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CANTO VIII - Cielo di Venere: Anime degli spiriti spinti dall’amore
Analisi
La prima parte del canto (vv.1-30), dopo i dotti richiami al valore ambivalente di Venere, temuta e insieme adorata dai Pagani, presenta, in uno sfolgorio di luci e nell’armonia dei canti, una schiera di anime che si muovono in piena concordia secondo il moro circolare impresso loro dagli angeli che governano il III cielo.
Da questa schiera si stacca un’anima che si da incontro a Dante (vv.31-48) e gli si rivolge con accenti di affetto e amicizia. Si tratta dell’anima di Carlo Martello, che esprime rimpianto per la sua vita breve e il disprezzo per il malgoverno degli angioini e quello del fratello Roberto D’Angiò.
A Carlo Martello, poi, Dante sottopone un dubbio (vv.85-93) scaturito direttamente dalle parole del nobile angioino, ovvero come da una stirpe virtuosa possa nascere un discendente vizioso.
La risposta (vv.94-135) di Carlo è un’ampia argomentazione secondo cui gli astri e il loro influsso trovano posto nel quadro di un piano provvidenziale; si passa poi a considerare le caratteristiche dell’uomo, aristotelicamente considerato essere sociale, e a riflettere sul fatto che la società richieda il concorso di funzioni differenti, a loro volta espressione di differenti attitudini. Ma se le inclinazioni naturali, invece di essere valorizzate, sono represse e deviate, non può che derivarne un disordine per la società (vv.136-148).