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Il De Cive di Thomas Hobbes: un esempio di trattato seicentesco

La rivoluzione intellettuale del Seicento è considerata da molti come il vero evento culturale fondativo della modernità. Laicizzazione del sapere, dissoluzione delle problematiche di ascendenza aristotelico-scolastica, riconquistata centralità della concretezza storico-naturale dell'uomo e della realtà fisica e sua spassionata analisi in base a metodologie rigorose di raccolta dei dati e di argomentazione, sono le caratteristiche che nel XVII secolo acquista la riflessione filosofico-scientifica. Questa trasformazione si riproduce anche nelle forme espressive; lo standard letterario che si afferma nella filosofia del seicento è costituito dal trattato, redatto perlopiù in latino ma anche in francese. La trattatistica risente della forte suggestione metodologica proveniente dalle scienze esatte e soprattutto dalle matematiche. L'esposizione, infatti, acquista un carattere.deduttivo-1dimostrativo, orientandosi sulla fissazione preliminare degli assiomi e delle nozioni comuni in base al quale l'argomento sarà discusso. Ciò spesso comporta anche l'adozione di una terminologia geometrico-matematica; la geometria, infatti, offre spunto al filosofo venendo incontro alla sua esigenza di univoche e chiare definizioni, di stringente consequenzialità dimostrativa e di assenza del ricorso alla tradizione e all'autorità. Il pubblico del trattato, infine, è quello internazionale della comunità scientifica in via di costituzione, che forma un ambiente in espansione e coopera al confronto e all'elaborazione delle idee. Si capisce così, la mancanza, nella migliore trattatistica, di orpelli letterari e retorici e la volontà dei filosofi di una analisi pienamente oggettiva dei problemi studiati, i quali vengono affrontati attraverso una precisione lessicale ammirevole, con un nitido ma esauriente

Periodare che trova i suoi modelli nella tradizione dello stoicismo. Un brillante esempio di trattatistica è il De Cive di Thomas Hobbes, uno dei capisaldi dellamoderna filosofia politica. L'opera (il cui titolo integrale è "Elementi filosofici sul cittadino") fu composta da Hobbes poco dopo il suo arrivo in Francia quale esule volontario nel 1640, l'autore era fuggito dal suo paese perché temeva l'ostilità dei repubblicani inglesi nei suoi confronti a causa dei suoi legami con la dinastia Stuart e la nobiltà (vedi biografia Hobbes). Il "De cive", pubblicato nellatollerante Amsterdam nel 1647, avrebbe dovuto idealmente costituire il logico coronamento del sistema filosofico che Hobbes pensava diviso in tre sezioni, "in modo da trattare, nella prima del corpo umano e delle sue priorità generali; nella seconda, dell'uomo delle sue facoltà e dei suoi sentimenti in particolare; nella terza,

Il testo tratta dell'argomento del "De cive" di Hobbes, che espone con ragionamenti saldissimi che non vi sono teorie autentiche sul giusto e sull'ingiusto, sul bene e sul male, all'infuori delle leggi istituite in ciascuno Stato, e che nessuno può ricercare se un'azione sia giusta o ingiusta, buona o cattiva, ad eccezione di coloro cui è stata deferita l'interpretazione delle leggi. Questo non solo mostrerebbe la gran via della pace, ma indurrebbe a paragonarla coi sentieri equivoci e oscuri della ribellione; e non si potrebbe pensare a nulla di più utile.

Queste parole di Hobbes rimandano direttamente ai gravi problemi civili che la contesa tra la monarchia Stuart e il parlamento faceva sempre più emergere in Inghilterra mentre egli scriveva; specialmente negli anni 1647-1648, periodo in cui, essendo ormai segnato il destino della guerra a sfavore del re.

(che sarebbe stato processato dal Parlamento e condannato alla decapitazione nel 1649), dominavano la scena gli elementi più radicali della rivoluzione anti-monarchica ossia i "livellatori" e gli "zappatori" ("levellers" e "diggers") che minacciavano di scardinare non solo l'ordine istituzionale ma anche le egemonie sociali dei mercanti borghesi e della piccola nobiltà ("gentry") che difendevano il partito anti-monarchico degli Indipendenti guidato da Oliver Cromwell. Nella prefazione del "De cive", infatti, Hobbes scriverà di aver "affrettato la composizione di questa terza parte", sospendendo le altre due, perché l'intervento in campo politico gli pareva più urgente. 1 con deduzione si intende in filosofia un procedimento che lega una certa conclusione alle sue premesse; il procedimento di deduzione consente di derivare il particolare dall'universale.contesto ideologico del "De cive" è quindi quello della giustificazione del potere monarchico in un'epoca di violente contestazioni e di forte instabilità politica. Tuttavia Hobbes non dà una versione apologetica della monarchia, ma ne indica la necessità sulla base di una riconsiderazione filosofica del problema dello Stato. Sentimento predominante nell'intero testo è infatti la paura dell'anarchia e del disordine che si ricollega all'amore di Hobbes per la tranquillità dei suoi studi e alla sua attività di precettore (maestro privato) al servizio di prestigiosi personaggi della nobiltà inglese. Il suo pessimismo nei confronti della natura umana si lega al suo senso di smarrimento di fronte ad ogni ribellione al potere costituito. La struttura tripartita del "De cive":
  1. La libertà.
  2. Il potere.
  3. La religione.
Nella prima parte Hobbes analizza lo stato di natura.

