Diritto Civile - Perlingieri – Parte terza – Riassunto esame
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Se l’interesse del creditore viene meno prima dell’adempimento, si realizza una vicenda estintiva
dell’obbligazione per conseguimento dello scopo e ciò determina la liberazione del debitore, in
quanto, l’esecuzione della prestazione non è più d’alcun interesse per il creditore (es: la pioggia
che soddisfa l’interesse del creditore all’irrigazione, anziché ricorrere a quell’artificiale).
Quest’interesse per essere vincolante deve essere meritevole di tutela (art. 1322, 1411 e 1379
c.c.).
Per quanto riguarda la patrimonialità della prestazione, non tutte le prestazioni che nascono
dalla cooperazione tra creditore e debitore sono patrimoniali; infatti, esistono molte prestazioni,
ad esempio chi ascolta un concerto o chi sottopone all’intervento chirurgico, che non sono
patrimoniali ma, artistiche o mediche, che arricchiscono la cultura musicale o migliorano
l’aspetto estetico.
Il creditore può richiedere l’adempimento della prestazione da parte di un soggetto determinato,
rifiutando l’adempimento da parte dei soggetti diversi dal debitore; questa richiesta è legittima,
quando l’adempimento del terzo possa essere pregiudizievole (art. 1180¹c.c.).
L’attuazione del rapporto obbligatorio, oltre all’interesse del creditore, può realizzare anche
interessi giuridicamente rilevanti del debitore, ossia di adempiere la prestazione per svincolarsi
da essa. In questa logica si collocano il potere del debitore di rifiutare la remissione del debito
che gli venga proposta dal creditore (art. 1236 c.c.) e il potere di manifestare la propria
opposizione all’adempimento del terzo, che ne legittima il rifiuto da parte del creditore (art.
1180² c.c.).
47. Segue. Natura patrimoniale della prestazione. La prestazione, per essere oggetto del
rapporto obbligatorio, deve avere sempre e necessariamente natura patrimoniale, in quanto, se
il debitore non adempie, deve corrispondere un’entità pecuniaria. A volte però l’inadempimento
della prestazione da parte del debitore non può essere risarcita con un’entità pecuniaria perché, è
difficile dimostrare da parte del creditore, l’esistenza di danni patrimoniali. Affinché ci sia
un’autonomia contrattuale è necessaria la patrimonialità del bene, ossia che il bene sia
suscettibile di valutazione economica. Il problema sorge quando le prestazioni riguardano beni
non economicamente valutabili come le prestazione di puro fare (prestazioni indicative o di
non fare). Esse possono essere patrimoniali: quando hanno un corrispettivo economico derivante
dal loro esercizio e, quando il loro inadempimento è valutabile da un risarcimento economico. Il
valore economico dei beni deve essere valutato oggettivamente e va determinato nell’ambito di
un contesto giuridico-sociale altrimenti si cade nell’errore di valutarli erroneamente.
48. Classificazioni e statuti. I rapporti obbligatori sono classificati in base alla tipologia delle
prestazioni, che ne costituiscono l’oggetto. Essi s’individuano in obbligazioni di fare, di dare e di
non fare.
Le obbligazioni di dare sono: le prestazioni di consegna di una cosa certa e determinata (art.
1476¹ c.c.) oppure generica (art. 1178 e 1277 c.c.) e le prestazioni nel far acquistare ad altri il
diritto di proprietà (art. 1476² e 1478 c.c.).
Nelle obbligazioni di fare troviamo comportamenti attivi del debitore, ossia le prestazioni che
producono beni materiali (es: edifici, ecc…) e immateriali (es: una lezione, un concerto, ecc…).
Le obbligazioni di non fare sono quelle prestazioni che si attuano con l’astensione.
Non è possibile, in ogni modo, classificare in modo rigido le prestazioni perché, nella maggior
parte dei casi, esse interagiscono tra loro.
Non esiste, quindi, uno statuto delle obbligazioni, ma una pluralità di statuti giustificati dalle
tipologie delle funzioni in concreto perseguite.
49. I vincoli “non giuridici”: in particolare le obbligazioni naturali. La distinzione tra
ordinamento giuridico e gli altri sistemi di regole è che: il primo è caratterizzato dalla
coercitività, ossia dall’esistenza di un insieme di sanzioni che ne assicura l’osservanza.
Per qualificare se una situazione è coercibile o no, esistono tre criteri di qualificazione: 59
1) criterio soggettivo; consiste nel verificare se le parti abbiano assoggettato il rapporto alle
regole del diritto, o se, al contrario, abbiano voluto mantenere il suddetto rapporto su un
piano di amicizia o di mero rilievo sociale. Un indice di giuridicità è offerto dalla previsione
di una clausola penale o di un corrispettivo. Un esempio è il pittore che promette un quadro
all’amico: se la promessa è stipulata in un contratto assoggettato alle regole del diritto, il
pittore chiederà un compenso monetario all’amico, oppure l’amico, in mancanza del quadro,
può avvalersi degli strumenti messi a disposizione dal sistema per sanzionare
l’inadempimento. Se il contratto tra il pittore e l’amico è basato invece sull’amicizia, il
pittore non riceverà nessun compenso oppure in mancanza del quadro, l’amico potrà solo
rimproverare il pittore.
2) criterio oggettivo; è il caso dell’ordinamento che valuta le finalità e gli interessi che si
perseguono: se sono futili, la loro rilevanza giuridica è rimessa alla scelta delle parti; se,
invece, il sistema attribuisce importanza alle finalità e agli interessi che alcune prestazioni
sono in grado di realizzare, la valutazione soggettiva delle parti diviene irrilevante ai fini
della qualificazione. La giuridicità, in queste ipotesi, è fuori discussione e prescinde del tutto
dall’onerosità o dalla gratuità del rapporto.
3) obbligazioni naturali; sono quei rapporti dove è esclusa la coercibilità, perché fondati su
doveri morali e sociali, che hanno giuridica rilevanza non solo nel momento della loro
attuazione ma in funzione del loro adempimento. L’adempimento dell’obbligazione naturale
va distinto dagli atti di liberalità; entrambi sono atti liberi, però, gli atti di liberalità sono sia
socialmente sia giuridicamente liberi, mentre l’adempimento delle obbligazioni naturali è
atto giuridicamente libero, ma moralmente e socialmente dovuto. Le obbligazioni naturali
sono caratterizzate dall’irripetibilità, che ha due condizioni fondamentali:
a) l’adempimento deve avvenire spontaneamente senza costrizione;
b) la prestazione deve essere eseguita da persona capace, perché la prestazione non è atto
dovuto, ma atto negoziale.mil requisito di capacità va identificato non nella capacità
legale di agire, ma nella capacità naturale del solvens.
Ogni obbligazione naturale è assoggettata alla medesima disciplina (art. 2034 c.c.:
irripetibilità di quanto prestato spontaneamente da un soggetto capace).
Un problema riguarda la forma scritta dell’adempimento dell’obbligazione naturale, quando
si ha il trasferimento della proprietà immobiliare (art. 1350 c.c.; pagamento traslativo).
Secondo alcuni l’onere della forma dovrebbe essere rispettato, secondo altri basta, affinché si
produca l’effetto traslativo, una sentenza di accertamento per la trascrizione (art.2645, 2657
c.c.) e per l’opponibilità ai terzi.
b. Le vicende delle obbligazioni
50. La costituzione: le fonti. Fonte di obbligazione è il fatto o l’atto giuridico che secondo
l’ordinamento è idoneo a far sorgere il vincolo. Fatti e atti non sono da intendere come semplici
accadimenti naturali o umani ma, invece, è decisiva la valutazione normativa offerta
dall’ordinamento.
Il codice vigente (art. 1173 c.c.), comunque, non è così rigido, cioè definisce fonte anche un fatto
che non sia idoneo alla nascita dell’obbligazione.
Normalmente fonte e titolo del vincolo coincidono. Tra le fonti troviamo i contratti, ossia tutti
gli atti negoziali compresi gli atti unilaterali atipici, e l’illecito, fonte non volontaria consistente
in ogni fatto che provoca un danno ingiusto ad altri con il conseguente pagamento di un
risarcimento.
51. Pagamento dell’indebito. Il pagamento dell’indebito non è altro che l’esecuzione di una
prestazione non dovuta che produce un’obbligazione di restituire. La ripetibilità dell’indebito
non ha finalità sanzionatorie, ma tende al riequilibrio dei patrimoni.
L’indebito oggettivo si ha quando chi non è debitore adempie nei confronti di chi non è
creditore. Esempio classico è quando un contratto sia stato adempiuto da entrambi le parti e in
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seguito dichiarato nullo, o annullato, o risolto, o dichiarato inefficace. L’indebito oggettivo,
quindi, ha come condizione il venir meno del titolo dell’obbligazione (per nullità,
annullamento, inefficacia, rescissione, ecc…).
Chi ha pagato il debito ha il diritto alla ripetizione, ossia a riottenere ciò che si è indebitamente
dato; l’indebito oggettivo provoca, oltre al diritto alla ripetizione, anche l’obbligazione di
restituire ciò che si è indebitamente ricevuto. Colui che ha adempiuto (solvens) può richiedere la
ripetizione (riottenere); se chi ha ricevuto era in mala fede, al solvens spettano anche i frutti
maturati dal giorno dall’adempimento.
L’indebito soggettivo ex latere accipientis (art. 2033 c.c. in coordinazione con l’art. 1189 c.c.)
si ha quando chi è debitore adempie ad un soggetto che o non è creditore, oppure non è
legittimato a ricevere; colui che ha ricevuto la prestazione (accipiens) non ha titolo per trattenere
quanto percepito ed, in questo caso, il solvens può richiedere la ripetizione.
L’indebito soggettivo ex latere solventis si ha quando chi non è debitore adempie nei confronti
di chi è creditore di un terzo. Esso avviene quando per errore si paga un debito altrui credendolo
proprio. La ripetizione, in questo caso, è disposta dall’art. 2036 c.c. Se il solvens ha adempiuto
credendosi per errore scusabile debitore, può richiedere la ripetizione; se il solvens ha adempiuto
credendosi per errore non scusabile debitore, non può richiedere la ripetizione, ma subentra nei
diritti del creditore (accipiens) verso il vero debitore (surrogazione legale).
La ripetizione consiste nella restituzione della cosa data indebitamente: denaro, beni prestazione
ecc…. Essa è un’azione a carattere personale ed è esperibile dal solvens (o da soggetto altrimenti
legittimato per legge: art. 1189² c.c.) soltanto nei confronti di colui il quale ha ricevuto la
prestazione non dovuta (accipiens). Il carattere personale non è escluso dalla possibilità di
esperire l’azione nei confronti dei successori mortis causa.
Nel caso che il bene da ripetere è una somma di denaro o un bene materiale, la ripetizione
provoca una prestazione di dare, ossia nella riconsegna del bene; nel caso in cui il bene è
deteriorato o è alienato, l’accipiens deve restituire l’equivalente in denaro (art. 2037 e 2038c.c.).
Nel caso in cui il bene è una prestazione di fare (es: il lavoro), il solvens può richiedere la
reintegrazione riconducibile ad una somma di denaro. La ripetibilità non è ammessa per le
prestazioni finalizzate ad uno scopo contrario al buon costume (art. 2035 c.c.).
Il solvens, che abbia efficacemente esercitato l’azione di ripetizione, è tenuto a rimborsare il
possessore delle spese e dei miglioramenti (art. 1149 ss. e 2040 c.c.).
L’art. 2039 c.c. dispone che: nel caso in cui l’accipiens fosse incapace al momento della
consegna della prestazione, indifferentemente in buona o mala fede, egli (l’accipiens) è tenuto
solo nei limiti dei vantaggi provocati dall’utilizzo del bene ricevuto.
L’azione di ripetizione si prescrive nell’ordinario termine decennale, che decorre, nell’ipotesi
d’inesistenza o di nullità del vincolo, dall’esecuzione dalla prestazione; in altre ipotesi, decorre
dall’accertamento della mancanza del vincolo stesso.
