Patologia del pensiero - Plotino e gnostici
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(kainotomou=sin), allo scopo di creare una filosofia originale (ijdivan), sono ritrovato fuori della verità
th=ò ajlhqeivaò euJvrhtai)»
12
(ejvxw .
L’apocalisse, l’elettiva rivelazione salvifica del Dio personale entusiasticamente accolta, è
dichiarata del tutto irriducibile al metodo e alla sostanza della ricerca filosofica greca, quindi alla verità.
Al vanto di possedere una protologica (ove la novità apocalittica diviene eccedente, originaria realtà,
inaccessibile agli occhi della “comune” razionalità filosofica), eppure elettiva rivelazione (confutata da
Porfirio con quello che potremmo definire un vero e proprio metodo storico-critico), all’empio
13
«disprezzare (katafronei=n)» il cosmo , è opposto il rigore del metodo filosofico e del suo dover rendere
ragione. I greci pensano la realtà invariabile e necessaria dell’eterno, gli gnostici annunciano una novità
ambigua, un principio assoluto insieme ontologico e antropologico, sicché davvero quello gnostico è un
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pensiero patologico . Esso, infatti, radica la passione (e la rivelazione storica che l’annuncia) – la
dialettica peccato/pentimento, esilio-caduta/conversione-redenzione – nel Logos, quindi nello stesso
eterno assoluto; per questo, agli occhi dell’apatica hen/ontologia plotiniana, essa non può che apparire
15
come razionalità nova, eversiva, bastarda, impura, passionalmente contaminata , delirante nel suo
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proiettare le passioni dell’anima sull’eterna, necessaria, imperturbabile perfezione dell’assoluto.
Ma proprio tenendo presente questa corruzione gnostica della venerata verità greca, risulta
evidente come il rapporto tra gnosticismo, platonismo e cristianesimo – rapporto a tre che vede il primo
come luogo d’incontro, di mediazione e di scontro tra cultura filosofica pagana e nuovo universale
messaggio di salvezza – non sia soltanto un rapporto di mera opposizione, ma appunto di “mortale”
contaminazione, per quanto radicalmente irriducibili siano le prospettive che paradossalmente si
incrociano: anzi, questa “nuova” sintesi operata dai superbi e deliranti discepoli infedeli di Plotino
(definiti apertamente «cristiani» da Porfirio) si manifesta come il frutto di un laboratorio intellettuale di
enorme importanza storica (come dicevamo, avviato più di un secolo prima, all’interno del cristianesimo
del II secolo). Gli gnostici, infatti, sono i primi pensatori cristiani che vogliono fondare una filosofia della
Rivelazione, una teologia speculativamente rigorosa, in quanto essi iniziano a ragionare sul kerigma
cristiano in termini di essere, di ontologia, di natura, reinterprando gli eventi storici come processi
ontoteologici dialetticamente pensati.
Possiamo allora comprendere cosa erediti, di profondo e di strutturale, lo gnosticismo dalla
filosofia, in particolare, dal (medio)platonismo? Un metodo, e questo è essenziale. Quando si eredita un
12 P , Enneadi II,9,5-6.
LOTINO
13 Cf. P , Enneadi II,9,15-16.
LOTINO
14 Sull’impassibilità di un’ontologica verità e sapienza (sofiva) divina, assolutamente trascendente e pura
rispetto a qualsiasi patologica contaminazione con l’umano e il suo oscuro divenire, cf. quest’importante brano
antignostico plotiniano: «E nemmeno [gli dèi] sono a volte saggi e a volte stolti, ma sono eternamente saggi nel loro
ajpaqei= tw=/ nw=/),
intelletto impassibile (ejn immobile e pura e sanno tutte le cose e conoscono, non le cose
umane, ma le divine che appartengono a loro, cioè tutto ciò che il Nous vede […] poiché lassù la vita scorre serena e
la verità è loro madre e nutrice, loro sostanza ed alimento. Essi contemplano tutte le cose, non quelle cui appartiene il
divenire (gevnesiò), ma quelle che posseggono l’essere (oujsiva) e, tra le altre, se stessi. Lassù tutto è trasparente,
nulla è tenebroso e antitipico (ajntivtupon), ognuno è manifesto ad ogni altro nel suo intimo e in ogni dove, poiché la
luce è manifesta alla luce […] Lassù la vita è sapienza […], che è perfetta in eterno e non viene mai meno
oujdeniv), zhthvsewò dehqh=/)
(ejlleivpousa così che si debba farne ricerca (iJvna ed è la sapienza prima e non
derivata: il suo stesso essere è sapienza, non un essere che diventi sapienza in un secondo tempo. Per tal motivo,
nessuna sapienza le è superiore» (P , Enneadi V,8,3,24-4,7 e 4,35-39). L’impassibile sapienza ontologica è
LOTINO
appunto opposta al patologico mito gnostico di Sophia peccatrice e del suo sdoppiamento nella Sophia
extrapleromatica, seconda in quanto derivata dal peccato della prima Sophia, decaduta, smarritasi, patiens, bisognosa
di conversione e di redenzione, di formazione “escatologica” secondo la gnosi, perché possa tornare in se stessa,
essere ritrovata dal Salvatore e da questi ricondotta nel pleroma.
