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Sintesi
Chiudiamo quello che è il secolo del quattrocento, dunque chiudiamo automaticamente la prospettiva cominciata alle origini della letteratura castigliana e che inevitabilmente deve collegarsi ad un momento della storia della letteratura castigliana che si aprirà in maniera netta e visibile nel Cinquecento e negli anni successivi.
Un testo fondamentale con il quale si apre “el siglo de oro” è la Celestina che però per tutta una serie di contenuti, anche se scritto nel 1439, rientra nel 500.
Il Romancero
A partire dalla seconda metà del 400 (1460 in poi) fanno per la prima volta in Spagna alcuni testi scritti mai documentati fin d’allora. Questi testi hanno alcune caratteristiche che li accomunano:
- sono testi anonimi (già nel primo 300 notiamo che il nome dell’autore inizia ad esserci, quindi il fatto che questi testi siano anonimi dice tanto);
- hanno carattere prevalentemente di tipo narrativo, cioè raccontano le cose;
- hanno un linguaggio che si connota per l’estrema semplicità;
- hanno una forma metrica che possiamo definire come elementare perché si tratta di versi di otto sillabe (ottonari), sono componimenti di numeri variabili (da 15 versi a 100-120 massimo) e sono tutti versi pari, all’interno di questi testi non c’è nessuna ripartizione strofica, hanno una rima assonante (si forma soltanto sul suono delle vocali e non sulle consonanti).
Anche i temi presenti sono piuttosto semplici e molti di questi sono temi in comune con il folgore narrativo europeo in voga a quel tempo. Sono innanzitutto temi amorosi (non soltanto l’amore come sentimento ma anche l’amore come carnale quindi erotismo). Altri temi sono attinti alle tradizioni epiche e romanzesche europee (soprattutto francesi, italiane e del nord Europa). Un altro fulcro tematico di questi testi è il fatto che essi si riferiscono a eventi storici recenti.
Questi testi si diffonderanno prima nella prima parte del 500 sotto forma di manoscritti ma poi ad un certo punto in Germania, essendoci l’invenzione della stampa a caratteri mobili, iniziano ad essere poi stampati. Si diffondono prima in fogli volanti/singoli, e poi successivamente intorno al 1550 in piccoli commenti che raccoglievano circa un centinaio di questo tipo di testi. Questo nuovo genere che inizia ad avere una diffusione anche con le nuove frontiere della divulgazione letteraria (la stampa) si chiama Romancero e i testi che lo compongono si chiamano romances. Questi romances percorreranno dal 500 in poi tutta quanta la civiltà letteraria iberica e la percorreranno in tre modi:
- in senso diastratico: significa che dal punto di vista sociale tocca sia la letteratura colta che la letteratura popolare;
- in senso diacronico: testi che attraversano la letteratura spagnola dal punto di vista storico/temporale, dunque parte dal 500 e arriva fino al 900;
- in senso diatopico: testi che accomunano il luogo, quindi in questo caso sia il Nord della Spagna che il centro della Spagna e il Sud.
Il primo sviluppo organico di questa moda letteraria riguarda il regno di Enrico IV che va dal 1454 al 1474. Pare, secondo alcune fonti storiografiche, che Enrico IV recitasse a memoria alcuni di questi romances e che avesse anche alcuni romances preferiti. Questa cultura romanzesca durerà in modo ascendente fino alla seconda metà del 600, però poi cadrà in disuso soprattutto perché passerà di moda tra i ceti più colti anche se il popolo resterà ancora legato a questa tradizione, tant’è che questo genere avrà molta fortuna anche nelle Americhe e nelle Filippine. Ciò perché coloro che erano a bordo delle navi che arrivavano dall’altra parte dell’atlantico o dall’oceano indiano erano per lo più persone popolari che portavano con sè un bagaglio culturale importante e di taglio nazionale-popolare. Per loro i romances erano tipo i ‘neomelodici’. Se durante l’illuminismo i ceti più colti