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Concetti Chiave

  • Angelo Mai was an influential Italian cardinal, theologian, and philologist known for discovering Cicero's "De Re Publica".
  • Leopardi's poem "Ad Angelo Mai" explores the separation between science and poetry, highlighting the loss of imagination and awareness of illusion.
  • The poem reflects on the historical journey of Italian poetry, connecting figures like Dante, Petrarch, Ariosto, Tasso, and Alfieri.
  • Leopardi's work emphasizes the enduring relevance of Italy's past heroes and the potential for cultural revival in a period of perceived decline.
  • The poem critiques the current state of Italian society, lamenting the lack of honor and the rise of mediocrity compared to the glorious past.

Indice

  1. Angelo Mai e la scoperta
  2. Leopardi e la canzone
  3. La poesia di Leopardi
  4. Il valore dell'Italia antica
  5. Il sogno e la realtà
  6. Il mondo conosciuto
  7. Il canto e il dolore
  8. Torquato Tasso e il dolore
  9. Il ritorno di Torquato
  10. L'eroe solitario
  11. Vittorio Alfieri e il suo tempo

Angelo Mai e la scoperta

Angelo Mai (1782-1854) fu un cardinale, teologo e filologo italiano .

Leopardi e la canzone

In occasione della scoperta del “De Re Publica” di Cicerone da parte di Mai, Leopardi scrisse la canzone Ad Angelo Mai nella quale traccia quasi una genesi della poesia italiana passando da Alighieri a Petrarca, da Ariosto a Tasso, fino ad arrivare ad Alfieri. È una canzone che segna quel divorzio fra scienza e poesia, la perdita dell’immaginazione e la consapevolezza dell’'illusione. La canzone è una summa delle concezioni e dei temi leopardiani del periodo in cui viene scritta.

La poesia di Leopardi

Italo ardito, a che giammai non posi

Di svegliar dalle tombe

I nostri padri? ed a parlar gli meni

A questo secol morto, al quale incombe

Tanta nebbia di tedio? E come or vieni

Sì forte a' nostri orecchi e sì frequente,

Voce antica de' nostri,

Muta sì lunga etade? e perchè tanti

Risorgimenti? In un balen feconde

Venner le carte; alla stagion presente

I polverosi chiostri

Serbaro occulti i generosi e santi

Detti degli avi. E che valor t'infonde,

Italo egregio, il fato? O con l'umano

Valor forse contrasta il fato invano?

Certo senza de' numi alto consiglio

Non è ch'ove più lento

E grave è il nostro disperato obblio,

A percoter ne rieda ogni momento

Novo grido de' padri. Ancora è pio

Dunque all'Italia il cielo; anco si cura

Di noi qualche immortale:

Ch'essendo questa o nessun'altra poi

L'ora da ripor mano alla virtude

Rugginosa dell'itala natura,

Veggiam che tanto e tale

È il clamor de' sepolti, e che gli eroi

Dimenticati il suol quasi dischiude,

A ricercar s'a questa età sì tarda

Anco ti giovi, o patria, esser codarda.

Il valore dell'Italia antica

Di noi serbate, o gloriosi, ancora

Qualche speranza? in tutto

Non siam periti? A voi forse il futuro

Conoscer non si toglie. Io son distrutto

Nè schermo alcuno ho dal dolor, che scuro

M'è l'avvenire, e tutto quanto io scerno

È tal che sogno e fola

Fa parer la speranza. Anime prodi,

Ai tetti vostri inonorata, immonda

Plebe successe; al vostro sangue è scherno

E d'opra e di parola

Ogni valor; di vostre eterne ledi

Nè rossor più nè invidia; ozio circonda

I monumenti vostri; e di viltade

Siam fatti esempio alla futura etade.

Bennato ingegno, or quando altrui non cale

De' nostri alti parenti,

A te ne caglia, a te cui fato aspira

Benigno sì che per tua man presenti

Paion que' giorni allor che dalla dira

Obblivione antica ergean la chioma,

Con gli studi sepolti,

I vetusti divini, a cui natura

Parlò senza svelarsi, onde i riposi

Magnanimi allegràr d'Atene e Roma.

Oh tempi, oh tempi avvolti

In sonno eterno! Allora anco immatura

La ruina d'Italia, anco sdegnosi

Eravam d'ozio turpe, e l'aura a volo

Più faville rapia da questo suolo.

Eran calde le tue ceneri sante,

Non domito nemico

Della fortuna, al cui sdegno e dolore

Fu più l`averno che la terra amico.

L'averno: e qual non è parte migliore

Di questa nostra? E le tue dolci corde

Susurravano ancora

Dal tocco di tua destra, o sfortunato

Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce

L'italo canto. E pur men grava e morde

Il mal che n'addolora

Del tedio che n'affoga. Oh te beato,

A cui fu vita il pianto! A noi le fasce

Cinse il fastidio; a noi presso la culla

Immoto siede, e su la tomba, il nulla.

Il sogno e la realtà

Ma tua vita era allor con gli astri e il mare,

Ligure ardita prole,

Quand'oltre alle colonne, ed oltre ai liti

Cui strider l'onde all'attuffar del sole

Parve udir su la sera, agl'infiniti

Flutti commesso, ritrovasti il raggio

Del Sol caduto, e il giorno

Che nasce allor ch'ai nostri è giunto al fondo;

E rotto di natura ogni contrasto,

Ignota immensa terra al tuo viaggio

Fu gloria, e del ritorno

Ai rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo

Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto

L'etra sonante e l'alma terra e il mare

Al fanciullin, che non al saggio, appare.

