Antropologia cristiana - Mente immagine
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Ne deriva una rivoluzionaria storicizzazione e temporalizzazione dell’antropologia:
primariamente, interiore ed esteriore non sono affatto dimensioni ontologiche o psicologiche, ma
dimensioni teologico-rivelative, economiche. L’esteriore è il primo, il naturale, lo psicologico, mentre
l’interiore è l’ultimo, l’escatologico, il carismatico; l’esteriore indica l’autonomia peccaminosa della
creatura, l’interiore indica l’azione misteriosa dello Spirito di grazia; l’esteriore rivela la sapienza e la
potenza di questo mondo, l’interiore rivela la paradossale, apocalittica sapienza e potenza di Dio. Soltanto
secondariamente, esteriore ed interiore possono indicare dimensioni ontologiche: l’esteriore rappresenta,
infatti, l’essere fittizio e transeunte della creatura, che vanta una propria consistenza ontologica
gerarchicamente strutturata (alto/basso; potente/debole; sapiente/stolto; vita/morte); l’interiore
rappresenta, al contrario, il paradossale orizzonte escatologico, rivelato e operato da Cristo, che rovescia e
nullifica la mondana, visibile, transitoria gerarchia esteriore, per dischiudere l’eterna, invisibile,
misteriosa intimità cristologica tra Dio e le creature.
«Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo
sofivan
mondo che vengono ridotti al nulla. Parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta (qeou=
ejn musthrivw thVn ajpokekrummevnhn/) e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei
dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla (ejvgnwken); se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il
Signore della gloria. Sta scritto infatti: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di
uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano”. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo
bavqh tou= qeou=)… tou= qeou=)
Spirito, infatti, scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio (taV I segreti di Dio (taV
nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo
Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo non con un linguaggio
ejn didaktoi=ò ajnqrwpivnhò sofivaò),
suggerito dalla sapienza umana (oujk ma insegnato dallo Spirito, esprimendo
ajvnqrwpoò)
cose spirituali in termini spirituali. L’uomo animale (yucikoVò però non comprende le cose dello Spirito di
Dio; esse sono follia (mwriva) per lui e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello
deV pneumatikovò),
Spirito. L’uomo spirituale (oJ invece, giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno:
“Chi infatti ha conosciuto l’intelletto (nou=n) del Signore in modo da poterlo dirigere?”. Ora, noi abbiamo l’intelletto
deV nou=n Cristou= ejvcomen)»
di Cristo (hJmei=ò (1Cor 2,6-16).
Evidente e radicale risulta l’opposizione tra intellettuale (o psichico) e pneumatico, tra
intelligenza (o sapienza naturale) e rivelazione dello Spirito di Cristo. Emerge ancora la determinante
prospettiva apocalittica di Paolo, che interpreta il dono della grazia di Dio in Gesù Cristo come
nullificazione e ricreazione, come catastrofe del vecchio ed escatologica irruzione del nuovo, dell’ultimo.
Appunto, l’immagine non è niente affatto una restaurazione della natura, ma un evento inaudito,
eccedente qualsiasi orizzonte ontologico, anzi – considerando lo stesso trascendimento della Legge divina
– ontoteologico. La croce del Messia rovescia, annientandole, tutte le gerarchie naturali. Nella croce,
l’immagine si rivela attingibile solo tramite la grazia apocalittica (cioè distruttivamente, dualisticamente
rivelatrice della potenza di Dio come del tutto altra rispetto alla sapienza e alla potenza della natura, del
mondo, degli uomini, della loro intelligenza).
«La parola della croce è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di
Dio. Sta scritto infatti: “Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti” (Is 29,14).
“Dov’è il sapiente, dov’è il dotto?” (Is 33,18), dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Poiché, infatti, nel
disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti
con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi
predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia
Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente
degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini… Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per
confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è
ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti
a Dio. Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia,
santificazione e redenzione, perché come sta scritto: “Chi si vanta, si vanti nel Signore” (cf. Ger 9,22-23)» (1Cor 1,18-
31).