guardano con molta diffidenza la cultura popolare, arriva poi un’epoca in cui la cultura popolare viene esaltata: il romanticismo. È proprio con il romanticismo che si restaura un po’ il gusto a livello sociale e culturale più alto, il romancero pende di nuovo tra le elite culturali dell’epoca e i filologi dell’epoca (es: Menendes Pidal). È interessante il fatto che forme morali di questa tradizione si intravedessero già nel primo 400, tant’è che in un documento Marques de Santillana ci parla proprio di romances che avevano ancora una esigua circolazione manoscritta e ci dice che questi componimenti erano testi “syn ningund orden, regla nin cuento”. È presumibile pensare che le prime manifestazioni del romancero fossero addirittura anisosillabici, cioè non avessero la stessa lunghezza di versi. Tutto ciò ci fa capire anche che c’era un’iniziale indifferenza da parte dei ceti colti che evidentemente ritenevano questi testi privi di qualsiasi validità letteraria. Questo pregiudizio condiziona il nostro approccio a questi testi perché vuol dire che nel momento in cui i ceti più colti si impossessano di questa tradizione la manipolano perché la adattano ad un gusto non morale ma diretto ai ceti colti. Dunque, a noi ci sono giunti testi che probabilmente non sono i testi originali ma testi passati attraverso un filtro culturale perché solo un lavoro colto poteva dare a questi testi il lascia passare per entrare in una svolta che potesse poi essere diffusa. Parliamo sempre di testi ritoccati: quando ci riferiamo al cosiddetto romancero viejo lo facciamo studiando un tipo di prodotto letterario che è passato attraverso un lavoro di redazione che si rifà a un gusto dei ceti colti del 500. È fondamentale il discorso sulla tecnica del taglio finale che hanno questi romances: tutti i romances che vengono accolti nella raccolta del romancero viejo hanno un brusco finale (in latino si chiama “ex abrupto” “dalla cultura”) quindi si tratta di una vera e propria incompletezza del racconto. Questa incompletezza conferisce una specie di mistero, di “sospensione”, sono testi sospesi. Proprio per essere sospesi piacevano di più alla cultura popolare perché in questo modo ognuno poteva dare al testo il proprio finale. Questo taglio finale è probabilmente il frutto del lavoro fatto dai redattori colti (coloro che operavano sul testo erano dei poeti dotati di raffinatezza, capaci di riutilizzare al meglio i materiali a loro disposizione) del 500 a questi romanzi, era proprio l’effetto che si voleva dare a questi componimenti. Menendez Pidal fa una ricerca molto interessante: egli si reca in Marocco e scopre all’interno di alcuni documenti presenti nella comunità sefartida del Marocco (a far parte della comunità sefartida sono quegli ebrei che vennero cacciati dalla Spagna dopo il 1432) una redazione di uno dei romances più famosi (il primo a pag 56) che si intitola “quien uviesse tal ventura” (“avessi io la stessa sorte”) di soli 26 versi e ne scopre una versione precedente, nella quale egli nota che il testo riferisce molto di più di quanto non riferisse quello contenuto nella raccolta del Romancero.
In ogni caso, però non è possibile imbastire un discorso generale sulla genesi su ciascuno dei romanzi perché ogni romanzo fa storia a sé. Il romancero è la storia di ogni singolo romanzo all’interno di una modo che è il gusto della tradizione del 500.
Alcuni aspetti ancora più interni al testo sono alcuni elementi di tipo retorico, innanzitutto l’anafora. Un altro elemento presente nei romances è il parallelismo (a volte sviluppato anche sotto forma di metafora), si creano spesso i parallelismi tra le cose della natura e i sentimenti umani, tra il fluire del tempo e il fluire della vecchiaia ecc. Inoltre, tutta un’altra serie di ripetizioni, non soltanto di parole ma anche di suoni, è presente all’interno di questi testi. Ancora un altro elemento fondamentale è la contrapposizione (opposto al parallelismo), qualcosa che si contrappone a qualcos’altro secondo un procedimento avversativo.
