarra in mano e un fiore tra i capelli, ma masse di giovani riuniti in rave party al ritmo di musiche forti, decise. E tutti, come in passato, con una comune convinzione e consapevolezza: la nostra società è complicata, è necessario districarsi tra problemi che non sempre ci si sente pronti ad affrontare e questo bisogna urlarlo, gridarlo al mondo e capire che non si è soli. Forse è proprio in questa necessità di sentire vicini gli altri che risiede il successo di social network e community virtuali, per soddisfare una esigenza di comunicare. Ed è così che, inoltre, la difficoltà di esprimersi apertamente viene bypassata grazie alla possibilità di celarsi dietro un nickname o un avatar: non è, in fondo, questo un modo per essere veramente se stessi ed esprimere la propria “cultura giovanile”?