La trascendenza assoluta, l’abissale «profondità» della sapienza di Dio, irriducibile alla sapienza
e all’intelligenza naturale degli uomini, non è quindi una trascendenza ontologica (o metaontologica, nel
th=ò oujsivaò),
senso dell’ejpevkeina ma una trascendenza teologico-rivelativa, carismatica. Dio è
21 palaioVn ajvnqrwpon)
«Dovete deporre l’uomo vecchio (toVn con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe (toVn
fqeirovmenon) tw/= pneuvmati
dietro le passioni ingannatrici, e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente (ajnaneou=sqai
tou= nooVò uJmw=n) kainoVn ajvnqrwpon), kataV qeoVn ktisqevnta)
e rivestire l’uomo nuovo (toVn creato secondo Dio (toVn
nella giustizia e nella santità vera» (Efes 4,22-24). Cf. Col 3,9-11: «Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio (ajpekdusavmenoi
toVn palaioVn a[nqrwpon), toVn nevon),
con le sue azioni, e avete rivestito il nuovo (ejndusavmenoi che si rinnova (toVn
ajnakainouvmenon), ejpivgnwsin),
per una piena conoscenza (eijò ad immagine (kat*eijkovna) del suo Creatore».
7
nascosto perché vuole rimanere nascosto alla mente della creatura; la rivelazione delle sue profondità è
soltanto carismatica, solo il Dono dello Spirito, la volontà di grazia di Dio la rivela. Se, quindi, l’essere
costituiti in Cristo nell’Immagine e nella Gloria di Dio – tramite la fede nel mistero paradossale,
apocalittico ed escatologico della croce redentiva e l’incorporazione battesimale ad essa – trascende del
tutto l’atto conoscitivo, la fede nella sua dimensione carismatica, come possesso comunitario nello Spirito
nou=ò nou=ò
del di Cristo Immagine, si pone in rapporto di opposizione radicale con il come naturale
organo del divino. Rispetto all’intelletto pneumatico, carismatico di Cristo, l’intelletto naturale,
ontologico, proprio dell’uomo psichico, non può che essere accecato, valutando come follia la fede e il
dono escatologico di Cristo.
Insomma: soltanto lo Spirito, identificato personalmente nel Cristo-Capo di un corpo mistico
nou=ò
pneumatico, è l’autentica immagine di Dio. Il soggettivo non è affatto immagine, proprio perché il
mistero della rivelazione cristiana è di natura carismatica, pneumatica, e non presuppone la riscoperta o la
restaurazione di una perduta o nascosta identità ontologica, intellettuale. Inoltre, la costituzione dello
spirituale, pneumatico “uomo ad immagine” è unicamente escatologica, apocalittica e niente affatto
protologica, cosmologica; è mistico-collettiva, corporale, e niente affatto soggettiva, individuale.
Insomma, la stessa interiorità è l’atto carismatico di fede, la mistica partecipazione al mistico corpo
collettivo di Cristo – corpo escatologicamente costituito da corpi resuscitati e spiritualizzati –, animato dal
vivificante Spirito di grazia, e niente affatto una realtà inalienabile, seppure obliata, una natura
intellettuale, almeno potenzialmente sempre aperta sulla Verità divina, della quale sarebbe immagine
ontologica.
II – L : N ’
O GNOSTICISMO IL OUS KENOTICO E L IMMAGINE SCISSA
Invece, è proprio in questa direzione che procedono prima lo gnosticismo eretico alessandrino –
in particolare, quello valentiniano e quello basilidiano –, poi la gnosi cattolica alessandrina– quella di
Clemente ed Origene, nutrita della platonizzante allegorizzazione scritturistica operata dall’ebreo Filone
–. Se la teologia di Paolo è dominata da categorie carismatiche, storico-economiche, escatologiche, il
cristianesimo alessandrino opera un’ontologizzazione del kerygma storico-salvifico ed una
psicologizzazione platonizzante del dinamismo paolino legge/grazia, lettera/Spirito, carne/Spirito,
naturale/rivelato, sapienza del mondo/sapienza di Dio, potenza del mondo/potenza di Dio, terreno/celeste,
22
ilico-psichico/pneumatico, esteriore/interiore, vecchio/nuovo, primo/ultimo, Adamo/Cristo.