Inoltre, nei romances si celebra quasi sempre momenti decisivi degli stili individuali dell’uomo. Il poeta tra l’altro, anonimo, non interviene quasi mai in prima persona e la narrazione è molto diretta tant’è che si fa ricorso molto spesso al discorso diretto.
Il romancero non ci pone davanti a fatti o a cose ma alla coscienza di fatti o di cose, è una forma molto efficace per evidenziare un lavoro poetico che presenta gli effetti, la presa di consapevolezza di questi fatti o cose. Si alternano inoltre, in tutti questi romances, dei momenti di fortissima intensità di grammatica quasi di tipo patetico. A questi momenti si alternano altri di distensione, di contemplazione, di meditazione dei personaggi rispetto a un determinato fatto. Il tutto viene sviluppato con un’alternanza tra parallelismi e contrapposizioni. Siamo in un tempo del racconto che potremmo definire, proprio grazie al taglio che viene dato, quasi sovrannaturale in quanto immobile. È un tempo in cui il destino dell’uomo deve compiersi, fotografano un momento preciso della realtà sia dal punto di vista grammatico sia dal punto di vista meditativo.
Siamo, in questi romances, in presenza di una nuova coscienza del racconto fra vita e poesia perché è una poesia che si allontana completamente da quella medievale (fare poesia per insegnare qualcosa). Qui assume una concezione individuale, sono storie umane dentro un tempo moderno che è ormai l’umanesimo.
L’epoca dei re cattolici la inseriamo in qualche modo nel medioevo perché riguarda ancora un’epoca medievale però non c’è nulla di più netto come il passaggio all’età moderna del secondo 400 spagnolo (età moderna inizia proprio nel 1492). Sono gli spagnoli che fanno nascere l’età moderna, sono i padri di quest’epoca. Mai come allora la Spagna avrà degli effetti enormi su tutto il resto del mondo. Paradossalmente molti di questi avvenimenti hanno il loro compimento pieno in un solo anno: 1492. Per la Spagna questa data è l’insieme di tantissime cose importanti:
- si conclude la Reconquista con la caduta del re di Granada;
- è l’anno dell’espulsione degli ebrei in spagna;
Con questi provvedimenti netti si tende a ricercare un’omogeneità religiosa dal punto di vista autoritario. La Spagna è unita, dotata di una forza interna che deve essere alimentata però dalla religione perché è quest’ultima che crea l’unità del paese. In spagna quest’unità avviene tramite il matrimonio ai re cattolici, alleanza tra corona di Castiglia e corona di Aragona, estensione del potere su tutto il territorio iberico ad eccezione del Portogallo.
Nel 1492 Antonio de Nebrija scrive la grammatica castigliana (c’è anche un’università che porta il suo nome, in Spagna) che è la prima opera dedicata allo studio e alla riflessione sulla lingua castigliana ed è il primo testo a stampa su una lingua romanza. Proprio nel 1492 gli spagnoli varcano l’Atlantico perché hanno bisogno di strumenti di studio per le università.
Il 1492 è anche l’anno della partenza dall’Andalucia per le Indie e per le Americhe: quest’impresa è possibile perché si sono unite due potenze. C’erano i soldi e c’era dunque la possibilità di finanziare quest’impresa. Era un’impresa dalla quale le corone di Castiglia e Aragona rischiavano.
ANALISI PRIMO TESTO ROMANCERO PAG 56 – Quién uviesse tal ventura”
Questo è un testo di 26 versi, è evidente il taglio che c’è stato rispetto a quello originale trovato da Menendez Pidal. Si tratta di ottosillabi. Le due parole che fanno rima sono: mar e Juan. Sono due assonanze, la prima e la terza non rimano, la seconda e la quarta sì. È un settenario acuto/ottosillabo tronco.
Questo è un evidente testo sospeso. Sappiamo soltanto che sta conducendo questa nave e non vuole cantare questa canzone a persone che non lo seguono dove egli va.
Estratto del documento

