
Sembra proprio che i giovani italianisiano diventati, negli ultimi tempi, il bersaglio preferenziale di molti esponenti della vita pubblica e non solo. Proprio oggi compare sul quotidiano Libero un articolo piuttosto spigoloso nei confronti degli studenti del Paese definiti da Filippo Facci, autore dell’articolo in questione, “svogliati, viziati, rammolliti dalla bambagia familiare, cioè bamboccioni, iper-protetti dal familismo e da un welfare schizofrenico”.
E l’Italia, secondo le parole del giornalista, sarebbe proprio un “Paese per studenti”, purché rientranti in quelle descrizioni non proprio generose. Ma è vero quanto denunciato da Facci che gli studenti sono una casta?LA CASTA DEGLI STUDENTI - Per Filippo Facci i giovani si trasformano così da vittime di un sistema sbagliato e reso difettoso dalle generazioni passate, in casta di privilegiati che approfitta della società, mangiando denaro pubblico e risorse statali ai danni dei più poveri. D’altra parte “lo Stato gli chiede solo mille o duemila euro l’anno di tasse universitarie, mentre ne costano - allo stesso Stato - una media di settemila”: questa una delle accuse lanciate contro i giovani universitari. Ma perché considerare lo studente solo una spesa per lo Stato, e non anche una fonte di guadagno?
LE SPESE POST UNIVERSITARIE - Tasse universitarie a parte, e già quelle comunque hanno un bel peso, ogni concorso per un fuoriuscito dai corridoi universitari ha un costo non proprio contenuto (pensiamo al dottorato di ricerca, o alle varie abilitazioni). Per trovare lavoro, oggi giorno, occorrono, inoltre, corsi di perfezionamento, master e quant’altro: e anche in questo caso siamo ben lontani dalla soglia della gratuità. Insomma, se è e vero che uno studente obbliga lo Stato ad una spesa di 7000 euro l’anno, è anche vero che, prima di poter trovare una sistemazione, è costretto a sborsare cifre da capogiro (un master, ad esempio, può andare dai 3500 euro dell’università statale ai 20000 della privata).
BAMBOCCIONI IN RITARDO - Le critiche nei confronti dei giovani hanno iniziato a farsi insistenti con l’acuirsi della crisi finanziaria e occupazionale. Si è partiti dalla polemica dei bamboccioni comodoni, abituati a stare attaccati alle gambe della mamma, e per niente predisposti alla tanto osannata “mobilità”. Dagli altoparlanti della politica nazionale sono giunte in passato dichiarazioni forti sulla “noia del posto fisso” e il divertimento della danza dei precari. Poi, recentemente, le parole del governatore di Bankitalia che, come sottolineato dall’articolo di Facci, ha ricordato che il livello di istruzione dei giovani italiani è ben distante da quello degli altri Paesi avanzati, e a parlare sono i dati. Quest’ultimo, certo, è un allarme che dovrebbe far riflettere: ma siamo sicuri che le responsabilità di tale ritardo siano completamente imputabili agli studenti?
STUDENTI: SONO SOLO FANNULLONI - Insomma, secondo il giornalista, quella degli studenti italiani è una vera e propria casta di fannulloni, in grado solo di lamentarsi e non condurre battaglie serie. Perennemente in bilico tra un vittimismo esasperato e la comodità del non far nulla, i bamboccioni si laureano sempre più tardi, dopo i 27 anni, e sono restii allo spostamento. Questo perché abituati a vivere sino a tarda età sotto il tetto genitoriale. Ma ponendo la questione da un altro punto di vista, potremmo dire che la tendenza a studiare vicino casa e ad evitare l’estero, sia legata alla necessità di contenere le spese, perché non tutti possono permettersi una media di 550 euro di affitto mensile per una stanza nelle metropoli universitarie italiane, e non ad un attacco di "mammite acuta". Al contempo non si può non riconoscere la tendenza di gran parte dei giovani ad utilizzare l’università come una sorta di parcheggio, o come ha scritto Facci, “anticamera della vita reale”. Tuttavia è giusto fare di un malcostume diffuso la regola generale, e non considerare, invece, i tanti giovani laureati a pieni voti e nel tempo necessario ora disoccupati?
Margherita Paolini