52. Segue. Ingiustificato arricchimento. L’art. 2041¹ c.c. dispone che chiunque, senza giusta
causa,si è arricchito a danno di altri è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, ad indennizzare
quest’ultimo della correlativa diminuzione patrimoniale. Quella di ingiustificato arricchimento è
un’azione generale ed un rimedio sussidiario e residuale, in quanto non è possibile esercitare
altra azione per ottenere l’indennizzo del pregiudizio subito (art. 2042 c.c.).
L’ingiustificato arricchimento consiste in uno spostamento patrimoniale senza alcuna
giustificazione per cui uno subisca il danno e l’altro si arricchisca. Colui che si è arricchito deve
indennizzare colui che ha avuto una diminuzione patrimoniale.
I presupposti sono:
a) fatto lecito naturale o umano;
b) ci deve essere un arricchimento con conseguente diminuzione del patrimonio;
c) mancanza di causa, l’assenza, cioè, di un idoneo titolo giuridico, legale o convenzionale,
che giustifichi l’arricchimento e la correlativa diminuzione patrimoniale.
L’ingiustificato arricchimento è fonte di obbligazione indennitaria, che tende a reintegrare la
diminuzione patrimoniale; l’indennizzo è calcolato nei limiti dell’arricchimento e secondo i
valori di mercato. 61
Un esempio di ingiustificato arricchimento è l’avulsione, ossia staccamento di terreno da un
fondo a monte verso un fondo a valle; il proprietario del fondo a valle si è arricchito per uno
staccamento naturale e quindi non giustificato. Al proprietario del fondo a monte spetta un
indennizzo dal proprietario dell’altro fondo.
Qualora l’arricchimento abbia ad oggetto una cosa determinata, colui che l’ha ricevuta è tenuta a
restituirla in natura se sussiste al tempo della domanda (art. 2041² c.c.).
L’azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione
per farsi indennizzare del pregiudizio subito (art. 2042 c.c.).
53. Attuazione del rapporto: l’adempimento. L’adempimento è l’esatta esecuzione della
prestazione dovuta, indirizzato alla piena soddisfazione di tutti gli interessi sottesi al vincolo.
Esso è eseguito esattamente quando rispetta le modalità i tempi e i luoghi.
Nell’esecuzione dell’obbligo debitorio è necessario non solo l’adempimento del debitore, ma
anche una cooperazione del creditore.
A differenza dell’adempimento, il pagamento è l’adempimento di obbligazioni pecuniarie.
Nell’adempimento coesistono la realizzazione del diritto del creditore e l’attuazione dell’obbligo
del debitore; fondamentalmente, però, è oggetto di un obbligo del debitore.
L’adempimento non si configura con la piena soddisfazione di tutti gli interessi, ma con la mera
realizzazione dei soli interessi del creditore (art. 1174, 1175 e 1176 c.c.).
Al debitore è lasciato un certo margine di discrezionalità. Altro punto importante riguardante
l’adempimento è la diligenza, ossia un criterio di responsabilità ed un’esatta e corretta modalità
di esecuzione di un comportamento (diligenza del buon padre di famiglia). La diligenza e la
buona fede sono strettamente collegate.
L’adempimento è fattispecie estintiva del rapporto: esso produce la realizzazione del diritto di
credito e la liberazione dall’obbligo di prestazione. All’adempimento sono tenuti il debitore e i
suoi eredi a titolo universale.
L’adempimento è atto dovuto e non negoziale; in esso si qualificano la causa solvendi, ossia
l’esistenza di un valido vincolo obbligatorio e l’animus solvendi, ossia l’intenzione di
adempiere un debito proprio. Ai fini della causa solvendi, l’animus solvendi è irrilevante, perché
l’intenzione del solvens non è determinante per l’adempimento del debito.
Irrilevante è l’incapacità del solvens (art. 1191 c.c.); l’incapacità (sia di agire, sia naturale) non
compromette la validità dell’adempimento e non dà diritto alla ripetizione (art. 2033 ss c.c.).
54. Segue. Adempimento del terzo e soggetti legittimati a ricevere la prestazione. Mentre
obbligato è il solo debitore, qualsiasi terzo può adempiere anche contro la volontà del creditore;
tuttavia il creditore può opporsi all’adempimento di terzi in due casi:
1) se manifesta un interesse apprezzabile all’esecuzione personale del debitore (prestazione
intuitu personae);
2) se il debitore gli ha manifestato la sua opposizione (art. 1180 c.c.). La sola volontà del
debitore, manifestata mediante l’opposizione, non è sufficiente; essa non vincola il
creditore, il quale ha la facoltà (può) e non l’obbligo di rifiutare l’adempimento del terzo.
Tale rifiuto può essere arbitrario senza il rischio d’incorrere in mora credendi (art. 1206
ss.). Il rifiuto ingiustificato invece, impedisce al creditore di pretendere successivamente
la prestazione dal proprio debitore.
L’intervento del terzo è atto libero e non dovuto; infatti il terzo, anche non conoscendo il
creditore e il debitore, dimostra intenzione (animus solvendi) ad adempiere il debito. Se manca
l’animus, o il debito è inesistente, il terzo può chiedere la ripetizione dell’indebito (art. 2033-
2036 c.c.).
Il terzo può anche agire nei confronti del debitore solo se il creditore, con atto surrogatorio,
surroghi il credito nei suoi diritti verso il debitore (art. 1201 c.c.): questo avviene quando il terzo
ha adempiuto al creditore; se non avviene la surrogazione il terzo può chiedere l’ingiustificato
arricchimento (art. 2041 c.c.). 62
L’art 1188 dispone che il creditore può anche legittimare un terzo ad espletare i suoi diritti
(rappresentante, indicatario); l’adempimento fatto nei confronti di un soggetto non legittimato,
libera il debitore solo se il creditore effettivo l’abbia ratificato o che l’oggetto della prestazione si
sia riversato nel patrimonio dell’effettivo creditore.
L’adempimento a creditore incapace è inefficace perché, l’unico legittimato a ricevere, è il tutore
o il curatore (rappresentante legale).
Ci sono dei casi in cui un soggetto per circostanze univoche appare legittimato a ricevere: è il
caso del creditore apparente; il debitore è liberato dall’obbligazione se prova la sua buona fede,
ossia d’ignorare il difetto di legittimazione. Il reale creditore può richiedere la ripetizione
dell’indebito nei confronti di chi ha ricevuto la prestazione.
55. Esattezza nell’adempimento. L’esattezza è lo sforzo richiesto al debitore al fine di
soddisfare l’interesse creditorio (art. 1175 e 1176 c.c.). Uno dei caratteri importanti dell’esattezza
è la buona fede: ad essa sono assorbiti gli obblighi di custodia e di protezione.
L’obbligo di custodia riguarda le obbligazioni di consegna di una cosa certa e determinata;
consiste nell’obbligo del debitore di custodire la cosa fino al momento della consegna al
creditore (art. 1177 c.c.). La custodia è assorbita nella consegna e soltanto l’impossibilità
sopravvenuta dell’oggetto (perimento) non imputabile al debitore produce l’effetto liberatorio.
L’obbligo di protezione consiste nel fatto che il debitore è obbligato, nell’esecuzione della
prestazione, alla salvaguardia dei beni e della vita del creditore; difatti, si considera inadempiente
il debitore che, pur avendo adempiuto la prestazione, ha leso altri interessi del creditore, estranei
e diversi dall’interesse di prestazione in senso stretto.
L’obbligazione generica è quando l’obbligazione ha ad oggetto cose determinate solo nel
genere e il debitore deve prestare cose qualità non inferiori alla media (art. 1178 c.c.).
Il debitore è tenuto all’esecuzione integrale della prestazione; il creditore, quindi, può rifiutare
un adempimento parziale anche quando la prestazione è divisibile (salvo disposizioni normative
o usi). Il consenso è arbitrario da parte del creditore; egli può anche acconsentire e libera così il
debitore dall’obbligo di prestazione per la parte adempiuta. Il creditore non può rifiutare
l’adempimento parziale, quando la prestazione è divenuta parzialmente impossibile per causa
non imputabile al debitore (art. 1258 e 1464 c.c.).
Il debitore può adempiere con cose altrui (art. 1192 c.c.), purché il creditore ne abbia avuto
conoscenza. Nel caso in cui il debitore chiede la restituzione della cosa altrui, per offrire una
nuova prestazione con cose di cui dispone, il creditore può pretendere, oltre alla nuova
prestazione, anche il risarcimento del danno.
Il creditore ha l’onere di rifiutare l’adempimento inesatto (art. 1218 c.c.) denunciando
l’inesattezza entro un termine di decadenza; se il debitore abbia occultato i vizi in mala fede non
è previsto alcun termine di decadenza.
56. Prestazione in luogo dell’adempimento. La prestazione in luogo dell’adempimento, detta
anche datio in solutum o dazione in pagamento, è una prestazione diversa da quella dovuta,
anche se di valore eguale o maggiore (art. 1197¹ c.c.); condizioni necessarie sono l’accordo e
l’assenso del creditore e del debitore. Senza l’assenso del creditore, la prestazione non produce
né l’effetto liberatorio né l’effetto estintivo; senza l’assenso del debitore, la prestazione non
sarebbe ripetibile (art. 2033 ss c.c.) perché senza causa.
La datio in solutum è diversa dalla novazione, perché quest’ultima sostituisce l’obbligazione
originaria con una nuova con oggetto o titolo diverso (art. 1230 c.c.).
Quando la prestazione diversa consiste nel trasferimento di proprietà o altro diritto, il contratto
solutorio è consensuale; vigono le discipline sulla vendita, ma in caso di vizi ed evizione
(quando, dopo la vendita, un terzo rivendica con successo la proprietà della cosa e il compratore
ne perde la proprietà), il creditore può esigere la prestazione originaria oltre al risarcimento del
e
danno (art. 1197² ³ c.c.).
La dazione in adempimento è un contratto oneroso con funzione solutoria direttamente estintivo
dell’obbligazione originaria. Tuttavia anche un terzo può concludere con il creditore una dazione
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in adempimento, ma il rapporto non si estingue né il debitore si libera; il debito esiste, perché il
terzo si surroga nei diritti del creditore (art. 1201 c.c.).
Il debitore, in luogo dell’adempimento, può anche cedere un suo credito (art. 1198c.c.):
l’obbligazione si estingue con l’effettiva riscossione (cessio pro solvendo); tuttavia si estingue
con mero consenso (cessio pro soluto).
Pertanto, la datio in solutum non è un contratto necessariamente reale. Valido ed efficace è anche
un accordo che semplicemente autorizzi il debitore a compiere una diversa prestazione in luogo
di quell’originaria. L’effetto prodotto dalla datio è la modificazione della disciplina del rapporto
obbligatorio: la costituzione di una facoltà alternativa in favore del debitore. In ciò mantiene i
tratti distintivi dalla novazione.
57. Luogo (art. 1182 c.c.) e tempo (art. 1183-1186 c.c.) dell’adempimento. La prestazione deve
essere eseguita nel luogo convenuto dalle parti. Tale luogo è definito secondo gli usi negoziali-
individuali, che sono un valido criterio di determinazione del luogo della prestazione.
In secondo piano, si può ricorrere agli usi normativi (differenti da quelli negoziali-individuali),
alla natura della prestazione (es: operazione nella sala chirurgica) o ad altre circostanze.
Convenzione, usi normativi, natura della prestazione o altre circostanze sono criteri di
determinazione ordinati secondo un grado gerarchico. Se tuttavia il ricorso ad essi non consente
di determinare il luogo dell’adempimento, soccorre una serie di disposizioni suppletive:
a) la consegna di una cosa certa e determinata deve essere eseguita nel luogo dove la cosa si
trovava al tempo nel qual è sorta l’obbligazione;
b) le obbligazioni pecuniarie devono essere adempiute al domicilio che il creditore ha al
tempo della scadenza; se tale domicilio è diverso da quello che il creditore aveva quando
è sorta l’obbligazione e ciò rende più gravoso l’adempimento, il debitore, previa
dichiarazione al debitore, ha diritto di eseguire il pagamento al proprio domicilio;
c) negli altri casi l’obbligazione deve essere adempiuta al domicilio che il debitore ha al
tempo della scadenza.