però si trova coinvolto nella caccia, si trattava di qualcuno che andava a caccia

ben fornito.

Il cavaliere va a caccia come era solito fare, i suoi cani sono stanchi, aveva perso

il falcone. Si accostò ad una quercia tanto alta da fare meraviglia, su uno dei rami

più alti vide una piccola principessa. I capelli della sua testa coprivano la quercia

intera. (Di solito la bellezza femminile del 500-600 è spesso associata ai capelli e

alla lunghezza dei capelli) Non spaventarti cavaliere, sono figlia del re e della

regina di Castiglia, ho passato 7 anni in braccio ad una balia e ho da vagare sola

per 7 anni per questa montagna. Oggi o al massimo domani si compiono i 7 anni,

perciò cavaliere prendimi e portami via se mi vuoi come sposa o come amica.

Aspettatemi signora fino a domani, dovrò prendere consiglio da mia madre

(cavaliere mammone – ironia sul ruolo della mamma/suocera). La fanciulla disse:

ne abbia male il cavaliere che lascia solo la fanciulla. Sua madre gli consiglia di

prenderla come amica e non come sposa, quando il cavaliere torna dalla

principessa non la trova e la vede portata via da altri, nel momento in cui la vede

il cavaliere cade al suolo. Una volta tornato in sé dice: Cavaliere che tanto hai

perso meriti proprio una gran pena. Io stesso sarò il giudice, io stesso mi farò da

giustiziere, gli taglino i piedi e le mani e lo trascinino per tutto il paese.

ROMANCE N°5 PAG 64-66

Qui abbiamo un rovesciamento sociale: non abbiamo più un cavaliere che va a

caccia ma abbiamo un contatto seduttivo tra un pastore e una donna.

Se ne sta la gentil dama passeggiando nel suo giardino a piedi nudi che era una

meraviglia a vedere. (il giudizio rispetto alla bellezza della donna è espresso dalla

voce dell’io poetico) Mi parlava da lontano, io non volli rispondere (io = pastore).

Le risposi con indisponenza/stizzito/infastidito: Che ordinate gentildonna? Con una

voce amorosa iniziò (la donna) a rispondere. Vieni qua, pastorello, se vuoi

riposarti nella pausa del mezzogiorno potrai farlo a tuo piacere. Non è tempo

giusto, o Signora, che io possa trattenermi, ho moglie, ho figli. E il mio bestiame

potrebbe disperdersi, e coloro che lo guardano non hanno di che mangiare. Lei gli

dice: Va con Dio (è una sorta di bestemmia), non sai campare! Le bellezze del mio

corpo te le avrei mostrate tutte. Ho la vita sottile, la mia pelle è bianca, il mio

colore è di screziato come la rosa nel roseto, le mie tettine appuntite bucano la

camicia (effetti del tutto sessuali), il collo di un airone e gli occhi di uno sparviere

(ci si rifà alle cose della natura per definire se stessi, in questo caso un uccello).

Quello che poi ho nascosto è una meraviglia da vedere. Il pastorello dice che

seppure la donna avesse di più, lui non si potrebbe trattenere.

ROMANCE N°6 PAG 68

Anche qui si insiste sulla figura femminile che in qualche modo sconvolge l’ordine

costituito.

C’è un eremo (eremo = luogo sacro) che si chiama San Simone nel quale tutte le

donne andavano a pregare (qui abbiamo un narratore un po’ esterno, che narra i

fatti con tratti cortesi). Va anche la mia signora che è fra tutte la migliore, porta

gonna sopra gonna. Sulla bocca, molto bella, porta un po’ della sua dolcezza, il

suo viso molto bianco ha un po’ di colore e sugli occhi celesti porta un po’

d’ombretto. Nell’entrare all’eremo, risplendendo come il sole, l’abate non la può

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