15 «Ma costoro, che pure hanno un corpo come quello degli altri uomini ed hanno desideri, dolori e collera,
non disprezzano il loro potere e pretendono di arrivare al contatto dell’intellegibile… [proprio] noi che siamo
ostacolati da tante illusioni ad arrivare sino alla verità» (P , Enneadi II,9,5). Lo gnostico pretende di conoscere
LOTINO
l’eterno senza essersi distaccato dalle proprie contingenti passioni corporee, che finisce per proiettare sull’archetipo
assoluto; l’infimo, l’uomo nella sua irreale contingenza e passionalità, si vanta, così, del potere di toccare Dio.
16 Cf., in P , Enneadi V,8,3-4, la descrizione degli dèi, implicitamente rivolta contro il destino
LOTINO
“patologico” degli eoni gnostici (si pensi alla stigmatizzata dialettica tra plerosis e kenosis), intelligenze che godono
imperturbabilmente del fulgore del Nous: «Ed essi non sono a volte saggi e a volte stolti, ma sono eternamente saggi
nel loro Nous impassibile, immobile e puro e sanno tutte le cose e conoscono, non le cose umane, ma le divine che
appartengono a loro, cioè tutto ciò che il Nous vede… Alla contemplazione di lassù non appartiene né stanchezza
(kavmatoò) né sazietà (plhvrwsiò), così che il contemplante senta il bisogno di una tregua, poiché non c’è in essa un
vuoto (kevnwsiò), colmato il quale ci si senta soddisfatti». 3
metodo si acquisisce non un singolo aspetto o una molteplicità di debiti, ma qualcosa di molto più intimo
e strutturale. Semplificando, potremmo dire che lo gnosticismo eredita dal platonismo 1) la filosofia come
pensiero dialettico dell’essere (pure dipendente dal metaontologico Uno-Bene); 2) la dialettica come
legge di mediazione che – con una forzatura terminologica – possiamo definire “allegorica” tra i piani
dell’essere, ove allegoria non è qui intesa come mero procedimento esegetico-retorico, ma come
17
intellettuale processo anagogico dipendente da una vera e propria ontologia allegorica . Questo metodo
dell’allegorizzazione ontologizzante interpreta ogni piano dell’essere come segno, traccia, immagine che
18
trova in un altro piano trascendente la sua origine, il suo fine, la sua verità da contemplare , sino a
culminare nell’unica, metaontologica scaturigine dell’essere. Ma se questo metodo è lo strutturale debito
platonico contratto dallo gnosticismo, comunque la sua applicazione risulta del tutto originale e
filosoficamente irrazionale. Gli gnostici, infatti, applicano quest’ontologia allegorico-anagogica alle
vicende storiche rivelate (la vita di Cristo e della comunità primitiva): la storia diviene, così, segno
dell’essere, in un’ibridazione radicale del modello filosofico, di importanza capitale per la storia della
razionalità occidentale (un’analisi complessa meriterebbe l’archetipica rivoluzione giovannea – il Messia
storico diviene rivelazione del Logos eterno –, o l’evoluzione del Vangelo di Tommaso, o la genesi
dell’Epistola agli Ebrei). Eventi storici, e non più eterne, costanti nature o flussi ontologici, vengono
infatti interpretati come segni di piani dell’essere trascendenti, sicché, nelle dottrine gnostiche
culturalmente più aggiornate (in particolare in quelle sethiane o barbelo gnostiche e in quelle
valentiniane), sistematica risulta l’ontologizzazione degli eventi salvifici, non più forzati ad essere
simbolo materiale delle immutabili realtà eterne (come in Filone), ma capaci di ristrutturare e persino
destrutturare l’assoluto: la storia della vita, del messaggio, della passione, morte e resurrezione di Gesù
diviene la rappresentazione narrativo-figurale, allegorica di eterni processi divini, che descrivono l’eterno
movimento dell’Essere (il pleroma e ciò che, imperfettamente, deriva da esso), generato dal Padre.