Il tempo dell’adempimento è esenziale alla configurazione dell’obbligo giuridico di prestazione:
un vincolo senza scadenza cronologica è negazione della stessa doverosità della condotta.
Il termine di adempimento configura la scadenza cronologica dell’obbligazione, rinviata ad un
momento successivo alla nascita del vincolo. Sotto questo profilo, un termine per l’adempimento
è sempre essenziale. I criteri indicati per la determinazione del tempo sono gli stessi di quelli
indicati per la determinazione del luogo dell’adempimento.
Il decorso del termine indica il momento a partire dal quale (termine iniziale) o entro il quale
(termine finale) il debitore deve o può adempiere. Tale è il termine di adempimento, il quale si
atteggia a semplice modalità esecutiva di un vincolo obbligatorio, già validamente sorto.
Il termine di efficacia, invece, attiene al negozio giuridico e indica il momento nel quale (o fino
al quale) si produce l’effetto giuridico.
Se non è fissato alcun termine, il creditore può esigere immediatamente la prestazione. La
determinazione del tempo dell’esecuzione è nella libera disponibilità delle parti.
Importanti sono le nozioni di esigibilità ed eseguibilità.
Se il termine è stabilito a favore del debitore, il creditore non può esigere la prestazione prima
della scadenza, ma il debitore può eseguirla immediatamente; e se il creditore ne rifiuta la
ricezione senza giusto motivo incorre in mora credendi. Se il termine è stabilito a favore del
debitore, il debitore non può eseguire prima della scadenza, ma il creditore può rinunciare al
benefico ed eseguire quanto gli spetta. Quando il termine è stabilito a favore di entrambi, si ha
inesigibilità da parte del creditore ed ineseguibilità da parte del debitore.
Credito inesigibile e debito ineseguibile sono pur sempre situazioni giuridiche esistenti ed attuali.
Il credito inesigibile è pur sempre un credito esistente, in quanto il creditore è legittimato a
trattenere quanto eventualmente ricevuto dal debitore prima della scadenza. Il debitore, che ha
adempiuto anticipatamente, non può ripetere quanto prestato, anche se ignorava l’esistenza del
termine.
Quando il temine manca o è rimesso alla volontà del debitore o del creditore, il termine è fissato
dal giudice. 64
Pur in presenza di termine a favore del debitore, il creditore può esigere immediatamente la
prestazione, qualora il debitore sia divenuto insolvente o abbia diminuito per fatto proprio le
garanzie che aveva dato o non abbia offerto le garanzie che aveva promesso (decadenza dal
beneficio del termine).
Un termine di adempimento è sempre necessario: esso è definito come requisito causale del
vincolo o come presupposto per l’inadempimento: come requisito causale, in quanto la mancanza
del termine di adempimento produce nullità; come presupposto per l’inadempimento, il ritardo di
esecuzione della prestazione equivale ad inadempimento e comporta risoluzione dei contratti a
prestazioni corrispettive (art. 1457 c.c.).
58. Imputazione dell’adempimento e diritto alla quietanza. Una facoltà molto importante del
debitore consiste nell’imputazione dell’adempimento, cioè, quando il debitore ha più debiti della
medesima specie verso uno stesso creditore, egli può scegliere, senza opposizione del creditore,
quale debito adempiere per primo (art. 1193 c.c.). L’unico limite è che il debitore, solo con il
consenso del creditore, può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi e alle
spese (art. 1194 c.c.).
Qualora il debitore non esercita la facoltà di imputazione, il creditore può esercitarla all’atto del
rilascio della quietanza, purché sia accettata dal debitore (art. 1195 c.c.). L’imputazione per
iniziativa del creditore si produce soltanto se la dichiarazione sia contenuta in una quietanza
accettata dal debitore, e non vi sia stato dolo o sorpresa da parte del creditore. Il debitore,
comunque, può sempre rifiutare la quietanza e richiederne altra con una diversa imputazione.
La quietanza è la dichiarazione con la quale il creditore attesta l’avvenuto pagamento. Per il
rilascio della quietanza non è necessaria la richiesta del debitore, perché ne vanta un vero e
proprio diritto. Egli può richiederla anche prima del pagamento, subordinando quest’ultimo al
rilascio; l’eventuale rifiuto del creditore, senza giusto motivo, fa scattare la mora credendi, che
comporta una più efficace tutela dell’interesse del debitore.
La richiesta di quietanza è, quindi, un esercizio di un diritto del debitore; è oggetto di un obbligo
strumentale alla soddisfazione di un interesse di protezione del debitore.
59. Mora del creditore e liberazione coattiva del debitore. La mora è il ritardo qualificato, e si
verifica quando per fatto del creditore o del debitore c’è un impedimento temporaneo
all’attuazione del rapporto.
La mora presuppone che l’esecuzione della prestazione sia ancora possibile: l’impossibilità
sopravvenuta della prestazione esclude la mora nonché le specifiche conseguenze che
l’ordinamento vi riconnette. La mora va distinta per il debitore e per il creditore.
Il creditore è in mora quando, senza motivo legittimo rifiuta la prestazione offertagli in forma
solenne o non compie l’attività necessaria affinché il debitore possa adempiere (art. 1206 c.c.).
Per la costituzione in mora è necessario che il debitore faccia offerta formale o solenne della
prestazione mediante un pubblico ufficiale a ciò autorizzato; tale offerta formale o solenne deve
avere questi requisiti:
deve essere congruente con l’offerta dovuta;
deve rispettare il tempo, il luogo e la legittimazione attiva e passiva.
Il relativo giudizio è svolto dall’autorità giudiziaria.
Il creditore può rifiutare legittimamente l’offerta se manca uno dei requisiti di validità; non si
costituisce la mora credendi quando la prestazione è divenuta impossibile e il debitore non può
fare una valida offerta della prestazione.
Motivo legittimo è sinonimo di non colpevolezza. Il motivo legittimo che esclude la mora è la
giustificazione apprezzabile secondo un giudizio di buona fede. Il creditore che rifiuti l’offerta in
presenza di un’inesattezza tollerabile compie un atto emulativo non conforme ai principi di
buona fede e correttezza (art. 1175 c.c.). È invece legittimo il rifiuto dell’offerta effettuata con
modalità di tempo o di luogo tali da rendere particolarmente gravosa, se non addirittura
impossibile, la ricezione della prestazione o quando sussista il rischio che il pagamento possa poi
essere revocato. 65
Se la prestazione ha per oggetto denaro, titoli di credito, o cose mobili da consegnare al
domicilio del creditore, l’offerta deve essere reale, cioè nella consegna materiale della res debita
al pubblico ufficiale che dovrà esibirla al creditore. Quando la prestazione ha per oggetto
immobili o cose mobili da consegnare in luogo diverso dal domicilio del creditore, l’offerta
consiste nell’intimazione a ricevere, mediante atto notificato. Anche per le prestazioni di fare è
richiesta l’offerta per intimazione.
L’art. 1207 c.c. dispone degli effetti della mora del creditore: quando il creditore è in mora, a suo
è carico l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, impossibilità sopravvenuta che si è
verificata per cause non imputabili al debitore. Al creditore non sono più dovuti gli interessi e i
frutti della cosa non percepiti dal debitore. Il creditore è pure tenuto a risarcire i danni derivati
dalla sua mora e a sostenere le spese per la custodia e la conservazione della cosa dovuta.
Gli effetti della mora si verificano nel giorno dell’offerta, se questa è successivamente dichiarata
valida con sentenza passata in giudicato o se accettata dal creditore.
Al continuo rifiuto della prestazione da parte del creditore, il debitore può liberarsi dal debito
con il deposito della somma dovuta in un banca o con la consegna dei beni mobili nel luogo
indicato dal giudice (liberazione coattiva del debitore). Gli effetti dell’offerta e del deposito
sono esecutivi nel momento in cui sarà passata in giudicato la sentenza che avrà accertato che il
rifiuto del creditore era effettivamente ingiustificato; non si produrranno, ovviamente, se il
giudice avrà accertato che il rifiuto del creditore era stato legittimo, perché la prestazione offerta
dal debitore non era un adempimento esatto.
60. Modi di estinzione diversi dall’adempimento. L’adempimento non è l’unico modo di
estinzione dell’obbligazione, ma n’esistono degli altri.
Queste fattispecie estintive si differenziano in satisfattorie e non satisfattorie; una differenza sta
nel fatto che le fattispecie estintive non satisfattorie sono assoggettabili all’azione revocatoria
ordinaria (art. 2901 c.c.), mentre quelle satisfattorie non sono revocabili, perché entrambe le parti
ricevono un beneficio consistente nella liberazione dal proprio debito reciproco.
Satisfattorie sono: la confusione, la novazione e la compensazione
Non satisfattorie sono: la remissione del debito, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione.
61. Segue. Compensazione. La compensazione (art. 1241-1252 c.c.) è fattispecie estintiva che
richiede come presupposto necessario, ma non sufficiente, l’esistenza di crediti e debiti reciproci,
facenti capo a due autonomi o separati centri di interessi, giuridicamente rilevanti.
Due presupposti necessari della compensazione sono la dualità e la reciprocità; la dualità, intesa
come dualità dei patrimoni e non dei soggetti; la reciprocità, intesa come esistenza di due
situazioni o di credito o di debito.
Affinché possano operare la compensazione legale e quella giudiziale, requisito importante è che
le obbligazioni da estinguere, e quindi da compensare, non devono avere una relazione
sinallagmatici, ossia che non abbiano l’una la propria regione giustificativa nell’altra e viceversa.
Non è invece necessario che le fonti costitutive dei rapporti obbligatori da estinguere siano
omogenee (cioè che le obbligazioni reciproche scaturiscano entrambe da contratto, o da fatto
illecito, o dalla legge), né si richiede l’identità dei titoli giustificativi.
La funzione della compensazione non è solo di realizzare l’economia degli atti, evitando che si
eseguano due adempimenti, quando mediante la compensazione si raggiunge lo stesso risultato
pratico; essa ha anche una funzione di autotutela, neutralizzando gli effetti negativi che
deriverebbero dall’eventuale adempimento della controparte.
Il codice disciplina tre tipi di compensazione: legale, giudiziale e volontaria.
La compensazione legale si verifica soltanto se le obbligazioni reciproche abbiano i requisiti
della liquidità e dell’esigibilità, e se i beni oggetto delle corrispondenti prestazioni siano
caratterizzati dall’omogeneità e dalla fungibilità. Un credito è liquido, quando è esistente e
determinato esattamente nel suo ammontare; è esigibile quando il creditore può pretendere che il
debitore esegua la prestazione dovuta. Il credito esigibile è di regola anche azionabile (sia in via
preventiva con misure conservative, sia in via repressiva, con la condanna del debitore
inadempiente); tuttavia l’azionabilità non presuppone necessariamente l’esigibilità. 66
L’omogeneità indica l’appartenenza dei beni allo stesso genus (genere); la fungibilità esprime
un’equivalenza qualitativa fra due o più beni, oggetto di prestazioni reciproche.
Affinché la compensazione possa essere richiesta, non è necessario che i crediti reciproci si
equivalgono quantitativamente: là dove tal eguaglianza non vi siano, i debiti o i crediti si
estinguono per le quantità corrispondenti.
La compensazione legale opera automaticamente, ossia i due debiti o crediti si estinguono dal
giorno della loro coesistenza; essa non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, in quanto, è
necessario che la parte interessata manifesti la volontà di avvalersene (eccezione di
compensazione). Esiste una teoria minoritaria, la quale afferma che la coesistenza non ha un
ruolo essenziale, il quale è ricoperto dall’eccezione.