La legge di natura e i suoi rapporti con la legge divina: mostra come lo stato di natura sia misero e insicuro per l'uomo.

La seconda parte è dedicata ad analizzare l'origine dello Stato e le forme razionali che esso può assumere; spiega i possibili motivi di decadenza e discute dei diritti e doveri tanto dei cittadini che del sovrano; mette infine a confronto pregi e difetti delle possibili forme di Stato.

Nella terza parte vengono analizzati i rapporti tra potere religioso e civile, e si vuole dimostrare come il primo debba riassorbirsi nel secondo (H. sostiene che "l'obbedienza che da ogni cittadino cristiano si deve al proprio sovrano non può essere in contrasto con la religione cristiana").

Il fine del "De cive" è quello di fondare una scienza dello Stato dotata del rigore argomentativo della geometria (il termine "elementi" presente nel titolo rimanda direttamente al famoso trattato di geometria di Euclide).

Hobbes intende trattare la materia etico-politica sottoponendola ad un rigoroso esame razionale, nella convinzione che sia possibile darne una trattazione esauriente che ne fissi una volta per tutte le leggi e le strutture. Ciò è possibile perché la materia etico-politica dipende, secondo Hobbes, interamente dalla volontà umana, così come la generazione delle figure geometriche. Secondo il convenzionalismo di Hobbes i concetti del giusto e dell'equo "ci sono noti perché noi stessi poniamo le cause della giustizia, cioè le leggi e le convenzioni"; essi non rimandano ad alcuna evidenza ideale e sono semplicemente "nomi" convenzionalmente imposti e prescrizioni stabilite in virtù del comando di chi le rende obbligatorie. Quella di Hobbes si può definire una forma "legalismo etico", cioè una teoria che fonda la correttezza o bontà di un'azione nel comando che

la prescrive: è bene ciò che la legge ordina. L'idea che si possa discernere, con un esame razionale, il giusto e l'ingiusto rispetto ad ogni singola azione astrattamente considerata, appare ad Hobbes inaccettabile. Rifacendosi alle fonti classiche (lo storico greco Tucidide e il poeta Lucrezio in particolare), oltre che prendendo spunto dalla sua lunga consuetudine con gli ambienti nobiliari, con i loro intrighi e competitività, Hobbes elabora una descrizione dell'egoismo della natura umana quasi bestiale. Egli coordina questi temi con la sua visione meccanicistica dell'uomo contraria al libero arbitrio. Ogni uomo, a suo parere, vive necessariamente condizionato dalla propria istintività egoistica; essa non è malvagia in assoluto, ma lo diventa se, come si vedrà, lo Stato (e quindi la civiltà) non riesce a incanalarla e a indirizzarla produttivamente.

Apologia: Esposizione di ragioni in favore di una persona o di una dottrina.

Unità alla confutazione delle accuse addotte in contrario. In un certo senso, per Hobbes, gli uomini sono come macchine dall'identico funzionamento, automi dotati delle stesse passioni e degli stessi impulsi: il loro conflitto nello stato di natura è dunque necessario, non frutto di malvagità morale. Particolarmente interessante, in questo senso, è il significato che Hobbes dà delle leggi di natura. Con esse Hobbes non vuole significare contenuti etico-giuridici universalmente condivisi e validi al di là di qualsiasi fondamento teologico (come vuole il giusnaturalismo), quanto piuttosto delle semplici regole di prudenza, condotta e calcolo che sono insite nella natura umana. Si capisce, allora, che la ragione e le leggi naturali vengono definite come strumento per la conservazione dell'individuo, la quale è considerata precaria nello stato di natura. ("la legge naturale è, a volerla definire, un dettame della retta ragione")

Riguardo a quel che si deve fare o tralasciare per conservare la vita e le membra quanto più a lungo sia possibile”).

Differentemente dalla visione aristotelica dell'uomo come “animale politico”, ripresa anche dalle teorie del giusnaturalismo che ponevano la base della società nell'istinto sociale dell'uomo, Hobbes ritiene che gli uomini non abbiano alcun naturale impulso ad associarsi e mettersi in comune (questo fa sì che la riflessione hobbesiana verta soprattutto sull'individuo e che non indugi sulle forme associative o comunitarie come la famiglia o le associazioni d'interesse in cui, invece, la tradizione aristotelica vede i fondamenti originari dello Stato).

Secondo Hobbes la società nasce non dalla tendenza sociale dell'uomo, ma dal timore reciproco che gli uomini portano l'uno verso l'altro. (“Bisogna dunque concludere che l'origine delle grandi ed evolte società deve

essere stata non già la mutua simpatia degli uomini, ma il reciproco timore”). Si tratta per Hobbes di una realtà incontrovertibile, ricavata dall'esperienza. Con il concetto di

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Publisher
A.A. 2012-2013
5 pagine
1 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Sara F di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia dell'educazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli o del prof Limone Giuseppe.