Si pensi all’intimo nucleo della rivelazione e teologia cristiana, così come storicamente si
assestano, almeno a partire dal III secolo: la dottrina della Trinità. Non ci sarebbe dottrina della Trinità
ortodossa, quella che verrà poi fissata da Nicea a Costantinopoli, se non ci fossero già stati tentativi
gnostici (a partire dalla prima metà del II secolo!) di interpretare speculativamente, filosoficamente, il
rapporto tra il Padre, il suo Spirito – la Madre gnostica – e il Figlio, cioè di pensare il divino come un
ontologico ed eterno ambito relazionale di persone. Se il kerygma nasce come annuncio giudaico “eretico
(nel senso di settario)” della storica venuta del Figlio (l’uomo Gesù, storicamente generato Messia dallo
Spirito del Padre), assai presto viene ripensato progressivamente come annuncio dell’eterna
predestinazione del Figlio inviato, della sua nascita sovraumana, infine della sua stessa natura divina
preesistente e creatrice del mondo. Gesù Cristo, il rivelatore della salvezza, il Messia carismatico che
muore sulla croce, diviene, a partire dal Vangelo di Giovanni – che è davvero la sorgente prima della
speculazione gnostica e niente affatto una sua spuria efflorescenza, come pensano Bultmann e la grande
maggioranza degli storici della religione, eredi della göttinghese religionsgeschichtiliche Schule –, il
Figlio eterno che è Dio presso il Dio, che rivela pertanto un processo dialettico intradivino, che assai
rapidamente alcuni intellettuali (gli gnostici per primi, quindi i grandi intellettuali cattolici alessandrini,
Clemente e Origene) vorranno interpretare attraverso le complesse categorie dialettiche platoniche: l’Uno
e il Molteplice, la Monade e la Diade, i dialettici generi sommi del Sofista, la triade essere, vita, pensiero,
che approdano infine, proprio tramite la mediazione gnostica, all’interno della storia dell’ontologia
cristiana. Infatti, in ambito cattolico, Clemente e Origene ripensano la teologia trinitaria in termini di
17 Cf., ad esempio, i trattati sulla dialettica, sulla bellezza e i due sulla provvidenza di P , Enneadi I,3;
LOTINO
I,6; III,2 e III,3.
18 deV pavnta shmeivwn)
«Tutto è pieno di segni (mestaV ed è sapiente chi da una cosa ne conosce un’altra»
(P , Enneadi II,3,7). «I fenomeni terrestri concorrono con quelli celesti e questi con quelli alla costituzione e
LOTINO
all’eternità del mondo; e per analogia gli uni, per chi osserva, sono segni degli altri […] Tutte le cose devono
assomigliarsi in qualche modo tra loro. E forse questo significa il detto: “L’analogia contiene tutte le cose”» (III,3,6).
«Se noi, prima di discutere sul serio, dicessimo, così per scherzo, che tutti gli esseri, non solo i ragionevoli, ma anche
gli animali irragionevoli e la natura che è nelle piante e la terra che li produce aspirano alla contemplazione e tendono
a questo fine e che tutti lo raggiungono, entro la possibilità della propria natura, chi in un modo, chi in un altro; e che
kaiV eijkovna):
alcuni lo raggiungono veramente, altri invece raggiungono un’immagine o un’imitazione (mivmhsin
chi accetterebbe questo nostro paradosso? […] Tutto dunque deriva dalla contemplazione ed è contemplazione […]
In generale, tutte le cose che producono, in quanto sono immagini <delle realtà prime>, producono forme ed oggetti
di contemplazione; le sostanze generate, immagini (mimhvseiò) delle realtà vere, rivelano come la causa produttrice
non prenda come fine né la produzione, né l’azione, ma la contemplazione dell’opera compiuta. Il pensiero vuole
vedere quest’opera e, prima di lui, la sensazione, il cui fine è la conoscenza, e, prima ancora, la natura la quale in sé
produce un oggetto di contemplazione e una ragione (lovgon), ed effettua un’altra ragione» (III,8,1 e 7). Cf., infine, la
fondamentale descrizione della traiettoria onto-anagogica in V,8,6-13.