La compensazione giudiziale, decisa dal giudice, si attua quando vi è la mancanza di liquidità in
uno dei due crediti reciproci; questa mancanza è, però, accompagnata dall’accertamento della sua
pronta e facile liquidazione decisa dal giudice.
La pronuncia non assume un ruolo meramente dichiarativo come nella compensazione legale e
volontaria; in quella giudiziale, essa è elemento essenziale e finale del procedimento e produce
l’effetto estintivo. La compensazione giudiziale è fattispecie autonoma, perché può operare o
sulla base di un regolamento compensativo legale, o su uno volontario.
La compensazione volontaria, stabilita per accordo delle parti, opera alla compensazione dei
debiti o crediti reciproci quando mancano i presupposti per una compensazione legale o
giudiziale. L’autonomia privata può anche prevedere un regolamento compensativo preventivo,
nel quale sia previsto che l’effetto estintivo si produca automaticamente, cioè senza la necessità
dell’eccezione, al verificarsi delle condizioni previste.
La compensazione volontaria, a differenza di quella giudiziale, non richiede il requisito
dell’esigibilità.
62. Segue. Confusione. L’obbligazione si può estinguere anche per confusione, quando nella
stessa persona confluiscono la situazione debitoria e creditoria (art. 1253 c.c.).
Presupposto fondamentale ai fini dell’estinzione dell’obbligazione per confusione, è la mancanza
non della dualità di soggetti, ma di quella dei patrimoni o dei centri d’interesse.
La confusione non ha sempre un effetto estintivo; è il caso del mantenimento della fideiussione
anche quando vi sia stata la riunione in una stessa persona della qualità di fideiussore e di
debitore principale (art. 1255 c.c.). La confusione opera anche rispetto all’obbligazione naturale,
qualora si riconosca possibile la successione nel credito o nel debito naturale.
63. Segue. Novazione (art. 1230 c.c.). La novazione è estinzione della vecchia obbligazione per
volontà delle parti mediante la nascita di una nuova: essa può essere oggettiva, quando si
modifica l’oggetto o il titolo e produce effetto estintivo della vecchia obbligazione; soggettiva,
quando produce una vicenda modificativa della situazione debitoria. Tuttavia la novazione
soggettiva è da intendersi non come una mera estinzione del rapporto, ma come modificazione
della disciplina.
La novazione oggettiva è l’estinzione di un rapporto obbligatorio, per costituirne uno nuovo
diverso per oggetto o per titolo.
Affinché si realizzi tale funzione è necessario il concorso di due elementi: uno soggettivo e uno
oggettivo.
L’elemento soggettivo è l’animus novandi, ossia la volontà delle parti di estinguere il rapporto
precedente. Il legislatore richiede la presenza di questa volontà; essa, però, non è da intendersi
come causa efficiente dell’effetto estintivo, ma come consapevolezza che l’effetto estintivo-
costitutivo produce anche effetti negativi come, per esempio, il venir meno delle garanzie
presenti nella vecchia obbligazione e non estese alla nuova.
Il profilo oggettivo determina come oggetto, ai fini della novazione, la prestazione, il bene o
l’interesse dedotti in obbligazione. Una mera modificazione quantitativa della prestazione o
dell’oggetto o una modificazione delle modalità accessorie, non producono novazione. Soltanto
una modificazione della prestazione o del suo oggetto comporta novazione. 67
La novazione oggettiva, a differenza della prestazione in luogo dell’adempimento (datio in
solutum), non solo crea un nuovo rapporto obbligatorio, ma libera il debitore da quello
precedente. Nella datio in solutum, all’inadempimento della prestazione sostitutiva, sopravvive
sempre l’obbligo di eseguire quella originariamente pattuita, perché l’obbligo di eseguire
l’originaria prestazione viene meno soltanto con l’adempimento della nuova, e cioè con
l’estinzione dell’obbligazione; nella novazione, invece, l’inadempimento della nuova
obbligazione non determina mai la reviviscenza di quell’originaria.
Anche il cambiamento del titolo comporta novazione oggettiva. Tuttavia, ai fini della novazione
ciò che deve cambiare è il titolo e non la fonte; esempio è un’obbligazione pecuniaria modificata
in risarcimento del danno (titolo) e come fonte il fatto illecito.
La nuova obbligazione, sorta in seguito alla novazione, ha la sua ragione giustificativa
nell’estinzione in quell’originaria; per ciò la novazione è inefficace (rectius nulla) qualora
l’obbligazione originaria si riveli inesistente. Per concetto d’inesistenza, il legislatore intendeva
la nullità o annullabilità. Ovviamente nel caso dell’annullabilità, la sentenza costitutiva
dell’annullamento deve essere intervenuta prima della conclusione del negozio novativo, in
quanto, la novazione è, comunque, valida qualora il debitore abbia assunto la nuova
obbligazione, conoscendo il vizio del titolo originario.
La novazione non può essere considerata invalida, qualora il titolo originario sia sottoposto ad
azione revocatoria che determina soltanto un’inefficacia relativa o un’inopponibilità
dell’obbligazione originaria; non determina l’annullamento dell’atto pregiudizievole.
64. Segue. Remissione del debito e rinunzia al credito. La remissione del debito è la
dichiarazione di estinzione dell’obbligazione da parte del creditore (art. 1236 c.c.); essa non va,
però, confusa con la rinunzia al credito. Vi sono, difatti, delle distinzioni: la remissione estingue
direttamente l’intero rapporto obbligatorio, la rinunzia è una dismissione della situazione che può
collegarsi anche con l’estinzione; poi, la rinunzia incide direttamente soltanto sulla sfera del
rinunziante ed ha natura di negozio unilaterale che non è assolutamente subordinato, nel suo
perfezionamento e nella sua efficacia, ad una manifestazione di volontà, favorevole o contraria,
del debitore; la remissione, invece, incide sull’intero rapporto, perché può richiedere anche una
partecipazione del debitore che può attenere o al momento perfezionativo della fattispecie (se si
accolga la tesi della natura contrattuale della remissione) o a quello dell’efficacia (se si acceda
alla ricostruzione della remissione quale negozio unilaterale recettizio).
La ratio dell’istituto della remissione ha una duplice finalità: consentire al creditore di disporre
liberamente del suo diritto e tutelare l’interesse, patrimoniale o morale, del debitore a non subire
una liberazione non desiderata.
Per quanto riguarda la struttura, vi sono due dottrine contrastanti: una qualifica la remissione
come atto negoziale contrattuale, l’altra come atto unilaterale recettizio rifiutabile. Il problema è
definire se fondamentale o non la partecipazione del debitore al perfezionamento del fatto
estintivo. La dottrina prevalente è quella che qualifica la remissione come atto unilaterale
recettizio, in quanto, è fondato sulla natura favorevole dei suoi effetti (incrementi del patrimonio
del debitore) tanto da rendere superflua la partecipazione del debitore ala formazione della
fattispecie estintiva. La remissione si realizza mediante la dichiarazione di volontà del solo
creditore e produce l’effetto estintivo nel momento della comunicazione al debitore.
Quest’ultimo ha, tuttavia, il potere di porre nel nulla tale effetto mediante un distinto negozio
che, operando come condizione risolutiva della remissione, ripristina l’originale rapporto.
Per quanto riguarda la natura, si fonda sull’esigenza di rispettare l’assetto degli interessi sotteso
ai singoli concreti rapporti. In quest’ottica, la remissione assume concezione di rapporto
obbligatorio, visto più come cooperazione che come contrapposizione.
La remissione è necessariamente negozio a titolo gratuito, che si può realizzare anche mediante
comportamenti concludenti; un’ipotesi di remissione per comportamento concludente è la
restituzione volontaria del titolo originario del credito.
L’estinzione dell’obbligazione per remissione implica il venir meno delle garanzie personali e
reali, mentre la rinunzia alle garanzie non fa presumere la remissione del debito. 68
65. Segue. Impossibilità sopravvenuta. L’impossibilità sopravvenuta della prestazione può
essere imputabile o meno al debitore: se è imputabile al debitore, egli ne risponde
personalmente; se non è imputabile, determina l’estinzione del rapporto e la liberazione del
debitore (art. 1256 c.c.). Affinché l’impossibilità sopravvenuta sia estintiva deve essere
oggettiva, cioè non legata alla situazione del debitore, ed assoluta, cioè tale da non consentire
l’esatto adempimento a nessuno.
Nelle prestazioni che hanno ad oggetto la consegna di cose generiche e nelle prestazioni
pecuniarie non si può verificare una liberazione per impossibilità sopravvenuta perché, essendo
le cose appartenenti ad un genus e il denaro sempre reperibile, la prestazione è sempre possibile.
L’estinzione del rapporto obbligatorio, quindi, si verifica solo quando sopraggiunge
un’impossibilità totale o definitiva.
Se l’impossibilità è parziale o temporanea, si applica una diversa disciplina.
Per quanto riguarda l’impossibilità parziale, il creditore può rifiutare l’adempimento parziale,
ma nel caso di un’impossibilità parziale sopravvenuta e di un bene divisibile, il debitore si libera,
anche contro la volontà del creditore, eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta
possibile (art. 1258 c.c.).
L’impossibilità temporanea non estingue il rapporto obbligatorio, perché il debitore è tenuto a
adempiere non appena viene meno l’impossibilità. Il debitore non subisce le conseguenze
negative della mora debendi, in quanto il ritardo non gli è imputabile; se l’impossibilità
temporanea sopravvenuta si protrae entro un termine molto elevato, l’obbligazione si estingue in
quanto il creditore non ha più interessi.
66. Segue. Subingresso legale del creditore. Se la prestazione che ha per oggetto una cosa
determinata è divenuta impossibile, del tutto o in parte, il creditore subentra nei diritti spettanti al
debitore, in dipendenza del fatto che sia stato il debitore a causare l’impossibilità; il debitore non
ha più le garanzie dell’obbligazione estinta e pertanto egli ha l’obbligo di prestare anche ciò che
si è conseguito a titolo di risarcimento (art. 1259 c.c.).
Per cosa determinata, la dottrina più moderna non limita la norma alle sole obbligazioni di dare,
ma la estende anche alle obbligazioni di fare o di non fare e a quelle aventi ad oggetto il
godimento di un bene. Il subingresso del creditore nei diritti del debitore non è da considerarsi
come il classico schema surrogatorio.
67. Modificazioni soggettive dal lato creditorio: cessione del credito (art. 1260 – 1267 c.c.). Le
modificazioni soggettive interessano il mutamento della titolarità delle situazioni dei rapporti
obbligatori. Il credito può essere, quindi, ceduto a titolo oneroso o gratuito. Il creditore originario
(cedente) trasferisce ad un altro soggetto (cessionario) il diritto di pretendere la prestazione del
debitore (ceduto). Qualora il credito sia assistito da privilegi, garanzie personali o reali o da altri
accessori, il cessionario subentra anche in questi; il credito, tuttavia, può essere ceduto con
l’esclusione della garanzia. Il debitore non può opporsi (incedibilità legale), ma la legge prevede
che alcuni crediti non possono essere ceduti; essi sono quelli legati al titolo o all’oggetto, i crediti
che vantano creditori con particolare qualità, o crediti con natura speciale (es: crediti alimentari,
stipendi del pubblico impiego). La modificazione o non della titolarità del credito può essere
anche decisa da un accordo delle parti (patto di incedibilità convenzionale).
Nel conflitto tra l’interesse del debitore a non mutare il creditore, emerso nel patto di incedibilità,
e quello del cessionario che ha acquistato il credito, facendo affidamento sul principio generale
della libera trasferibilità e reputando il credito non vincolato, la legge tende a tutelare il
cessionario. Nel caso in cui è avvenuto il trasferimento del credito e il debitore intende
efficacemente tutelarsi rispetto ad un successivo trasferimento, il debitore deve rendere
conoscibile il patto di incedibilità ai terzi, annotandolo, per esempio, sui documenti probatori del
credito che devono necessariamente consegnati al cessionario.
