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Svolgimento
TIPOLOGIA A: PRIMO LEVI LA RICERCA DELLE RADICI

Primo Levi nasce a Torino il 31 Luglio 1919; dopo un’infanzia cagionevole, difficoltà negli studi, riesce a laurearsi in Chimica con il massimo dei voti. In seguito alla morte del padre nel 1942, per esigenze economiche, Levi cerca lavoro e lo trova prima in una cava di amianto e poi in una casa farmaceutica svizzera. Con la caduta della dittatura fascista entra in contatto con la Resistenza; viene fatto prigioniero e nel 1944 viene deportato nel lager nazista di Auschwitz, dal quale uscirà l’anno successivo profondamente segnato.
Trova lavoro in una fabbrica di vernici nei pressi di Torino e inizia la sua attività di scrittore.

Anche la sua vita personale cambia radicalmente, infatti nel 1947 sposa Lucia Morpurgo e nel 1948 nasce la figlia Lisa Lorenza, successivamente, nel 1957, nasce il secondogenito Renzo.
La vita dello scrittore si conclude l’11 Aprile 1987, gettandosi nella tromba delle scale, in seguito ad un’insostenibile depressione.
L’autore, passato alla storia per opere del calibro di Se questo è un uomo (1947), La tregua (1963), I sommersi e i salvati (1986), si dedica ad un’opera del tutto diversa che evidenzia le sue doti di antologista, messe in luce e apprezzate anche da Calvino in una recensione al testo.
“La ricerca delle radici. Antologia personale” è un testo a stampa pubblicato da Primo Levi nel 1981. L’opera è un’antologia degli autori che Primo Levi considera fondamentali per la propria formazione; nello specifico l’opera contiene trenta brani da “Il libro di Giobbe” a Omero, da T. Lucrezio Caro a G. G. Belli, da B. Russell a K. S. Thorne.
La scelta degli autori trattati viene motivata da Levi stesso attraverso una serie di cappelli introduttivi, che suonano come una vera e propria dichiarazione poetica. Quest’opera non fa altro che confermare Levi come scrittore enciclopedico, attento a conciliare interessi scientifici e umanistici e a stabilire rapporti tra i testi più eterogenei.
La proposta di comporre un’antologia nasce da Giulio Bollati, e lo scopo non è certamente quello di far proporre a Levi sé stesso, sebbene sia un lavoro, inevitabilmente, autobiografico. Levi intende sottolineare quanto le radici di ognuno di noi siano, almeno in parte, letterarie, dato che le altre esperienze concorrono a formare le nostre radici; non è possibile non pensare a come l’esperienza del lager possa aver contribuito a formare il Levi uomo in maniera eguale, se non superiore, alle sue letture (non dimentichiamo che questa vicenda ispirò un capolavoro come Se questo è un uomo).
Levi nella prefazione all’opera rende manifeste le sue intenzioni: “Poiché dispongo di input ibridi, ho accettato volentieri e con curiosità la proposta di comporre anch'io un'antologia personale, non nel senso borgesiano di autoantologia, ma in quello di una raccolta, retrospettiva e in buona fede, che metta in luce le eventuali tracce di quanto è stato letto su quanto è stato scritto”. Successivamente Levi dichiara che il suo scrivere risente molto di più del suo mestiere – quello di chimico – della vicenda personale, della sua storia, rispetto ai “libri ingenti”, da ciò deriva il fatto che l’esperimento proposto da Bollati non può che avere il carattere di un “esperimento pasticciato e i suoi esiti dovranno essere interpretati con precauzione.” La sua propensione alla lettura deriva dal contesto familiare, attento a sollecitare la fantasia dei propri figli e a sviluppare in loro una formazione fertile e aperta alle innovazioni e agli sviluppi che solo una mente allenata e colta può comprendere in pieno: la lettura come “fata morgana nella direzione della sapienza”. La famiglia di cui parla Levi coinvolge anche i fratelli del padre che non sono altro che uno specchio delle generazioni precedenti; generazioni avide di sapere, schiavi di una bramosìa degna di Ulisse. Queste generazioni desideravano talmente tanto leggere e sapere da passare, quasi, in secondo piano, i testi scolastici stessi, troppo normativi e privi del vero sale della sapienza.
Così scrive Levi: “[…] ho letto anch'io confusamente, senza metodo, secondo il costume di casa, e devo averne ricavato una certa (eccessiva) fiducia nella nobiltà e necessità della carta stampata, e, come sottoprodotto, un certo orecchio e un certo fiuto”. Il problema che l’autore denuncia è l’eccessiva fiducia nei libri, forse a volte rei di allontanare troppo dalla realtà; d’altro canto però l’elogio dei libri passa per una similitudine a dir poco affascinante: Levi paragona sé, includendo nel suo essere tutti gli uomini, ad un feto di otto mesi che nel ventre materno si prepara a respirare, Come il feto si esercita a diventare uomo, allo stesso modo egli, leggendo, si è inconsapevolmente preparato a scrivere. La parola fondamentale di questo assunto è l’avverbio “inconsapevolmente”.
Il fatto che l’uomo non abbia coscienza di come il suo essere venga plasmato e reso maturo dallo studio e dalla lettura non fa che avvallare la tesi, precedentemente esposta dal Levi stesso, secondo cui non possono essere soltanto i libri e gli autori a formare un uomo, ma è la vita stessa con le sue esperienze a veicolare i comportamenti. La novità e il nocciolo fondamentale della questione è che attraverso la conoscenza e lo studio delle radici si può costruire il necessario per affrontare la vita e il Fato. Di fatto la scelta degli autori per l’antologia si basa sulle tensioni errore/verità, riso/pianto, senno/follia, speranza/disperazione, vittoria/sconfitta.
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per un pezzo di pane
Che muore per un sì o per un no. (da Se questo è un uomo).
“Forse le cose lette riaffiorano qua e là nelle pagine che poi ho scritto, ma il nocciolo del mio scrivere non è costituito da quanto ho letto. Mi sembra onesto dirlo chiaramente, in queste ´istruzioni per l'uso’ della presente antologia”.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Nel destino di ognuno cadranno sempre dei rami e di nuovi ne cresceranno ma a quel punto le radici saranno già forti e consolidate e arriverà il momento in cui si dovrà fare i conti su quanto si è dato e quanto si è ricevuto. Ma quanto delle nostre radici deriva da libri letti dipende dall’ambiente che la sorte ci ha assegnato.

