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Fontamara, Ignazio Silone
“E noi?” gli rispondemmo. “Non siamo cristiani anche noi?”
“Voi siete cafone” ci rispose quello. “Carne abituata a soffrire”
Fontamara. Un paese di mezza costa, tra la montagna abruzzese e la valle del Fucino. Un agglomerato senza niente di peculiare, che proprio per questo “somiglia per molti lati a ogni villaggio meridionale […] solo un po’ più arretrato e misero e abbandonato degli altri”. Un portavoce impiegato dall’autore Ignazio Silone per descrivere le condizioni dei “cafoni” del meridione dopo l’unità d’Italia e l’avvento del fascismo.
La storia di Fontamara alle prese con l’affermazione del fascismo viene raccontata da tre esuli, padre madre e figlio, fuggiti in Svizzera per salvarsi dalla dura spedizione punitiva messa in atto dalle squadre fasciste contro il paese. Sono proprio le voci di questi tre protagonisti a raccontare in prima persona, alternandosi tra loro, la storia di prepotenza subita dai cafoni, che si son via via visti negare tutti i piccoli diritti ottenuti con anni di sangue e sudore.
Con le voci narranti, a volte bagnate da note gravi, altre volte da toni più leggeri, non mancando di elementi comici figli dell’ingenuità contadini, il lettore ripercorre la storia di inganni e soprusi compiuti ai danni dei fontamaresi.
La vicenda si apre subito in modo critico: il paese è al buio. Corrente tagliata in seguito al mancato pagamento della tassa. Un buio non solo momentaneo, ma simbolico, nel quale tutto il paese andrà pian piano sprofondando. Segue infatti la deviazione del ruscello che da generazioni irrigua gli esigui campicelli dei fontamaresi, unica forma di sostentamento nel periodo invernale, e l’espropriazione di terre destinate al pascolo. I potenti come l’Impresario, appoggiati da un clero pavido e piccoli padroni locali come Don Circostanza, la fanno da padroni sfruttando l’ignoranza e l’analfabetismo dei contadini, i quali protestano e reagiscono ogni volta, intuendo i piani di soprusi orditi alle loro spalle senza però riuscire mai a fermarli in tempo. Eclatante è l’esempio della spartizione dell’acqua, decretata per “tre quarti” al paese e “tre quarti” all’Impresario per un periodo di 10 lustri.
A punirli per l’insolenza delle manifestazioni attuate ai “danni dell’autorità”, viene mandata una squadraccia fascista che non solo violenta le donne del paese e perquisisce la case, ma scheda pure come sovversivi gli uomini tornati dai campi chiedendo un’assurda manifestazione di lealtà al regime, continuando la frase “Viva chi?”.
Abbandonati dalle autorità che non si curano della loro situazione e senza più la guida del carismatico Berardo Viola, unico tra i cafoni a possedere una “coscienza di classe” ma ormai impegnato a racimolare abbastanza soldi da metter su casa e famiglia con Elvira, la donna che ama, i fontamaresi non possono fare altro che vedere i loro campi perire sotto un sole sempre più cocente.
Il figlio narratore del racconto, partito per Roma in compagnia di Berardo in cerca di lavoro, scopre con quest’ultimo, dopo un’estenuante attesa delle pratiche burocratiche, che la loro fama di fontamaresi dissidenti li ha preceduti, precludendogli la possibilità di lavorare. Incarcerati come sospetti con un giovane anarchico, il “Solito Sconosciuto”, che in precedenza aveva salvato Berardo da un falso sobillatore, entrano in contatto con il mondo delle ideologie antifasciste. Berardo, appresa la morte della sua amata, si prende la responsabilità della stesura di volantini antifascisti, perendo sotto le percosse e torture in carcere per salvare l’amico anarchico.
Perso il loro leader, i contadini di Fontamara tentano l’ultima via, istituendo il primo giornale clandestino destinato ai cafoni, dal titolo “Che fare?”, al quale il regime risponde con una rappresaglia ancora più cruenta.
Questa domanda emblematica resta senza risposta, nessuna soluzione o speranza sembra trapelare all’orizzonte e nonostante ciò, resta come manifesto della dignità dei deboli e degli oppressi, simboleggiando la loro voglia di rivalersi rispetto alle ingiustizie subite.
l’Impresario,
destinate al pascolo. I potenti come appoggiati da un
clero pavido e piccoli padroni locali come Don Circostanza, la fanno
da padroni sfruttando l’ignoranza e l’analfabetismo dei contadini, i
quali protestano e reagiscono ogni volta, intuendo i piani di soprusi
orditi alle loro spalle senza però riuscire mai a fermarli in tempo.
Eclatante è l’esempio della spartizione dell’acqua, decretata per
“tre quarti” al paese e “tre quarti” all’Impresario per un periodo di
10 lustri.
A punirli per l’insolenza delle manifestazioni attuate ai “danni
dell’autorità”, viene mandata una squadraccia fascista che non solo
violenta le donne del paese e perquisisce la case, ma scheda pure
come sovversivi gli uomini tornati dai campi chiedendo un’assurda
“Viva chi?”.
manifestazione di lealtà al regime, continuando la frase
Abbandonati dalle autorità che non si curano della loro situazione e
senza più la guida del carismatico Berardo Viola, unico tra i cafoni a
possedere una “coscienza di classe” ma ormai impegnato a
racimolare abbastanza soldi da metter su casa e famiglia con Elvira,
la donna che ama, i fontamaresi non possono fare altro che vedere i
loro campi perire sotto un sole sempre più cocente.
Il figlio narratore del racconto, partito per Roma in compagnia di
Berardo in cerca di lavoro, scopre con quest’ultimo, dopo
un’estenuante attesa delle pratiche burocratiche, che la loro fama
di fontamaresi dissidenti li ha preceduti, precludendogli la
possibilità di lavorare. Incarcerati come sospetti con un giovane
“Solito Sconosciuto”,
anarchico, il che in precedenza aveva salvato
Berardo da un falso sobillatore, entrano in contatto con il mondo
delle ideologie antifasciste. Berardo, appresa la morte della sua
amata, si prende la responsabilità della stesura di volantini
antifascisti, perendo sotto le percosse e torture in carcere per
salvare l’amico anarchico.
Perso il loro leader, i contadini di Fontamara tentano l’ultima via,
istituendo il primo giornale clandestino destinato ai cafoni, dal titolo
“Che fare?”, al quale il regime risponde con una rappresaglia ancora
più cruenta.
Questa domanda emblematica resta senza risposta, nessuna
soluzione o speranza sembra trapelare all’orizzonte e nonostante