Il trasferimento trova la sua giustificazione nella negoziazione dei diritti e nella funzione da
svolgere.
Un credito può essere ceduto per estinguere una prestazione che il cedente ha verso il
cessionario; infatti, se il cessionario è creditore verso il cedente, quest’ultimo cede il suo credito
69
che vanta nei confronti del ceduto (debitore) (cessione il luogo dell’adempimento). L’obbligo
del cedente nei confronti del cessionario non si estingue con l’attribuzione della titolarità, ma con
l’adempimento del debitore nei confronti del cessionario.
Il credito può essere ceduto anche a scopo di garanzia appunto per garantire l’adempimento di
un’obbligazione del cedente verso il cessionario; quando il cedente adempie, il cessionario deve
restituire il credito datogli in garanzia (cessione a scopo di garanzia).
La cessione può avere due strutture: una struttura trilaterale, che richiede il consenso del
debitore ad autorizzare o ad accettare la cessione; un’altra è la struttura unilaterale, dove basta
la volontà o del cedente o del cessionario.
Una volta stabilita la funzione del negozio traslativo, si è vincolati alla disciplina del contratto e
alla prescrizione sulla forma del negozio a cui si fa riferimento.
Il debitore, di regola, non può opporsi alla cessione; tuttavia ha sicuramente un interesse
giuridicamente rilevante a conoscere la persona destinataria del suo adempimento. Infatti,
l’esecuzione della prestazione è liberatoria solo se è ricevuta dall’effettivo creditore. Il debitore
ha l’obbligo di adempiere nei confronti del cessionario solo se è a conoscenza del mutamento
della titolarità. Quest’informazione è fornita con la notifica dal cedente o dal cessionario con
qualsiasi forma: atto giudiziale, invio postale, ecc…; il cessionario ha l’onere di fornire una
prova sufficiente sull’intervenuto atto di trasferimento. Con l’accettazione, il debitore dichiara
implicitamente al cessionario di conoscere l’esistenza della cessione.
Il debitore ha il diritto di promuovere un’azione di accertamento, con la quale egli verifica la
certezza della titolarità del credito; con quest’azione, il debitore si tutela dal rischio di adempiere
a un falso creditore e quindi di adempiere nuovamente, affrontando, poi, la difficile fase del
recupero nei confronti del non legittimato, che indebitamente ha ricevuto l’adempimento.
La cessione del credito è efficace nei confronti del debitore ceduto, solo dal momento in cui è
stata notificata a questo, o è stata da questo accettata. Fino a quando il debitore non ha ricevuto la
notifica, egli si libera adempiendo nei confronti del cedente, salvo che il cessionario non provi
che il debitore era comunque a conoscenza della cessione anche non avendo ricevuto la notifica.
Se, invece, dopo aver ricevuto la notifica, il debitore adempie nei confronti del cedente, egli non
si libera dall’obbligo perché può essere costretto dal cessionario a adempiere una seconda volta.
Un problema complicato sorge quando il debitore ha la certezza della cessione, ma, dopo
l’adempimento, tale cessione risulta invalida. Il debitore ha l’onere di verificare la validità ed
efficacia della cessione e quindi, nel caso sia stato poco diligente, egli deve di nuovo adempiere.
Nel caso in cui il debitore ha adempiuto in buona fede ad un soggetto che, sulla base di
circostanze univoche, gli è apparso come creditore, viene applicata la disciplina
dell’adempimento al creditore apparente e il debitore è liberato.
Al debitore, tuttavia, è riconosciuta una tutela della situazione preesistente, ossia il cessionario
non può peggiorare la situazione debitoria.
La cessione trasmette il credito a titolo derivativo; il cessionario, quindi, non può acquistare
diritti maggiori di quelli spettanti al cedente.
[(Il debitore, affinché avvenga la compensazione con il cedente, può opporsi alla cessione solo
per i crediti esistenti prima della notifica; in caso contrario, non può opporre l’eccezione al
cessionario.)]
Nei conflitti tra più cessionari, ne esce vincitore colui che ha compiuto l’atto anteriormente, ossia
abbia utilizzato prima gli strumenti di pubblicità (notifica o accettazione); ad esempio, tra il
cessionario che acquista il 1 maggio e notifica il 6 e il cessionario che compra il 2 e notifica il 3,
prevarrà il secondo. Il cedente che ha effettuato il duplice trasferimento è tenuto al risarcimento
dei danni; vi è tenuto anche il secondo cessionario se, quando ha acquistato il credito, era a
conoscenza della precedente cessione e in mala fede ha notificato tempestivamente.
Se il credito è ceduto a titolo oneroso, il cedente deve garantire l’esistenza del credito al tempo
della cessione e la mancanza assoluta di vizi che possono compromettere il credito; se il credito è
ceduto a titolo gratuito, si applica la normativa stabilita per la garanzia per l’evizione del donante
e il cedente deve garantire se esistono particolari oneri per il cessionario. 70
In virtù della garanzia, il cessionario deve ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti: rimborso
delle spese sostenute, restituzione della prestazione eseguita al cedente, e i danni derivanti dalla
perdita e dal mancato guadagno.
Di norma, il cedente non garantisce la solvibilità del debitore ceduto, perché il rischio
dell’inadempimento del debitore è ad esclusivo carico del cessionario. Tuttavia, il cessionario
può ottenere che il cedente assuma la garanzia della solvenza (clausola salvo buon fine).
La garanzia non scatta al momento dell’inadempimento, ma quando il cessionario non riesce ad
escutere il patrimonio del debitore in modo equivalente al credito vantato. Il cedente deve
corrispondere al cessionario non quanto sarebbe stato adempiuto dal debitore ceduto, ma quanto
ha ricevuto come corrispettivo, oltre agli interessi, alle spese e ai danni. Ogni clausola diretta alla
responsabilità del cedente. Il cedente non risponde se la mancata soddisfazione del cessionario
dipende da una sua negligenza nell’iniziare o nel proseguire le istanze contro il debitore ceduto.
Quando non c’è la garanzia di solvenza, si parla di cessione del credito pro-soluta; quando,
invece, vi è la garanzia di solvenza, si parla di cessione del credito pro-solvendo.
68. Segue. Surrogazione per pagamento. La surrogazione per pagamento non è altro che una
cessione dei diritti di credito; essa può essere per volontà del creditore, per volontà del debitore,
per legge.
È per volontà del creditore (art. 1201 c.c.), quando il creditore è adempiuto da un terzo e
surroga il terzo, ossia lo sostituisce, nei suoi diritti di credito verso il debitore; questo tipo di
surrogazione deve essere fatto in modo espresso e contemporaneamente all’adempimento.
È per volontà del debitore (art. 1202 c.c.), quando il debitore, ad esempio, presa a mutuo una
somma di denaro o un bene fungibile per adempiere il creditore, surroga il mutuante nei diritti
del creditore soddisfatto.
È per legge (art. 1203 c.c.), quando il terzo che adempie subentra nei diritti del creditore
indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo o del debitore. Questo tipo di surrogazione è
utilizzato per far sopravvivere il rapporto obbligatorio anche successivamente ad un fatto
estintivo dello stesso.
La surrogazione per pagamento si concreta in una successione (a titolo particolare) nel credito:
colui che si surroga può utilizzare le azioni spettanti al creditore cui si sostituisce e può godere
anche delle eventuali garanzie delle quali è dotato il credito nel quale subentra, secondo i principi
dell’acquisto derivativo.
69. Modificazioni soggettive dal lato debitorio: delegazione. Le modificazioni del soggetto
passivo del rapporto prevedono sempre la partecipazione contrattuale del creditore (delegazione
ed espromissione); per quanto riguarda l’accollo, invece, non è prevista la partecipazione del
creditore.
La delegazione di debito si ha quando il debitore è nello stesso momento creditore verso un
altro debitore; il debitore (delegante) delega il terzo soggetto (delegato) a adempiere al creditore
originario (delegatario).
Tra il delegante e il delegato vi è un rapporto di provvista, tra il delegatario e il delegante vi è
un rapporto di valuta.
La delegazione può essere titolata o pura. È titolata, quando il delegato, obbligandosi verso il
delegatario menziona il rapporto di provvista che lo lega al delegante (es: su invito del delegante,
il delegato si obbliga a pagare al delegatario la somma che il delegato deve al delegante), oppure
menziona il rapporto di valuta fra delegante e delegatario (es: su invito del delegante, il delegato
si obbliga a pagare al delegatario la somma che il delegante deve al delegatario), oppure
menziona entrambi i rapporti.
È pura quando, invece, nessuno dei due rapporti, o di valuta o di provvista, è menzionato.
Se la delegazione è titolata, il delegato può rifiutarsi di pagare opponendo al delegatario le
eccezioni basate o sul rapporto di provvista o su quello di valuta (es: dichiarazione di nullità del
rapporto). Se la delegazione è pura, le eccezioni basate sulla mancanza del rapporto di provvista
o di valuta non possono essere opposte dal delegato, il quale deve comunque pagare, salvo il
71
caso che manchino entrambi i rapporti. Nel caso in cui il delegante non è debitore del delegatario
né è creditore del delegato, la delegazione risulta priva di ogni funzione.
La delegazione di pagamento, a differenza della delegazione del debito, non costituisce una
nuova obbligazione fra il delegato e il delegatario, ma il delegato è semplicemente invitato a
pagare il debito del delegante estinguendo il rapporto. Il delegato, comunque, può anche non
accettare.
La delegazione di debito è, di norma, cumulativa, in quanto il delegato, assumendo il debito del
delegante, diventa condebitore solidale del delegatario.
La delegazione liberatoria (o privativa) si ha quando il creditore, prima o all’atto della
conclusione del contratto delegatorio, decide di liberare il debitore originario e quindi il delegato
diventa il nuovo debitore. Con la liberazione del debitore originario si possono realizzare due
casi:
a) la sostituzione del nuovo debitore nel rapporto obbligatorio originario (effetto privativo)
con la possibilità per il delegato di utilizzare le eccezioni che il delegante avrebbe potuto
esercitare verso il delegatario;
oppure
b) la costituzione di un nuovo rapporto che prende il posto del precedente che si estingue
(effetto novativo), cosicché le eccezioni, che il delegante avrebbe potuto esercitare verso
il delegatario, non possono essere utilizzate dal nuovo debitore e inizia a decorrere un
nuovo termine di prescrizione.
70. Segue. Espromissione. L’espromissione si ha ogni qual volta un terzo (espromittente),
estraneo al rapporto obbligatorio, assuma spontaneamente verso il creditore (espromissario)
l’obbligazione del debitore (espromesso) (art. 1272 c.c.); è prevista la partecipazione
contrattuale del creditore.
La causale dell’operazione è la spontaneità, ossia l’irrilevanza esterna della giustificazione
causale dell’intervento dell’espromittente.
Quindi, a differenza della delega, non c’è il rapporto di provvista tra delegante (espromesso) e il
delegato (espromittente), ma vi è quello di valuta tra l’espromesso e l’espromissario.
L’espromissione può essere cumulativa, in quanto l’espromittente, assumendo il debito
dell’espromesso, diventa condebitore solidale dell’espromissario; o liberatoria, in quanto
l’espromissario decide di liberare il debitore originario (espromesso) e quindi l’espromittente
diventa il nuovo debitore.
L’espromittente può sempre rifiutarsi di pagare opponendo la mancanza del rapporto di valuta tra
espromesso e l’espromissario.
71. Segue. Accollo. L’accollo (art. 1273 c.c.) si produce qualora un terzo (accollante) pattuisca
con il debitore originario (accollato), l’assunzione del debito che questi ha nei confronti del
creditore (accollatario).
