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La vulnerabilità dell’Europa dinanzi al terrorismo islamico
Introduzione
Intorno alle ore 8:00 della mattina del 22 marzo 2016 le principali agenzie di stampa hanno incominciato a trasmettere e a rilanciare le prime confuse notizie provenienti da Bruxelles. Due distinte esplosioni si sono verificate nella sala dedicata alle partenze internazionali dell’aeroporto di Bruxelles, causando un numero ancora imprecisato di vittime innocenti e di feriti. Nel mezzo del caos provocato da queste notizie, alle ore 9:00, sempre a Bruxelles, città simbolo dell’Unione Europea, si è verificato un secondo attentato: nella stazione della metropolitana sono scoppiati alcuni ordigni, aumentando progressivamente il bilancio dei morti, dei feriti e dei dispersi.
svolgimento. Quello che si temeva purtroppo è successo di nuovo: le bombe, le vittime, la paura, l’allarme terroristico, la pronta rivendicazione degli attentati da parte dell’Isis. Gli attentati di Bruxelles, inevitabilmente per un attimo, hanno riportato indietro la nostra memoria alle tragedie successe tempo fa a Parigi, prima con l’attacco alla redazione di Charlie Hebdo e poi con l’attentato del 13 novembre 2015 al teatro Bataclan e allo stadio di Parigi, durante un’amichevole di calcio tra Francia e Germania. Nulla di nuovo nel triste susseguirsi degli avvenimenti, nel sentimento di paura, di angoscia e d’inquietudine che pervade ciascuno di noi nel costatare ormai la nostra piena vulnerabilità di fronte a questi attacchi terroristici che si stanno moltiplicando di giorno in giorno.
Ormai il mondo occidentale convive con la paura del ripetersi di tali massacri, che non avvengono solo in Europa e in America ma anche e soprattutto nel mondo islamico stesso.
L’ultimo attentato, capitato in questi giorni in Pakistan vicino a un parco giochi, ha causato numerosissime vittime, soprattutto bambini innocenti, prime vittime a essere colpite dalle azioni dei terroristi. Questa notizia appresa in TV non ha avuto nell’opinione pubblica e nel cuore di tutti noi europei lo stesso impatto emotivo degli attentati di Bruxelles e di Parigi, che al contrario ci hanno toccato profondamente. Perché non proviamo altrettanto dispiacere e anzi quasi indifferenza nell’apprendere queste notizie? Semplicemente ci sentiamo più vicini ai nostri connazionali perché condividiamo lo stesso stile di vita e quello che è capitato a loro può succedere a ognuno di noi in qualsiasi momento. Quando sentiamo alla radio, sulla rete, in televisione di queste disastrose tragedie, il primo pensiero va immediatamente alle povere vittime, temendo che fra esse ci possano essere persone a noi conosciute e care.
Particolare commozione ha destato in tutti noi la solidarietà arrivata, oltre a quella di gran parte del mondo intero, da un luogo diventato simbolo di sofferenza: in un’immagine apparsa sui media, un piccolo profugo della tendopoli ai confini tra Grecia e Macedonia, innalza un cartello con la scritta “Sorry for Brussels” (“Mi dispiace per Bruxelles”).
La paura che s’instaura in ognuno di noi, nel vedere il terrore negli occhi degli altri, di provare questa sensazione sulla nostra pelle, le lacrime e la disperazione nei superstiti di questi attentati, mirati a colpire qualsiasi etnia senza alcuna discriminazione, questo senso d’impotenza che s’impadronisce delle nostre menti, ci fa guardare con sospetto verso lo straniero, soprattutto se di fede musulmana. Questo sentimento è più forte di tutto, non si riesce a gestire né tantomeno a vincere, si tende a generalizzare addossando le colpe di pochi estremisti verso tutto il mondo islamico, non capendo che sono gli stessi mussulmani a essere vittime di questi attacchi.
Nella mente di ciascuno di noi sorge spontanea una domanda: cosa possiamo fare per porre fine a questo stato di cose, per far in modo che questi barbari attentati non abbiano più a ripetersi?
Poco purtroppo oltre alla condanna del terrorismo in ogni sede. Oltre alla solidarietà e al cordoglio, verso le vittime, bisogna trovare la forza per unirsi contro ogni forma di razzismo, di xenofobia, contro le barbarie e la violenza in modo da difendere e garantire la nostra democrazia contro ogni forza sovversiva e oscurantista.
Di certo non si può pensare di blindare la nostra società e neanche rassegnarci a rinunciare alla nostra libertà, militarizzando strade, aeroporti e qualunque altro luogo in cui si svolge la nostra vita.
Non è neppure auspicabile, come invocato a gran voce da parte di certi schieramenti politici che approfittano dello sdegno e del risentimento che segue a questi attentati, per chiudere le nostre frontiere. Infatti, i terroristi, i kamikaze che si fanno esplodere, non è dimostrato che arrivino dall’estero insieme alle ondate di profughi, bensì convivono già con noi, fanno già parte della nostra società, sono i figli di seconda o terza generazione di quell’ondata migratoria arrivata in Europa nel secolo scorso e che non ha saputo o voluto mai integrarsi completamente nella società che li ha accolti.
conclusione. In conclusione l’unica vera risposta contro il terrorismo, ritengo sia l’arma della cultura, della piena integrazione nella nostra società dello straniero, di chi è diverso da noi per colore della pelle, per credo religioso, per costumi e tradizioni diversi. Fare in modo cioè che non vi siano più forme d’isolamento, emarginazione, facile terreno di cultura per la nascita e la proliferazione di nuovi integralisti e terroristi, bensì vi sia sempre maggiore integrazione fra le diverse culture e un impegno costante da parte di ogni singolo individuo al dialogo e alla sensibilizzazione verso ciò che non si conosce.