Il mondo conosciuto

Nostri sogni leggiadri ove son giti

Dell'ignoto ricetto

D'ignoti abitatori, o del diurno

Degli astri albergo, e del rimoto letto

Della giovane Aurora, e del notturno

Occulto sonno del maggior pianeta?

Ecco svaniro a un punto,

E figurato è il mondo in breve carta;

Ecco tutto è simile, e discoprendo,

Solo il nulla s'accresce. A noi ti vieta

Il vero appena è giunto,

O caro immaginar; da te s'apparta

Nostra mente in eterno; allo stupendo

Poter tuo primo ne sottraggon gli anni;

E il conforto perì de' nostri affanni.

Il canto e il dolore

Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo

Sole splendeati in vista,

Cantor vago dell'arme e degli amori,

Che in età della nostra assai men trista

Empièr la vita di felici errori:

Nova speme d'Italia. O torri, o celle,

O donne, o cavalieri,

O giardini, o palagi! a voi pensando,

In mille vane amenità si perde

La mente mia. Di vanità, di belle

Fole e strani pensieri

Si componea l'umana vita: in bando

Li cacciammo: or che resta? or poi che il verde

È spogliato alle cose? Il certo e solo

Veder che tutto è vano altro che il duolo.

Torquato Tasso e il dolore

O Torquato, o Torquato, a noi l'eccelsa

Tua mente allora, il pianto

A te, non altro, preparava il cielo.

Oh misero Torquato! il dolce canto

Non valse a consolarti o a sciorre il gelo

Onde l'alma t'avean, ch'era sì calda,

Cinta l'odio e l'immondo

Livor privato e de' tiranni. Amore,

Amor, di nostra vita ultimo inganno,

T'abbandonava. Ombra reale e salda

Ti parve il nulla, e il mondo

Inabitata piaggia. Al tardo onore

Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno,

L'ora estrema ti fu. Morte domanda

Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda.

Il ritorno di Torquato

Torna torna fra noi, sorgi dal muto

E sconsolato avello,

Se d'angoscia sei vago, o miserando

Esemplo di sciagura. Assai da quello

Che ti parve sì mesto e sì nefando,

E peggiorato il viver nostro. O caro,

Chi ti compiangeria,

Se, fuor che di se stesso, altri non cura?

Chi stolto non direbbe il tuo mortale

Affanno anche oggidì, se il grande e il raro

Ha nome di follia;

Nè livor più, ma ben di lui più dura

La noncuranza avviene ai sommi? o quale,

Se più de' carmi, il computar s'ascolta

Ti appresterebbe il lauro un'altra volta?

L'eroe solitario

Da te fino a quest'ora uom non è sorto,

O sventurato ingegno,

Pari all'italo nome, altro ch'un solo,

Solo di sua codarda etate indegno

Allobrogo feroce, a cui dal polo

Maschia virtù, non già da questa mia

Stanca ed arida terra,

Venne nel petto; onde privato, inerme,

(Memorando ardimento) in su la scena

Mosse guerra a' tiranni: almen si dia

Questa misera guerra

E questo vano campo all'ire inferme

Del mondo. Ei primo e sol dentro all'arena

Scese, e nullo il seguì, che l'ozio e il brutto

Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.

Vittorio Alfieri e il suo tempo

Disdegnando e fremendo, immacolata

Trasse la vita intera,

E morte lo scampò dal veder peggio.

Vittorio mio, questa per te non era

Età nè suolo. Altri anni ed altro seggio

Conviene agli alti ingegni. Or di riposo

Paghi viviamo, e scorti

Da mediocrità: sceso il sapiente

E salita è la turba a un sol confine,

Che il mondo agguaglia. O scopritor famoso,

Segui; risveglia i morti,

Poi che dormono i vivi; arma le spente

Lingue de' prischi eroi; tanto che in fine

Questo secol di fango o vita agogni

E sorga ad atti illustri, o si vergogni.

Domande da interrogazione

  1. Chi era Angelo Mai e quale scoperta fece?
  2. Angelo Mai era un cardinale, teologo e filologo italiano noto per la scoperta del "De Re Publica" di Cicerone.

  3. Qual è il tema centrale della canzone di Leopardi dedicata ad Angelo Mai?
  4. La canzone di Leopardi esplora il divorzio tra scienza e poesia, la perdita dell'immaginazione e la consapevolezza dell'illusione, tracciando una genesi della poesia italiana.

  5. Come viene rappresentato il valore dell'Italia antica nella poesia di Leopardi?
  6. Leopardi riflette sul valore dell'Italia antica, esprimendo speranza e delusione per il presente, e lamenta la perdita di virtù e gloria passate.

  7. Qual è la visione di Leopardi sul mondo conosciuto e la realtà?
  8. Leopardi vede il mondo conosciuto come limitato e deludente rispetto ai sogni e all'immaginazione, sottolineando che la scoperta porta solo alla consapevolezza del nulla.

  9. Come viene descritto il dolore di Torquato Tasso nella poesia?
  10. Torquato Tasso è descritto come un poeta afflitto dal dolore e dall'incomprensione, il cui talento non riuscì a consolarlo, e la sua vita fu segnata da sofferenza e isolamento.

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