L’accollo, a differenza dell’espromissione e della delegazione, non richiede il consenso del
creditore, il quale non partecipa alla convenzione di accollo. L’eventuale adesione del creditore,
accollo esterno, ha la funzione di rendere irrevocabile la dichiarazione di accollo. Se il creditore
non aderisce all’accollo o non ne ha conoscenza, l’accollo produce effetti soltanto tra le parti
(accollo interno), facendo sorgere in capo all’accollante l’obbligo verso l’accollato di tenerlo
indenne dal peso economico del debito, fornendogli, ad esempio, i mezzi per eseguire il
pagamento.
Anche l’accollo può essere cumulativo, in quanto l’accollante, assumendo il debito
dell’accollato, diventa condebitore solidale dell’accollatario; o liberatorio, quando la liberazione
è condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente di liberare il
debitore originario (accollato).
La legge prevede che il debitore originario (accollato) non è liberato nel caso di inadempimento
dell’accollante; la dichiarazione di nullità o l’annullamento del negozio di accollo reintegra il
rapporto obbligatorio tra il debitore originario (accollato) e il creditore (accollatario), senza le
garanzie dell’accollante. 72
Quando il creditore libera il debitore originario, il rischio d’insolvenza dell’accollante grava sul
creditore.
[(Diversamente dal delegato, l’accollante assume il debito originario; la sua obbligazione ha il
contenuto di quella accollata ed egli può opporre al creditore le eccezioni fondate sul negozio di
assunzione del debito.)]
L’accollo può essere fatto non solo per volontà delle parti, ma anche per legge.
72. Mora del debitore. La soddisfazione dell’interesse creditorio, la congruenza tra oggetto della
prestazione dovuta e oggetto della condotta esecutiva, e il rispetto delle modalità di tempo e di
luogo sono presupposti immancabili per qualificare il comportamento esecutivo come
adempimento. La mancanza o il difetto di uno di essi determina l’inadempimento, l’inesatto
adempimento, l’adempimento tardivo o adempimento in luogo diverso.
Si ha ritardo quando, scaduto il termine di adempimento, la prestazione è ancora possibile e il
creditore ha ancora interesse a riceverla.
L’inadempimento, al contrario, è il mancato adempimento definitivo, che si verifica quando la
prestazione è divenuta impossibile, o è ancora possibile adempierla e il creditore non ha più
interesse a riceverla, o quando il debitore non può o non vuole adempiere.
Il semplice ritardo si configura alla mera scadenza del termine e non produce, di regola,
conseguenze giuridiche. Questa situazione, che può anche protrarsi nel tempo, è necessariamente
interlocutoria: essa può avere come conseguenza l’estinzione per decorso del termine di
prescrizione o l’estinzione per impossibilità sopravvenuta non imputabile; il ritardo, però, può
anche evolversi nella situazione di ritardo qualificato (mora del debitore) o evolversi nella
situazione di inadempimento definitivo.
Il ritardo diventa mora, ossia fonte costitutiva di responsabilità, quando al mancato
adempimento si aggiunge un atto formale di costituzione in mora; quest’atto formale si configura
nell’intimazione o richiesta di adempimento fatta al debitore per iscritto (art. 1219¹ c.c.).
Tale atto è volontario di formale esercizio della pretesa creditoria, recettizio, interruttivo della
prescrizione, e produttivo di effetti legalmente predeterminati (effetti della mora).
L’atto formale non è necessario quando: il debito deriva da fatto illecito, il debitore ha dichiarato
per iscritto di non voler adempiere, la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore.
Tuttavia, se il termine scade dopo la morte del debitore, per la costituzione in mora degli eredi è
necessaria l’intimazione o richiesta per iscritto e gli effetti della mora si producono a partire dal
9° giorno dall’intimazione o dalla richiesta (art. 1219² c.c.).
La mora è stata definita ritardo qualificato; essa, tuttavia, indica un ritardo meramente legale, in
quanto, non sempre coincide con il ritardo materiale nell’adempimento, nel senso che può
seguire il ritardo, ma può anche prescinderne.
La mora produce inoltre effetti autonomi rispetto a quelli che conseguono all’inadempimento
definitivo: il debitore deve risarcire i danni derivanti dal ritardo o, più correttamente, dalla mora;
inoltre, sostiene il rischio dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da causa a
lui non imputabile.
Secondo autorevole dottrina, già il ritardo semplice produrrebbe alcune conseguenze giuridiche:
potrebbe giustificare la domanda della risoluzione del contratto e legittimerebbe al risarcibilità
del danno. Del resto i danni dovrebbero essere liquidati con riferimento al giorno della richiesta
informale di adempimento e non dalla scadenza. Il prevalente orientamento giurisprudenziale
reputa necessaria la preventiva costituzione in mora anche ai fini della richiesta di risoluzione e
per l’eccezione di inadempimento. I criteri di liquidazione del danno da mora sono analoghi a
quelli utilizzati per il risarcimento del danno da inadempimento.
Se, dopo la mora, la prestazione diviene impossibile anche per causa non imputabile al debitore,
egli non è liberato ed è tenuto a risarcire a anche il danno da inadempimento. L’effetto
liberatorio si può produrre soltanto per le prestazioni aventi ad oggetto una cosa determinata,
qualora il debitore provi che la cosa sarebbe egualmente perita presso il creditore. Tuttavia, se
l’obbligazione consiste nel restituire una cosa illecitamente sottratta, il debitore non è mai
liberato (art. 1221 c.c.). 73
Non si ha mora qualora il debitore, tempestivamente, abbia fatto offerta non formale della
prestazione, salvo che il creditore l’abbia rifiutata per un motivo legittimo (art. 1220 c.c.),
costituendo in mora il debitore.
L’offerta deve essere seria, completa ed effettiva: un mero impegno a adempiere non è
sufficiente.
Un’offerta non formale, che intervenga dopo la costituzione in mora del debitore, ne interrompe
gli effetti (interruzione della mora).
L’adempimento tardivo li elimina ex nunc, provocando la purgazione della mora.
In entrambe le ipotesi, il debitore risponde dei danni provocati dal ritardo, fino al verificarsi
dell’evento interruttivo o purgativo.
Nelle obbligazioni di non fare (negative), di regola, non è concepibile il ritardo
nell’adempimento. Ogni violazione costituisce di per sé inadempimento definitivo (art. 1222
c.c.), rendendo superflua una preventiva costituzione in mora, in quanto, quest’ultima si
configura come situazione interlocutoria che deve lasciare aperta la possibilità di adempiere,
seppur tardivamente. Tuttavia, è possibile un adempimento tardivo qualora l’inerzia del debitore,
per il tempo successivo, sia ancora idonea a soddisfare l’interesse del creditore.
73. Inadempimento. L’inadempimento è l’inattuazione definitiva del rapporto obbligatorio;
esso è fonte di responsabilità e si verifica quando la prestazione è divenuta impossibile, cioè il
debitore non può o non vuole adempiere oppure quando il creditore non ha più interesse a
ricevere un adempimento tardivo. L’inadempimento e il criterio dell’impossibilità sono
specificati nell’art. 1218 c.c.: esso afferma che il debitore è sempre responsabile finché permane
l’oggettiva possibilità della prestazione; egli, solo dopo l’impossibilità sopravvenuta, è ammesso
alla prova liberatoria consistente nella non imputabilità dell’evento che ha causato l’impossibilità
sopravvenuta.
Affinché il creditore provi la sua non responsabilità all’inadempimento, deve dimostrare
l’esistenza di un valido titolo e provare l’inesatta esecuzione della prestazione, in quanto non si
può provare un fatto negativo o un comportamento omissivo.
Il debitore, invece, deve provare che l’impossibilità sopravvenuta sia causa a lui esterna,
inevitabile secondo il metro della diligenza, assoluta, oggettiva e insuperabile, ossia ineseguibile
da parte di qualsiasi debitore. Il debitore sopporta il rischio delle cause ignote in quanto non
possa comprovarne l’accadimento.
L’art. 1218 non funziona da solo, ma con la cooperazione dell’art. 1175, che impone il reciproco
dovere di correttezza.
La buona fede, come criterio di valutazione della condotta delle parti nell’esecuzione del
rapporto, concorre a determinare ciò che il creditore può pretendere e ciò che il debitore deve
fare; essa opera anche come criterio di esclusione della doverosità del comportamento oggetto
dell’obbligazione e dell’esigibilità della pretesa creditoria. Un esempio di comportamento
escluso dalla doverosità dell’obbligazione è il caso in cui il debitore è impedito per lutto in
famiglia.
Per quanto riguarda le prestazioni di dare, l’impossibilità segna i limiti della doverosità della
condotta, nel senso che quest’ultima non è più dovuta quando la prestazione è divenuta
impossibile. Sotto questo profilo l’art. 1218 ha come finalità la disciplina dei criteri di
imputabilità del fatto che ha causato l’impossibilità. L’esigibilità della condotta, pretesa dal
creditore al debitore, non ha più motivo di esistere una volta che è scomparso definitivamente
l’interesse del creditore.
Per quanto riguarda le obbligazioni di fare, l’art. 1218 va coordinato con l’art. 1176, ove si parla
di diligenza. La diligenza è regola generale e non criterio generale di esonero dalla
responsabilità per inadempimento, nel senso che il debitore non è liberato semplicemente
provando di aver tenuto una condotta diligente. L’ordinamento non accoglie la distinzione tra
obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato; tale distinzione è utilizzata per separare
l’ambito di operatività del criterio di diligenza, per le obbligazioni di mezzi e del criterio
dell’impossibilità, per le obbligazioni di risultato. In conclusione, l’ordinamento non opera tale
distinzione, perché in ogni prestazione convivono mezzo (il comportamento del debitore) e
74
risultato (soddisfazione dell’interesse creditorio); tuttavia, ai fini della responsabilità, è la diversa
incidenza quantitativa che distingue le varie obbligazioni.
Esistono anche clausole nel contratto che convengono un nuovo criterio di ripartizione del
rischio di inadempimento, ma queste clausole (di esonero) non possono escludere o limitare
preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave: il relativo patto è nullo
(art. 1229 c.c.).
Salva diversa pattuizione, il debitore che nell’esecuzione della prestazione si avvale dell’opera di
terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di questi (art. 1228 c.c.). Il debitore risponde per il
semplice fatto di aver dato incarico al terzo. Presupposti essenziali per l’applicabilità dell’art.
1128 sono: l’iniziativa del debitore e l’assenza di un rapporto contrattuale tra creditore e terzo.
Nell’ipotesi di inadempimento provocato dal fatto del creditore, il debitore è esonerato da
responsabilità. Quando il creditore è in mora, il debitore mantiene sempre il diritto al
corrispettivo. Se non sussistono i presupposti della mora del creditore, sono applicati i criteri di
ripartizione del rischio dell’impossibilità sopravvenuta, e il creditore è obbligato al corrispettivo
soltanto se l’impossibilità si è verificata per il fatto a lui imputabile.
74. Risarcimento del danno. L’obbligazione gode di una tutela reale e una risarcitoria; quella
reale assicura al creditore il conseguimento dell’oggetto della prestazione, e quella risarcitoria
un equivalente pecuniario. Il risarcimento del danno si effettua quando vi è inadempimento o
un ritardo e consiste in una nuova obbligazione pecuniaria che comprende sia l’effettiva perdita
(danno emergente) che il mancato guadagno (lucro cessante), purché l’una e l’altro siano
conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento o del ritardo (art. 1223 c.c.). Quando
l’inadempimento e il ritardo sono dolosi, il risarcimento comprende anche i danni imprevedibili
(art. 1225 c.c.). Non è risarcibile il danno che il creditore avrebbe potuto evitare usando
l’ordinaria diligenza (art. 1227 c.c.).
I danni da risarcire non comprendono solo quelli che provengono da inadempimento o ritardo
(effettiva perdita e mancato guadagno), ma anche quelli mediati e diretti, purché rientrino nelle
conseguenze normali e ordinarie del fatto.
Il creditore deve provare non solo il nesso di causalità e l’esistenza del danno, ma a ciò deve
allegare la componente economica dell’evento lesivo (perdita effettiva e mancato guadagno);
la non imputabilità deve essere provata dal debitore.