4 19
ousia e di hupostasis proprio in confronto e insieme in polemica con i loro predecessori gnostici . Non si
può fare a meno di ricordare, in proposito, colui che considero il più grande studioso della teologia
gnostica, Antonio Orbe, un gesuita che ha donato dei veri monumenti di sapienza e di intelligenza
20
critica , nei quali è sistematica la riflessione sulle dottrine gnostiche come tentativo pionieristico,
sperimentale e storicamente decisivo – proprio per la sua influenza non soltanto “negativa” sulla prima
teologia cattolica – di riflessione speculativa sulla Trinità.
Ma torniamo al trasferimento allegorico degli eventi rivelativo-salvifici all’interno dell’assoluto,
ontologicamente e dialetticamente pensato. Esso procede in due direzioni: 1) Rivelandosi come Figlio
amato generato dal suo Spirito, Dio si rivela come eternamente diveniente in se stesso come altro da sé; 2)
alterandosi in se stesso, Dio accoglie la passione dell’uomo in se stesso. Partendo da questo secondo
punto, pensiamo al il nucleo fondamentale della paradossale dottrina gnostica, la nozione del peccato
intradivino. Se lo gnosticismo rappresenta qualcosa di rivoluzionario all’interno della storia delle religioni
e del pensiero occidentale è perché pensa, con radicalità e sistematicità, il paradosso di un peccato non
espulso e confinato all’interno dell’imperfetta creazione umana, ma assunto all’interno di Dio stesso,
come paradossale scaturigine di un (contingente, storico, seppure onto-mitologizzato, quindi
metastoricizzato) processo di pieno dispiegamento e di autoriconoscimento dell’Assoluto. Come scrive
Plotino, l’errore blasfemo degli gnostici è quello di
«ammettere dei mali anche nel mondo intellegibile. Essi ammettono che gli esseri superiori non sono
21
puri» . «Essi rendono simile la natura intellegibile a quella sensibile e inferiore […] Essi hanno preso da
loro [dagli antichi filosofi] molte cose, vi hanno fatto delle aggiunte poco convenienti con lo scopo di
kaiV fqoravò)
contraddire, ammettendo <nell’intellegibile> generazioni e corruzioni (genevseiò d’ogni
sorta, biasimando quest’universo, considerando una colpa l’unione dell’anima con il corpo, criticando Colui
che governa il nostro mondo, identificando il Demiurgo con l’anima ed attribuendogli le stesse passioni
aujtaV pavqh)
(taV che attribuiscono alle anime particolari […] «[L’Anima del mondo non è] incatenata
dalle cose legate ad essa, bensì le domina (ajvrcei). Essa è impassibile (ajpaqhvò) nei loro confronti, mentre
kuvrioi) 22
noi non siamo padroni (ouj delle nostre cose» .
Plotino condanna indignato questa contaminazione tra intellegibile e sensibile, impassibile e
passionale, eternità e corruzione, signoria divina e umana infimità, indeclinabile ipostasi della
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“demiurgica” Anima del mondo e deteriori passioni delle anime discese, puro e impuro, natura e colpa,
essere e peccato. In tal senso, se il dualismo gnostico presenta una certa affinità con l’ontologico
dualismo platonico tra corporeo e incorporeo, archetipo ed immagine, anzi un debito di configurazione
sistematica nei suoi confronti, d’altra parte la novità straordinaria del dualismo gnostico è appunto quella
24
di pensare una frattura patetica all’interno della stessa pienezza divina e non un semplice affievolirsi
della sua diffusiva potenza di irradiazione, emanazione di un essere sempre meno originario, quindi
sempre più depotenziato, sino al limite ontologico della materia (l’informe, che pure la potenza della
divina forma plasma e riconverte nell’essere). Possiamo pertanto sintetizzare il centro speculativo della
dottrina gnostica con la dottrina della passione di Dio: Deus patiens. Se Dio è il Padre di un Figlio (e per
essere tale, come già Platone e tradizioni sapienziali ellenistiche avevano affermato, vi dev’essere anche
25
una Madre ), se Dio è il Dio eterno che diviene mettendo alla luce una filialità che è comunque
19 nou=ò
Cf. G. L , Il mistico. Il superamento origeniano dello gnosticismo nel “Commento a
ETTIERI
Giovanni”, in E. Prinzivalli (ed.), Il Commento a Giovanni di Origene: il testo e i suoi contesti, Villa Verucchio
2005, 177-275.
