Shymon
di Simone Milli
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ANALISI DEL TESTO

1.Comprensione del testo
La prefazione al libro “La Coscienza di Zeno” risulta, in sostanza, una sorta di giustificazione e di presentazione della tematica che verrà affrontata nell’opera stessa: conscio della difficoltà di analizzare i comportamenti umani, a volte banali e subdoli, del personaggio di Zeno Cosini, Svevo fa parlare il suo psicanalista il quale, offeso per l’abbandono della terapia da parte del protagonista, ci informa che ciò che andremo a leggere è un resoconto oggettivo e scritto a quattro mani da lui e dal paziente, della vita dello stesso Zeno.

Comunicandoci che, in un qualche senso, tale pubblicazione debba essere anche una sorta di nuova terapia per il paziente, il dottore ci lascia in sospeso (senza una conclusione o l’invito ad una piacevole lettura) prima dell’inizio del vero e proprio romanzo.

2.Analisi del testo
2.1.
I personaggi citati sono due: il referente è il fantomatico Dottor S. (probabilmente un escamotage dell’autore di apparire come narratore fittizio della vicenda), medico psicanalista, che introduce il libro che andiamo a leggere quale autobiografia “rubata” al suo paziente Zeno Cosini, di cui si parla indirettamente e che non viene, almeno nella presentazione, delineato in maniera precisa, se non per alcune osservazioni sulla sua età e sul fatto che la stesura dell’opera sia uno strumento terapeutico.
2.2.
Come detto prima, il Dottore presenta Zeno come persona anziana, paziente inusuale di una terapia che si è interrotta in maniera brusca e che, tuttavia, si rivelava essere una figura particolare, sostanzialmente curioso di conoscere se stesso attraverso le sedute psicanalitiche che venivano effettuate. D’altra parte, risulta anche, proprio dalle prime righe che, con buona probabilità, esista un rapporto conflittuale tra paziente e medico, in quanto il Dottor S. stesso afferma che, nel corso del libro, si farà riferimento a lui con termini poco ragguardevoli.
2.3.
Da un lato, il Dottore pare una figura professionale, dedita al suo lavoro, desiderosa di discutere riguardo un caso clinico interessante e dai risvolti (a giudicare dal suo giudizio) anche particolari. Tuttavia, la sua affermazione di pubblicare tale biografia come vendetta per l’abbandono delle sedute psicanalitiche da parte del paziente, e il fatto che egli speri che allo stesso tutto ciò dispiaccia, lo collocano anche in una posizione fortemente opinabile, di piccolo uomo che si fa travolgere dagli eventi e che non riesce a mantenere la sua freddezza e capacità di giudizio. Tra l’altro, va rilevato che una simile azione, e cioè la pubblicazione di note personali redatte durante la terapia con un paziente, andrebbero, oggi, contro l’etica professionale che impone la segretezza delle discussioni effettuate durante le sedute e che, in quegli anni in cui la psicanalisi muoveva i primi passi, erano, di certo, l’ultimo problema che un medico si poneva.
2.4.
L’autobiografia, il ricordare gli eventi della propria vita, cercando di riviverli da un lato in maniera oggettiva, analizzandoli e sviscerandoli nella loro totalità, dall’altro provando a ricostruire l’evento e le sensazioni che aveva dato al paziente, costituiscono una sorta di percorso di rinascita e di catarsi, al fine di comprendere la propria psicologia e la propria forza interna, in modo da elevarsi ad un grado superiore di identificazione del proprio Io, secondo lo spirito delle metodologie, allora nascenti e da perfezionare, delle teorie psicanalitiche di Freud.
2.5.
Il dottore parla dell’opera, riferendosi ad essa secondo tre terminologie distinte. La definisce prima “novella”: un racconto lungo e scritto in forma romanzata, una storia da seguire attimo dopo attimo, per scoprire le vicende e le psicologie dei personaggi, gli intrecci delle loro vite, le situazioni e i contesti storico-politico-sociali in cui sono immersi. Poi parla del libro come una “autobiografia”: un testo che narri sì delle vicende, ma in forma di racconto diretto e pregno di considerazioni personali da parte del narratore stesso il quale, riportando i fatti della sua vita, ci guida attraverso una strada fatta di storie, citazioni e cronache. Infine, definisce l’opera quali “memorie”: questo genere, seppure vicino all’idea di autobiografia, risulta una analisi maggiormente soggettiva e ancor più saturata da considerazioni personali degli eventi a cui si è preso parte, da poter risultare, a volte, una sorta di racconto favolistico quando, presi dalla foga della narrazione, si intraprendono voli pindarici per raccontare le vicende che tornano alla memoria, appunto. Le differenti definizioni hanno un senso concreto, tuttavia: essendo lo scritto una terapia di cura per Zeno Cosini, esso deve risultare al contempo una favola, una relazione oggettiva e una sorta di rievocazione soggettiva delle vicende personali accadute al protagonista, al fine di dare a lui stesso lo strumento per interpretare la propria psiche e comprenderne le sfumature.
2.6.
La prefazione al libro risulta, in breve, un mezzo veloce per introdurre un’opera che, analizzando una tematica nuova e ancora nebulosa quali le terapie psicanalitiche e il comportamento umano non più attraverso le vicende, ma mediante i ricordi e le opinioni soggettive del protagonista, punta a differenziarsi dalle opere romanzate del passato, facendo l’occhiolino a queste nuove correnti filosofico-psicologiche che altri autori in Europa (si pensi ad esempio a Proust e alla sua “Recerche” o all’Ulisse di James Joyce) avevano già abbracciato e divulgato in modo soddisfacente. Svevo racconta una storia personale, a volte biografica (ci sono molti punti di contatto tra la vita di Zeno Cosini e la propria), sfruttando una idea che, grazie ad una sorta di spersonalizzazione del racconto che deve risultare, alla fine, una forma di relazione della vita dell’uomo-paziente Cosini, riesce a non divenire una semplice favola ma, in ultima analisi, una sorta di breve manuale psicanalitico che narra le vicende di un uomo.

3.
Essendo gli approfondimenti di carattere personale e relativi alle conoscenze proprie di ogni singolo studente, preferiamo non redarre questo ultimo punto che potrebbe risultare fuorviante o eccessivamente saturo di conoscenze che andrebbero, in seguito, sviluppate e discusse con cura.