Titolo: La vulnerabilità dell’Europa dinanzi al terrorismo islamico.
introduzione. Intorno alle ore 8:00 della mattina del 22 marzo 2016 le principali agenzie di stampa
hanno incominciato a trasmettere e a rilanciare le prime confuse notizie provenienti da Bruxelles.
Due distinte esplosioni si sono verificate nella sala dedicata alle partenze internazionali
dell’aeroporto di Bruxelles, causando un numero ancora imprecisato di vittime innocenti e di feriti.
Nel mezzo del caos provocato da queste notizie, alle ore 9:00, sempre a Bruxelles, città simbolo
dell’Unione Europea, si è verificato un secondo attentato: nella stazione della metropolitana sono
scoppiati alcuni ordigni, aumentando progressivamente il bilancio dei morti, dei feriti e dei dispersi.
svolgimento. Quello che si temeva purtroppo è successo di nuovo: le bombe, le vittime, la paura,
l’allarme terroristico, la pronta rivendicazione degli attentati da parte dell’Isis. Gli attentati di
Bruxelles, inevitabilmente per un attimo, hanno riportato indietro la nostra memoria alle tragedie
successe tempo fa a Parigi, prima con l’attacco alla redazione di Charlie Hebdo e poi con l’attentato
del 13 novembre 2015 al teatro Bataclan e allo stadio di Parigi, durante un’amichevole di calcio tra
Francia e Germania. Nulla di nuovo nel triste susseguirsi degli avvenimenti, nel sentimento di
paura, di angoscia e d’inquietudine che pervade ciascuno di noi nel costatare ormai la nostra piena
vulnerabilità di fronte a questi attacchi terroristici che si stanno moltiplicando di giorno in giorno.
Ormai il mondo occidentale convive con la paura del ripetersi di tali massacri, che non avvengono
solo in Europa e in America ma anche e soprattutto nel mondo islamico stesso.
L’ultimo attentato, capitato in questi giorni in Pakistan vicino a un parco giochi, ha causato
numerosissime vittime, soprattutto bambini innocenti, prime vittime a essere colpite dalle azioni dei
terroristi. Questa notizia appresa in TV non ha avuto nell’opinione pubblica e nel cuore di tutti noi
europei lo stesso impatto emotivo degli attentati di Bruxelles e di Parigi, che al contrario ci hanno
toccato profondamente. Perché non proviamo altrettanto dispiacere e anzi quasi indifferenza
nell’apprendere queste notizie? Semplicemente ci sentiamo più vicini ai nostri connazionali perché
condividiamo lo stesso stile di vita e quello che è capitato a loro può succedere a ognuno di noi in
qualsiasi momento. Quando sentiamo alla radio, sulla rete, in televisione di queste disastrose
tragedie, il primo pensiero va immediatamente alle povere vittime, temendo che fra esse ci possano
essere persone a noi conosciute e care.
Particolare commozione ha destato in tutti noi la solidarietà arrivata, oltre a quella di gran parte del
mondo intero, da un luogo diventato simbolo di sofferenza: in un’immagine apparsa sui media, un
piccolo profugo della tendopoli ai confini tra Grecia e Macedonia, innalza un cartello con la scritta
“Sorry for Brussels” (“Mi dispiace per Bruxelles”).
La paura che s’instaura in ognuno di noi, nel vedere il terrore negli occhi degli altri, di provare
questa sensazione sulla nostra pelle, le lacrime e la disperazione nei superstiti di questi attentati,
mirati a colpire qualsiasi etnia senza alcuna discriminazione, questo senso d’impotenza che
s’impadronisce delle nostre menti, ci fa guardare con sospetto verso lo straniero, soprattutto se di
fede musulmana. Questo sentimento è più forte di tutto, non si riesce a gestire né tantomeno a
vincere, si tende a generalizzare addossando le colpe di pochi estremisti verso tutto il mondo
islamico, non capendo che sono gli stessi mussulmani a essere vittime di questi attacchi.
Nella mente di ciascuno di noi sorge spontanea una domanda: cosa possiamo fare per porre fine a
questo stato di cose, per far in modo che questi barbari attentati non abbiano più a ripetersi?
Poco purtroppo oltre alla condanna del terrorismo in ogni sede. Oltre alla solidarietà e al cordoglio,
verso le vittime, bisogna trovare la forza per unirsi contro ogni forma di razzismo, di xenofobia,
contro le barbarie e la violenza in modo da difendere e garantire la nostra democrazia contro ogni
forza sovversiva e oscurantista.
Di certo non si può pensare di blindare la nostra società e neanche rassegnarci a rinunciare alla
nostra libertà, militarizzando strade, aeroporti e qualunque altro luogo in cui si svolge la nostra vita.
Non è neppure auspicabile, come invocato a gran voce da parte di certi schieramenti politici che
approfittano dello sdegno e del risentimento che segue a questi attentati, per chiudere le nostre
frontiere. Infatti, i terroristi, i kamikaze che si fanno esplodere, non è dimostrato che arrivino
dall’estero insieme alle ondate di profughi, bensì convivono già con noi, fanno già parte della nostra