20 Mi limito a citare di A. O , Estudios Valentinianos I-V, Roma 1958-1966; e Cristología gnóstica.
RBE
Introducción a la soteriología de los siglos II y III, I-II, Madrid 1976.
21 P , Enneadi II,9,13-14.
LOTINO
22 P , Enneadi II,9,6-7. Sull’imperturbabile, eterno derivare del cosmo dalle ipostasi divine, opposto
LOTINO
alla nozione gnostica del cattivo demiurgo e più in generale alla contraddittoria nozione di creazione, cf. III,2,1.
23 Sulla definizione dello stesso Nous come Demiurgo, in quanto è il Nous che “fornisce” il complesso delle
forme ordinatrici all’Anima del mondo, cf. P , Enneadi V,9,3.
LOTINO
24 Cf. in tal senso il definitivo contributo di A.H. Armstrong, Dualism: Platonic, Gnostic, and Christian, in
in R.T. Wallis e J. Bregman (edd.), Neoplatonism and Gnosticism, Albany 1992, 33-54.
25 Mi limito a rinviare a P , Timeo 50b-51b, ove Padre, Madre e Figlio sono i tre principi del cosmo
LATONE
sensibile: il Padre rappresenta il principio formale generatore (le idee intellegibili), la Madre il principio materiale
amorfo, il Figlio «la natura che è di mezzo», quindi il cosmo stesso come ordine ideale della materia. Il ruolo del
principio femminile nel platonismo non è comunque limitabile a livello cosmologico: si pensi alla diade come ideale
principio femminile dell’alterità, della generazione di una materia intellegibile scaturita dalla monade e ad essa da
tovlma
riconvertire; Plotino stesso riconosce l’azione della all’interno del suo sistema filosofico, riferendosi
5
un’alterità divina, non può non vivere una passione, di desiderio e d’amore prima (quelli che il Padre
prova per il Figlio che genera), persino di mancanza (propria di quella componente filiale che si riconosce
come altra dal Padre, posta, derivata, quindi bisognosa della fonte del suo essere) e di insufficienza. Dio
patisce, pecca, cade da Dio, perché il dramma dell’alterità umana – chiamata all’essere per amare il
Padre, ma proprio perché altra, manchevole, instabile, potenzialmente infedele – è assunto nell’Assoluto
a partire dalla confessione cristologica dell’elezione, sino alla divinizzazione, dell’uomo Gesù in Dio.
Cristo diviene così l’uomo-Dio che salva morendo, rivelando l’inseparabilità tra vita assoluta del Dio
d’amore e peccato/caduta/morte dell’uomo assunto. Questo dinamismo teodrammatico viene riassunto
miticamente nella dottrina del peccato intradivino, che sia sethiani che valentiniani personificano in
Sophia, l’ultimo, femminile, instabile, produttivo, eppure decaduto e redento eone del pleroma della
filialità. La passione generata da Dio in se stesso con la generazione del Figlio-Uomo (che è, in effetti, la
stessa “messa alla luce” della umanità filialmente amata da Dio, tant’è che Sophia non è che la
divinizzazione intrapleromatica di Eva, come il Figlio redentore è la divinizzazione intrapleromatica di
Adamo) comporta pertanto l’espulsione di una “parte” di Dio da Dio stesso e la conseguente costituzione
plhvrwma
di una realtà inferiore, il mondo materiale (la prigione dell’Uomo alienato), il cosmo non del
kevnwma,
ma del del luogo del vuoto, dello svestimento, della spoliazione, di cui il Demiurgo, figlio
abortivo di Sophia, simul creativo e ignorante, è la personificazione. Nel mondo creato dal Demiurgo,
Sophia e il suo seme eletto, spirituale, sono costretti a patire, espulsi al di fuori del pleroma della filialità,
26
sicché quella può essere definita dal Vangelo di Filippo la piccola Sophia, ovvero la Sophia morta.