TESTO
Poiché dispongo di input ibridi, ho accettato volentieri e con curiosità la proposta di comporre anch'io un'"antologia personale", non nel senso borgesiano di autoantologia, ma in quello di una raccolta, retrospettiva e in buona fede, che metta in luce le eventuali tracce di quanto è stato letto su quanto è stato scritto. L'ho accettata come un esperimento incruento, come ci si sottopone a una batteria di test; perché placet experiri e per vedere l'effetto che fa.
Volentieri, dunque, ma con qualche riserva e con qualche tristezza. La riserva principale nasce appunto dal mio ibridismo: ho letto parecchio, ma non credo di stare inscritto nelle cose che ho letto; è probabile che il mio scrivere risenta più dell'aver io condotto per trent'anni un mestiere tecnico, che non dei libri ingenti; perciò l'esperimento èun po' pasticciato, e i suoi esiti dovranno essere interpretati con precauzione. Comunque, ho letto molto, soprattutto negli anni di apprendistato, che nel ricordo mi appaiono stranamente lunghi; come se il tempo, allora, fosse stirato come un elastico, fino a raddoppiarsi, a triplicarsi. Forse lo stesso avviene agli animali dalla vita breve e dal ricambio rapido, come i passeri e gli scoiattoli, e in genere a chi riesce, nell'unità di tempo, a fare e percepire più cose dell'uomo maturo medio: il tempo soggettivo diventa più lungo.
Ho letto molto perché appartenevo a una famiglia in cui leggere era un vizio innocente e tradizionale, un'abitudine gratificante, una ginnastica mentale, un modo obbligatorio e compulsivo di riempire i vuoti di tempo, e una sorta di fata morgana nella direzione della sapienza. Mio padre aveva sempre in lettura tre libri contemporaneamente; leggeva "stando in casa, andando per via, coricandosi e alzandosi" (Deut. 6.7); si faceva cucire dal sarto giacche con tasche larghe e profonde, che potessero contenere un libro ciascuna. Aveva due fratelli altrettanto avidi di letture indiscriminate; i tre (un ingegnere, un medico, un agente di borsa) si volevano molto bene, ma si rubavano a vicenda i libri dalle rispettive librerie in tutte le occasioni possibili. I furti venivano recriminati pro forma, ma di fatto accettati sportivamente, come se ci fosse una regola non scritta secondo cui chi desidera veramente un libro è ipso facto degno di portarselo via e di possederlo. Perciò ho trascorso la giovinezza in un ambiente saturo di carta stampata, ed in cui i testi scolastici erano in minoranza: ho letto anch'io confusamente, senza metodo, secondo il costume di casa, e devo averne ricavato una certa (eccessiva) fiducia nella nobiltà e necessità della carta stampata, e, come sottoprodotto, un certo orecchio e un certo fiuto. Forse, leggendo, mi sono inconsapevolmente preparato a scrivere, così' come il feto di Otto mesi sta nell'acqua ma si prepara a respirare; forse le cose lette riaffiorano qua e là nelle pagine che poi ho scritto, ma il nocciolo del mio scrivere non è costituito da quanto ho letto. Mi sembra onesto dirlo chiaramente, in queste ´istruzioni per l'uso ª della presente antologia.