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Se questo è un uomo di Primo Levi
“Accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso.”
“Tutti scoprono, più o meno presto nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi si soffermano invece sulla considerazione opposta: che tale è anche una infelicità perfetta. I momenti che si oppongono alla realizzazione di entrambi i stati-limite sono della stessa natura: conseguono dalla nostra condizione umana, che è nemica di ogni infinito. Vi si oppone la nostra sempre insufficiente conoscenza del futuro; e questo si chiama, in un caso, speranza, e nell’altro, incertezza del domani.”
Primo Levi, ebreo e partigiano italiano, scrive questo libro immediatamente dopo il suo ritorno in Italia dal campo di concentramento di Auschwitz. L’opera biografica ha lo scopo di testimoniare la tragedia compiutasi in quegli anni nei campi di sterminio della Germania nazista, mostrando l’inumana vita del lager e fornendo inoltre un appello, come espresso nella poesia di apertura: non dimenticare.
A questo riguardo, risulta molto significativo un incubo ricorrente nel lager, condiviso anche dall’amico di Levi, il giovane Alberto. Una volta a casa, tra i famigliari e gli amici, raccontare le privazioni, le violenze, le disumanità subite e non essere creduti.
La narrazione non segue un andamento logico. Levi scrive come dice lui stesso per esigenza personale, senza fornire, come sottolinea, dettagli cruenti o formulare come dati di accusa. Scrive per portare informazioni, dati analizzabili, fornire documenti impiegabili in “uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano”. Levi ritiene infatti che l’odio per il “diverso” sia un qualcosa che connota in profondità l’animo umano, restando il più delle volte sopito. Quando diventa però “dogma”, nasce l’intolleranza portata agli estremi e allo sterminio dello straniero. Per questo lo scopo primo del libro è la divulgazione. Solo sapendo ciò che è stato, solo studiando come si è arrivati a tanto e comprendendo i meccanismi remoti enstauratisi, si potrà evitare un domani che accada lo stesso.
Questo libro lascia un segno, nel cuore e nella mente. Colpisce per la sua crudezza del tutto naturale. Le scene non sono state inventate, è successo proprio così. L’abilità sbalorditiva di Levi è l’oggettività con cui ne parla, da vero chimico e scienziato, non risparmiandosi in constatazioni amare rivolte a lui tanto quanto agli altri personaggi che fanno capolino tra le pagine.
L’incipit dell’opera ne rappresenta un esempio. Levi non si è salvato perché prescelto da qualche destino ultimo, si è salvato per fortuna dice lui, fortuna di essere stato deportato solo nel 1944, quando in mancanza di manodopera il regime nazista aveva stabilito di allungare le condizioni e la vita media dei deportati in grado di lavorare. Per la fortuna di essere stato scelto come chimico specializzato, addirittura per la fortuna di essersi ammalato di scarlattina e pertanto di essere stato troppo debole per intraprendere il viaggio di evacuazione dal campo, durante il quale il suo vigoroso e sano amico Alberto scomparì nel nulla.
Un altro punto che ritengo molto significativo è stato proprio il capitolo “i sommersi e i salvati”, al quale più avanti Levi dedicò un intero libro. Qui viene analizzata la differenza nel campo tra la vita e la morte. Nel lager la legge che vige dice “chi ha avrà, a chi non ha si toglierà”, scardinando tutti i principi morali, di aiuto reciproco, di rispetto delle regole, alla propria integrità ed umanità. Chi resta attaccato a tutto ciò, ai pensieri e ai ricordi della vita di prima, chi non capisce subito le vere regole della sopravvivenza nel lager, è un sommerso destinato alla rovina. Per i pochissimi salvati, la vita. Ma a che prezzo? Perdere sé stessi, e forse farlo per sempre.
‘Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per un pezzo di pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.’
Primo Levi
formulare come dati di accusa. Scrive per portare informazioni, dati
“uno studio pacato di
analizzabili, fornire documenti impiegabili in
alcuni aspetti dell’animo umano”. Levi ritiene infatti che l’odio per il
“diverso” sia un qualcosa che connota in profondità l’animo umano,
restando il più delle volte sopito. Quando diventa però “dogma”,
nasce l’intolleranza portata agli estremi e allo sterminio dello
straniero. Per questo lo scopo primo del libro è la divulgazione. Solo
sapendo ciò che è stato, solo studiando come si è arrivati a tanto e
comprendendo i meccanismi remoti enstauratisi, si potrà evitare un
domani che accada lo stesso.
Questo libro lascia un segno, nel cuore e nella mente. Colpisce per
la sua crudezza del tutto naturale. Le scene non sono state
inventate, è successo proprio così. L’abilità sbalorditiva di Levi è
l’oggettività con cui ne parla, da vero chimico e scienziato, non
risparmiandosi in constatazioni amare rivolte a lui tanto quanto agli
altri personaggi che fanno capolino tra le pagine.
L’incipit dell’opera ne rappresenta un esempio. Levi non si è salvato
fortuna
perché prescelto da qualche destino ultimo, si è salvato per
dice lui, fortuna di essere stato deportato solo nel 1944, quando in
mancanza di manodopera il regime nazista aveva stabilito di
allungare le condizioni e la vita media dei deportati in grado di
fortuna
lavorare. Per la di essere stato scelto come chimico
fortuna
specializzato, addirittura per la di essersi ammalato di
scarlattina e pertanto di essere stato troppo debole per
intraprendere il viaggio di evacuazione dal campo, durante il quale
il suo vigoroso e sano amico Alberto scomparì nel nulla.
Un altro punto che ritengo molto significativo è stato proprio il
“i sommersi e i salvati”,
capitolo al quale più avanti Levi dedicò un
intero libro. Qui viene analizzata la differenza nel campo tra la vita e
“chi ha avrà, a chi non ha
la morte. Nel lager la legge che vige dice
si toglierà”, scardinando tutti i principi morali, di aiuto reciproco, di
rispetto delle regole, alla propria integrità ed umanità. Chi resta
attaccato a tutto ciò, ai pensieri e ai ricordi della vita di prima, chi
non capisce subito le vere regole della sopravvivenza nel lager, è un
sommerso destinato alla rovina. Per i pochissimi salvati, la vita. Ma
a che prezzo? Perdere sé stessi, e forse farlo per sempre.