Questa kenotica, espulsa natura del Deus patiens è in realtà il segreto dell’intero pleroma divino e persino
dell’Abisso, del Padre assoluto che la filialità ha voluto generare e amare, sino ad umanizzarsi in Sophia e
nel suo seme (consustanziali al Padre, appunto). La passione di Cristo diviene così (si pensi, ad esempio,
alla Grande notizia valentiniana) la rivelazione dell’intimo dinamismo di Dio, del Padre che si fa Figlio
27
amato (il pleroma) e Figlio perduto e morto (la Sophia kenotica ); così come la resurrezione del Gesù
storico può essere interpretata come redenzione, riunificazione nel pleroma della divina-umana Sophia,
prima espulsa al di fuori del pleroma, morta e decomposta in una natura pneumatica disseminata.
Insomma, si comprende lo gnosticismo soltanto riportandolo alla sua cellula germinativa
cristiana, quella della rivelazione primitiva del Dio Padre che rivela un Figlio salvifico, generato Messia
dallo Spirito, che muore come uomo sulla croce. La passione storica di Gesù viene dagli gnostici
teologizzata, assolutizzata, tramite una peculiare applicazione che potremmo definire contaminante
dell’allegoria ontologica, sicché davvero mi pare opportuna la definizione dello gnosticismo come
pensiero pato-logico e thanato-logico:
«Riconoscimi dunque come la cattura del Logos, la ferita del Logos, il sangue del Logos, il trauma del
Logos, l’impiccagione del Logos, il dolore (pavqoò) del Logos, l’inchiodatura del Logos, la morte
28
(qavnaton) del Logos» .
Un grande studioso francese della prima metà del secolo scorso, Sagnard, ha definito questa
29
peculiare lettura allegorica, storico-ontologica gnostica desunta da Ireneo, come esemplarismo inverso :
appunto, gli gnostici leggono il dato evangelico come evento rivelativo, exemplum storico di un archetipo
ontologico eterno, che in realtà ne è l’effetto genetico. Ne deriva un’ontoteologia in figure storiche,
all’audacia tutta femminile dell’alterità che procede dall’Uno, avviando la generazione del derivato: cf. Enneadi
V,1,1-5 – in riferimento all’individualizzarsi delle anime –; VI,9,5 – in riferimento al procedere del Nous dall’Uno –;
e N. B , La pensée de Plotin, Paris 1970, 47-98; W. B , Identität und Differenz, Frankfurt am Main
ALADI EIERWALTES
1980, tr. it. Identità e differenza, Milano 1989, 53-66. Sulla tolma gnostica (di significato strutturale certo diverso
rispetto a quello plotiniano), cf. il riferimento polemico in P , Enneadi II,9,11 e la valentiniana Grande notizia
LOTINO
in Ireneo, AdvHaer I,2,2. Lo gnosticismo, ricollegandosi a questa tradizione platonica e neopitagorica, articolerà
questa triade o trinità a livello teologico, ove l’elemento femminile (identificato con lo Spirito) rappresenterà
l’elemento informe, materiale, processuale, produttivo, quindi generativo e instabile, persino peccaminoso (per la sua
tovlma, appunto) della stessa natura pneumatica.
26 Cf. Vangelo di Filippo=NHL, II,3,60,10-15.
27 Cf., nella notizia relativa al sistema barbelo-gnostico (analogo all’Apocrifo di Giovanni) riportataci da
Ireneo, AdvHaer I,29-30, la fondamentale affermazione che il Terzo Uomo, Cristo (il Figlio redentore) è generato
insieme a sua sorella Seconda Donna, la Sophia Prunicos decaduta e redente (cf. I,30,2-3): evidentemente, essi
rivelano figuralmente i due aspetti (quello redentivo e quello kenotico) del Figlio.
28 Atti di Giovanni 101.
29 Cf. F.H.M. S , La gnose valentinienne et le témoignage de St. Irénée, Paris 1947, 239-265, in part.
AGNARD
244-249; il fondamentale funzionamento ontopoietico gnostico era comunque già stato polemicamente identificato da
I , Adversus Haereses I,7,2.
RENEO 6
DESCRIZIONE DISPENSA
Questa dispensa si riferisce alle lezioni di Storia del cristianesimo e delle chiese , tenute dal Prof. Gaetano Lettieri nell'anno accademico 2010 e tratta il tema della patologia del pensiero, così come è espresso nella Vita di Plotino di Porfirio e negli scritti degli gnostici.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Atreyu di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del cristianesimo e delle chiese e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università La Sapienza - Uniroma1 o del prof Lettieri Gaetano.
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