Al creditore spetta l’onere della prova anche per l’ammontare del danno; nel caso in cui è
impossibile o notevolmente difficile determinare l’ammontare del danno, esso è liquidato
equitativamente dal giudice anche d’ufficio (art. 1226 c.c.).
Il risarcimento è un debito di valore, cioè, successivamente alla liquidazione, diventa un debito
di valuta come una comune obbligazione pecuniaria.
75. Clausola penale e caparra. Il danno può essere liquidato convenzionalmente evitando
l’intervento giudiziale, o mediante un accordo transattivo, o, in via preventiva, con l’istituzione
di una clausola penale. Le parti quindi possono convenire che in caso di inadempimento o
ritardo ci sia una risarcibilità del danno prevista e predeterminata; il risarcimento preaccordato è
limitato alla prestazione promessa e può aumentare in caso di danno ulteriore effettivamente
subito.
La clausola penale è idonea ad assolvere una duplice funzione: di liquidazione preventiva del
danno, e di sanzione per l’inadempimento o il ritardo. Logicamente non esiste un diritto
cumulativo, cioè, il creditore non può pretendere congiuntamente la prestazione principale e la
penale, salvo che quest’ultima sia stata stipulata per il semplice ritardo. L’ammontare della
penale può essere diminuita dal giudice se la prestazione principale è stata eseguita in parte
oppure se la clausola stessa è eccessiva.
Il debitore comunque non può scegliere tra l’adempimento dell’obbligazione oppure il
pagamento della penale: il creditore conserva il diritto a pretendere l’esecuzione in forma
specifica. La penale è utilizzata anche nella liquidazione del recesso (multa penitenziaria).
La caparra confirmatoria è l’effettiva dazione di una somma di denaro o di una quantità di cose
fungibili riguardanti prestazioni corrispettive, e può essere data solo per l’inadempimento e non
75
anche per il ritardo; essa ha una funzione di garanzia. Infatti, non è un acconto perché deve
essere restituita, oppure può essere imputata all’adempimento della prestazione principale.
Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra parte può recedere dal contratto
trattenendo la caparra; se inadempiente è la parte che ha ricevuto, l’altra parte che ha dato la
caparra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra. La parte non inadempiente
può chiedere l’esecuzione in forma specifica o la risoluzione del contratto, e il risarcimento è
regolato dalle norme generali: la caparra versata è usata per il pagamento di danni liquidati o per
eccedenza alla prestazione principale.
A differenza della caparra confirmatoria vi è la caparra penitenziale che è data sempre al
momento della conclusione del contratto, come corrispettivo del recesso: il recedente perde la
caparra o deve il doppio di quella data.
c. Specie tipiche di obbligazioni
76. Obbligazioni pecuniarie. Le obbligazioni pecuniarie costituiscono la più diffusa tipologia
di obbligazioni: esse hanno come carattere fondamentale il denaro. Il pagamento in contanti per
importi superiori ai 20 milioni può essere effettuato solo mediante intermediari abilitati, i quali,
previa consegna della somma, accettano per iscritto l’incarico. Il creditore, una volta venuto a
conoscenza dell’operazione, libera il debitore e può esigere il pagamento solo dopo 3 giorni
dall’accettazione dell’intermediario.
Oggetto fondamentale delle obbligazioni pecuniarie è il denaro; esso è il mezzo legale per
pagare, acquistare, scambiare, determinare i valori economici dei beni, risarcire, ecc….
Il termine tecnico-valutario per indicare il denaro è la moneta; essa può essere contante
(banconote) e scritturale (contabile, bancaria e elettronica). La differenza sta nel fatto che la
moneta scritturale è disponibile presso un ente creditizio.
Il principio nominalistico afferma che: il debito pecuniario si estingue con moneta avente corso
legale nello stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale (art. 1277 c.c.); con questo
principio, ogni svalutazione o rivalutazione della moneta è ininfluente nel pagamento.
Quando il debito è in moneta non avente corso legale, il debitore può pagare in moneta legale
secondo il cambio nel giorno della scadenza e nel luogo stabilito per il pagamento (art. 1278
c.c.). Con la stipulazione della clausola effettivo, il debitore deve pagare solo con la moneta
indicata anche se non avente corso legale, salvo che alla scadenza sia impossibile procurarsela
(art. 1279 c.c.).
Il principio nominalistico presuppone un debito di valuta, ossia quel debito che al momento del
suo sorgere ha ad oggetto una somma di denaro predeterminata e senza altri parametri di
indicazione numerica (es: 1000 £).
I debiti di valore sono obbligazioni pecuniarie che hanno ad oggetto una prestazione nel suo
valore economico e che, al momento del pagamento, si traduce in una somma di denaro.
In concreto, è difficile stabilire se un debito è o di valuta o di valore; per esempio, il debitore non
sarebbe mai in grado di conoscere con esattezza l’ammontare della prestazione dovuta, in quanto
tale prestazione è soggetta a costante rivalutazione, causate, ad esempio, da una galoppante
inflazione.
Tale problema mette in discussione l’inderogabilità del principio nominalistico, perché tale
principio è adatto solo in periodi di bassa inflazione.
Quindi, le parti possono decidere che una somma di denaro sia suscettibile a una rivalutazione
fatta in riferimento a parametri esterni. Tali parametri possono essere: un criterio di
aggiornamento automatico (clausola Istat) o una rivalutazione effettuata in riferimento all’indice
dei prezzi alla produzione o all’ingrosso (clausola merci). Con questi parametri, sostanzialmente,
un debito di valuta si converte in debito di valore: si parla di obbligazioni indicizzate.
Le clausole di rivalutazione, tuttavia, mitigano solo in parte gli effetti della perdita di potere di
acquisto della moneta, in quanto la variazione dei prezzi di ciascun bene non è omogenea.
Comunque, le clausole monetarie sono particolarmente efficaci giacché consentono di
personalizzare gli effetti della svalutazione. 76
Il denaro è un bene produttivo e i suoi prodotti o frutti civili sono gli interessi. Gli interessi sono
dovuti al creditore e sono di pieno diritto, salvo che diversamente risulti dalla legge o dal titolo.
Infatti con l’obbligazione pecuniaria che sia liquida (determinata nel suo ammontare) ed esigibile
(non sottoposta a termine di scadenza) è sempre accompagnata, salvo che le parti non l’abbiano
espressamente esclusa, da un’obbligazione accessoria. Essa è un’obbligazione pecuniaria
autonoma rispetto a quella principale e quindi soggetta ad un proprio termine di prescrizione: la
sua funzione è quella di corrispondere gli interessi secondo il tasso legale (4%, salvo diversa
disposizione del Ministro del Tesoro) o secondo il tasso più levato che le parti abbiano
convenuto (art. 1282 e 1284 c.c.). Se, però, sono convenuti interessi usurari, il patto è nullo e
non sono dovuti interessi. Tuttavia, gli interessi scaduti producono al loro volta interessi soltanto
dal giorno della domanda giudiziale o per accordo successivo alla scadenza, riguardante un
periodo superiore a 6 mesi (anatocismo; art. 1283 c.c.).
Gli interessi moratori, dovuti nella misura legale, hanno una funzione risarcitoria dovuti per il
ritardato pagamento a seguito della costituzione in mora del debitore; se prima della mora erano
dovuti interessi ad un tasso maggiore di quello legale, anche quelli moratori saranno dovuti nella
stessa misura.
Il maggior danno da ritardo, provocato da inflazione o eccessiva svalutazione monetaria, è
risarcibile soltanto se provato dal creditore. Tuttavia, se è stata convenuta la misura degli
interessi moratori, l’eventuale maggior danno non è risarcibile (art. 1224 c.c.).
Il risarcimento del danno costituisce debito di valore; la mera inflazione non è un danno
risarcibile, il creditore deve provare che la somma dovuta sarebbe stata reimpiegata, producendo
dei frutti civili.
77. Obbligazioni alternative e facoltative. L’obbligazione cumulativa si ha quando un unico
rapporto obbligatorio ha per oggetto più prestazioni e il debitore si libera eseguendole tutte
cumulativamente. Le obbligazioni alternative (art. 1285 c.c.) si hanno quando un unico
rapporto obbligatorio ha per oggetto due o più prestazioni e il debitore deve eseguire
obbligatoriamente una delle prestazioni dedotte. La scelta (art. 1286 c.c.) spetta di regola al
debitore, salvo nei casi in cui la facoltà di scelta spetta o al creditore o a terzi. Una volta fatta la
scelta, essa diviene irrevocabile e si ha la concentrazione dell’obbligazione (art. 1288 c.c.), cioè
l’obbligazione da alternativa diventa semplice.
L’impossibilità sopravvenuta di una o di entrambe le prestazioni, dovuta a causa imputabile ad
una delle parti, produce effetti differenti secondo che la facoltà di scelta spetti al debitore o al
creditore (art. 1289 e 1290 c.c.):
caso in cui una delle prestazioni è divenuta impossibile per causa imputabile al
debitore: se la facoltà di scelta spetta al debitore, l’obbligazione si concentra sulla
prestazione che permane possibile; se la facoltà di scelta spetta al creditore, egli può
esigere l’altra prestazione o chiedere il risarcimento dei danni;
caso in cui una delle prestazioni è divenuta impossibile per causa imputabile al
creditore: se la facoltà di scelta spetta al debitore, egli è liberato salvo che non preferisca
adempiere l’altra obbligazione e chiedere il risarcimento del danno; se la facoltà di scelta
spetta al creditore, il debitore è sempre liberato salvo che il creditore preferisca esigere
l’altra prestazione e risarcire il danno;
caso in cui entrambe le prestazioni sono divenute impossibili, ma soltanto una per
causa imputabile al debitore: se la facoltà di scelta spetta al debitore, egli deve pagare
l’equivalente della prestazione divenuta impossibile per ultima; se la facoltà di scelta
spetta al creditore, egli può richiedere l’equivalente dell’una o dell’altra;
caso in cui entrambe le prestazioni sono divenute impossibili a causa di un unico
evento imputabile al debitore: se la facoltà di scelta spetta al debitore, egli può pagare
l’equivalente dell’una o dell’altra; se la facoltà di scelta spetta al creditore, egli può
richiedere l’equivalente dell’una o dell’altra.
Le obbligazioni facoltative hanno ad oggetto una sola prestazione, ma al debitore è riconosciuta
la facoltà di liberarsi eseguendo una diversa prestazione. Il creditore può esigere soltanto la
77
prestazione principale, ma non può rifiutare l’esecuzione della prestazione facoltativa: se la
prestazione principale diviene impossibile, l’obbligazione si estingue.
78. Obbligazioni solidali. La solidarietà è un vincolo che lega più debitori all’esecuzione di una
medesima prestazione: si parla di solidarietà passiva. Ciascuno dei debitori può essere costretto
dall’unico creditore all’adempimento della prestazione, ma l’adempimento di uno libera anche
gli altri coobbligati (art. 1292 c.c.). Il creditore può pretendere l’adempimento ad uno qualsiasi
dei coobbligati, anche se l’obbligazione è stata assunta nell’interesse esclusivo di uno di essi.
Diversa dall’obbligazione solidale è quella parziaria, dove la prestazione è frazionata tra i
diversi debitori i quali sono obbligati soltanto pro-quota (art. 1299 c.c.). Nell’obbligazione
parziaria, l’insolvenza di uno dei debitori è sopportata dal creditore; in quella solidale,
l’insolvenza si ripartisce fra i debitori.
N.B.: Per la situazione passiva, la solidarietà è la regola, la parziarietà è l’eccezione.
I presupposti della solidarietà sono: unicità della fonte e del titolo, e anche l’unicità e l’identità
della prestazione; comunque in difetto dei presupposti, il vincolo può nascere anche per legge o
per natura dell’obbligazione.
La solidarietà è un vincolo obbligatorio anche se vi è una pluralità dei soggetti, perché unico è
l’oggetto, la fonte e il titolo. La solidarietà è esclusa dalla previsione, legale o convenzionale, del
beneficium excussionis, in base al quale il creditore deve preventivamente escutere il
patrimonio di uno dei coobbligati. Però, secondo l’orientamento prevalente, la solidarietà manca
anche quando è previsto il beneficium ordinis, in base al quale il creditore deve
preventivamente chiedere l’adempimento ad uno dei coobbligati (art. 1268 c.c.).
La solidarietà forma dei rapporti interni fra i debitori: l’obbligazione si divide tra i diversi
debitori in parti eguali se non risulta diversamente; il debitore che ha adempiuto l’intera
prestazione ha azione di regresso verso gli altri, cioè può ripetere da ciascun coobbligato la
quota-parte di sua spettanza (art. 1298 e 1299 c.c.).
Vi sono anche i rapporti esterni tra i debitori e il creditore, ed è prevista una specifica disciplina
(art. 1300 e ss c.c.).
La solidarietà non deve essere confusa con la contitolarità, perché la solidarietà presenta un
unico vincolo, mentre, la contitolarità presenta più vincoli.
La solidarietà (attiva) nel credito si ha quando ciascuno dei creditori può pretendere l’esecuzione
dell’intera prestazione e l’adempimento conseguito da uno di essi libera il debitore verso gli altri
creditori (art. 1292 c.c.).
N.B.: Per la situazione attiva, la solidarietà è l’eccezione, la parziarietà è la regola, perché la
solidarietà deve essere espressamente prevista.
Il debitore può indifferentemente adempiere nei confronti di uno qualsiasi dei creditori, salvo che
non sia stato prevenuto da uno di essi con domanda giudiziale (art. 1296 c.c.). Per il resto e a
ruoli invertiti vigono regole analoghe a quelle della solidarietà passiva per quanto riguarda i
rapporti interni ed esterni.
79. Obbligazioni divisibili e indivisibili. L’obbligazione è indivisibile, quando il fatto o la cosa,
oggetto della prestazione, in sé o nella considerazione delle parti è indivisibile (art. 1316 c.c.).
L’obbligazione è divisibile, quando la cosa, o fatto, o prestazione è divisibile pro quota e
l’adempimento pro quota soddisfa proporzionalmente l’interesse del creditore.
Poiché l’interesse del creditore è soddisfatto non dalla prestazione, ma dal suo oggetto,
l’indivisibilità dell’obbligazione coincide con l’indivisibilità della cosa o del fatto oggetto della
prestazione. Per questa ragione, sia l’indivisibilità oggettiva sia quella soggettiva sono sottoposte
ad identica disciplina. La divisibilità dell’obbligazione presuppone una pluralità di creditori o di
debitori. Se l’obbligazione è divisibile e non vi è vincolo di solidarietà, pretesa creditoria od
obbligo debitorio si ripartiscono fra i vari soggetti: ciascun creditore può domandare
l’adempimento per la parte di sua spettanza e ciascun debitore è tenuto a adempiere soltanto per
la sua parte (art. 1314 c.c.).
Alle obbligazioni indivisibili si applicano le disposizioni sulle obbligazioni solidali, in quanto
compatibili (art. 1317 c.c.). 78
80. Obbligazioni fungibili e infungibili. L’obbligazione si dice fungibile, quando l’oggetto della
prestazione, in relazione all’interesse del creditore, può essere sostituito con un altro oggetto
identico o di equivalente valore. La fungibilità esprime equivalenza qualitativa fra due cose ed è
il frutto di una valutazione comparativa; è utilizzata come presupposto della compensazione
legale, del mutuo e del deposito irregolare. Discorso inverso vale per le obbligazioni infungibili.
79
E. Situazioni di garanzia.
a. Situazioni di garanzia patrimoniali
81. Caratteri e funzioni della responsabilità patrimoniale. L’art. 2740 c.c., disponendo che il
debitore risponde all’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri,
delinea l’istituto della responsabilità patrimoniale, mediante il quale il creditore insoddisfatto,
a causa dell’inadempimento, può realizzare il suo interesse aggredendo in via esclusiva i beni del
debitore. Quindi, con la responsabilità patrimoniale, il debitore, se non adempie, si vede
aggredito nel suo patrimonio dal creditore.
La responsabilità patrimoniale risponde esclusivamente dell’inadempimento, anche se l’art. 2740
a volte è stato interpretato in modo da far diventare il punto di riferimento oggettivo del diritto
del creditore non la prestazione, ma il patrimonio del debitore.
Questa prospettiva non è da condividere. La responsabilità patrimoniale, pur potendosi
manifestare anche durante la fase fisiologica di esistenza del rapporto obbligatorio, è destinata ad
operare, per altro non sempre e non necessariamente, a seguito dell’inadempimento; attenendo
pertanto al momento patologico del rapporto obbligatorio, non costituisce aspetto caratterizzante
ed essenziale della sua struttura. Difatti, la responsabilità patrimoniale non è strumento
sostitutivo o alternativo dell’adempimento, perché il potere attribuito al creditore sul patrimonio
del debitore ha natura prettamente processuale.
La responsabilità patrimoniale non può essere considerata satisfattoria dell’interesse del
creditore: ad esempio, l’esecuzione generica o per espropriazioni sono soddisfacenti quando
l’oggetto della prestazione è una somma di denaro; in caso contrario sono viste come
l’equivalente pecuniario del danno, causato al creditore dall’inadempimento.
82. Responsabilità patrimoniale, responsabilità personale ed esecuzione forzata.
La responsabilità patrimoniale e personale operano entrambe in caso di inadempimento, ma sono
diverse tra di loro: la responsabilità personale determina l’obbligo di risarcire il danno causato
al creditore dall’inadempimento; la responsabilità patrimoniale comporta la soggezione, attuale
o potenziale, dei beni presenti o futuri del debitore all’azione esecutiva del creditore
insoddisfatto.
La responsabilità personale ha una funzione preparatoria a quella patrimoniale, perché quella
patrimoniale, che si ricava dall’espropriazione forzata dei beni del debitore, esige che
l’obbligazione abbia ad oggetto una somma di denaro. Tale presupposto è realizzato dalla
responsabilità personale che o sostituisce l’obbligazione inadempiuta con quella risarcitoria, o
aggiunge all’obbligazione inadempiuta quella risarcitoria.
La responsabilità patrimoniale presuppone oltre all’inadempimento dell’obbligazione originaria,
anche quella risarcitoria. Infatti, l’adempimento dell’obbligazione risarcitoria fa venir meno la
responsabilità patrimoniale. Tale responsabilità è diversa dall’esecuzione forzata perché ha
un’operatività più ristretta. L’esecuzione forzata in forma generica si ha quando la situazione
creditoria ha per oggetto la consegna di una somma di denaro; l’esecuzione forzata in forma
specifica è invocata in caso di inadempimento di crediti aventi oggetto diverso dal denaro.
Con l’esecuzione forzata per consegna o rilascio, il creditore ottiene lo stesso bene che il debitore
avrebbe dovuto fargli conseguire. Con l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare,
il creditore ottiene che un terzo incaricato dal giudice faccia o distrugga a spese del debitore ciò
che il debitore si era impegnato a fare (e non ha fatto) e a non fare (e invece ha fatto).
L’esecuzione forzata in forma specifica degli obblighi di fare presuppongono, comunque, una
fungibilità, ossia una sostituibilità in sede esecutiva del soggetto obbligato con un altro soggetto
nominato dal giudice. Suscettibile all’esecuzione forzata in forma specifica è l’obbligo di
contrarre: di fronte all’inadempimento il creditore può ottenere una sentenza che produce gli
stessi effetti del contratto non concluso. L’esecuzione in forma specifica è sempre satisfattoria ed
è strumento di realizzazione coattiva del debito. 80
83. Par condicio creditorum e divieto del patto commissorio. La regola della par condicio
creditorum comporta che se un soggetto ha più creditori questi hanno egual diritto di essere
soddisfatti sui beni del debitore (art. 2741 c.c.); una volta promossa l’espropriazione forzata, il
ricavato è ripartito in proporzione all’ammontare dei rispettivi crediti.
Il principio della parità di trattamento subisce alcune limitazioni derivanti dal divieto di
promuovere azioni esecutive individuali.
L’ordinamento per tutelare la par condicio creditorum, dichiara nullo il patto commissorio (art.
2744 c.c.), con il quale si accoda che, in mancanza del pagamento nel termine stabilito, la
proprietà della cosa dato in pegno passa al creditore. Tale patto poneva in una posizione
sfavorevole sia il debitore, perché la cosa ipotecata o data in pegno aveva un valore superiore
alla prestazione, sia gli altri creditori, perché si vedono sottrarre un bene del comune creditore
sul quale essi avrebbero potuto soddisfarsi.
La giurisprudenza ha dichiarato la nullità della vendita con patto di riscatto.
Tuttavia l’ordinamento ritiene lecito il patto marciano, con il quale il creditore, nelle ipotesi di
inadempimento, diventa proprietario della cosa ricevuta in garanzia previa corresponsione al
debitore della differenza tra l’ammontare del credito e l’eventuale maggior valore del bene.
84. Cause di prelazione e privilegi. La legge prevede delle eccezioni alla regola della par
condicio; è l’ipotesi del cause di prelazione, che comportano posizioni privilegiate caratterizzate
da un ordine di preferenza da seguire in sede di riparto delle somme ricavate dalla vendita
forzata. Le cause legittime di prelazione (art. 2741 c.c.) sono: i privilegi, il pegno e l’ipoteca. I
presupposti di tali cause sono: una pluralità dei creditori e la presenza di un patrimonio adeguato
a soddisfare le esigenze degli stessi.
Esistono anche altre norme che rafforzano la tutela di un creditore rispetto a quella riconosciuta
agli altri: un esempio è il diritto di ritenzione, che consente ad un determinato creditore di
trattenere la cosa data fino a che il debitore-proprietario non abbia estinto il proprio debito. Esso
ha natura eccezionale ed è opponibile erga omnes.
I privilegi sono una delle cause di prelazione ed hanno alcune caratteristiche comuni fra loro: la
fonte è rappresentata da una previsione legale, l’elemento giustificativo è nella causa del credito,
l’attribuzione del diritto di prelazione favorisce un determinato creditore.
L’art. 2745 prevede che nel rispetto della legalità il privilegio è subordinato ad una convenzione
tra le parti o ad una particolare pubblicità. Per la validità dei privilegi è necessaria la forma
scritta. I privilegi sono generali e speciali: quelli generali (art. 2751 ss c.c.) gravano su tutti i
beni mobili del debitore; quelli speciali (art. 2755 ss c.c.) gravano su determinati beni mobili e
immobili che hanno una particolare relazione con il credito del quale si intende rafforzare la
tutela.
I crediti assistiti da privilegio generale sono accomunati da un’esigenza di assicurare il
soddisfacimento prioritario di categorie professionali che dalla realizzazione del credito traggono
i mezzi di sostentamento, oppure dall’esigenza di prelievo fiscale dello stato.
I crediti assistiti da privilegio speciale hanno una posizione di preferenza rispetto a quelli
generali, ma questa relazione non è sempre valida.
I privilegi sono inerenti ad un rapporto di credito e lo seguono in tutti i suoi trasferimenti. Per i
privilegi speciali, la situazione è particolare, perché essi presuppongono che la cosa si trovi in un
determinato luogo o in una particolare relazione con il creditore; se mancano tali presupposti, il
privilegio viene meno.
Essendoci una specifica connessione tra il credito e la cosa, nel caso si ha un perimento totale del
bene, il privilegio si estingue; nel caso di un perimento parziale, il privilegio diminuisce
proporzionalmente al perimento. Il privilegio speciale può essere accostato alla categoria delle
garanzie reali dove troviamo il pegno e l’ipoteca. Il privilegio speciale dà al creditore anche il
diritto di seguito, consistente nel potere di aggredire il bene anche nei confronti dei terzi
acquirenti. 81
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