Lo gnosticismo eretico, teologicamente dualista (che oppone il Dio trascendente Padre di Cristo
al Dio creatore e legislatore dell’Antico Testamento), ripensa tutte queste polarità del dualismo paolino e
quelle del dualismo giovanneo (Cristo/mondo, luce/tenebra, verità/errore, vita/morte) appunto secondo
una modalità ontologica che parrebbe del tutto platonizzata: la natura di Dio è assolutamente immateriale
nou=ò lovgoò
e noetica; l’interiorità dello gnostico è un frammento dell’oujsiva divina, un o decaduto,
chiamato dalla gnosi rivelata a riscoprire la propria obliata identità spirituale; il mondo materiale è la
prigione della sostanza divina; il peccato è ignoranza di sé, la salvezza è luce razionale, esercizio
dell’intelligenza. Ciononostante, la struttura teologica gnostica è evidentemente cristiana: l’essenza divina
è radicalmente antropologizzata; Dio è Nous che si pensa attraverso la generazione del Figlio, di un Altro
amato e voluto come radice del seme spirituale (quindi di un’ulteriore generazione di figli). La nozione
gnostica di natura spirituale deriva, infatti, dalla sclerotizzazione ontologica dell’identità carismatica del
credente (che nello Spirito è uno con Cristo e con il Padre), comunque scoperta grazie alla kenosi
amorevole di un Redentore celeste, Gesù Cristo. L’acquisizione della gnosi, che libera dal peccato, non è
universale, ma dipende dalla predestinazione divina, quindi da un’elezione ontologizzata: il popolo eletto
oujsiva
è divenuto consustanziale a Dio, il quale non è compiuto, né in pace con se stesso, senza
l’assunzione e la salvezza della sua “carne” spirituale, del suo mistico “corpo” umano. Inoltre, il dualismo
platonico viene radicalizzato a partire da un dualismo di origine apocalittica: la materia non è soltanto la
propaggine defettiva dell’essere e della luce intellegibile, né soltanto la temporanea prigione del corpo,
ma la natura malvagia generata da un peccato divino, il costituirsi di un intero ordine del male, aggressivo
22 La rivoluzionaria novità della prospettiva platonizzante alessandrina risalta ancor più chiaramente tramite la
conoscenza della tradizione asiatica del II secolo (si pensi a Melitone, Teofilo di Antiochia, soprattutto Ireneo), che – in sostanziale
plavsiò
continuità con l’antropologia giudaica e neotestamentaria – identifica l’uomo creato ad immagine con la dell’uomo
corporeo, la carne dell’uomo plasmato e vivificato di Gen 2,7 e interpreta l’Immagine divina, secondo la quale l’immagine è creata,
come il Logos incarnato e non come quello preesistente. Cf., in proposito, M. S , Modelli culturali nella cristianità
IMONETTI
orientale del II-III secolo (1992), quindi in Ortodossia ed eresia tra I e II secolo, Soveria Mannelli 1994, 315-331. Sul pensiero di
Ireneo, cf., tra i tanti e decisivi studi da lui dedicatigli, A. O , Antropología de San Ireneo, Madrid 1969.
RBE 8
e idolatrico; il cosmo sensibile è il luogo decaduto, comunque destinato alla distruzione, di
un’affermazione antidivina, di una (più o meno) perversa, caricaturale immagine del Dio trascendente.
Ma concentiamoci sul cuore “evangelico” dello gnosticismo. Questo è la rivelazione di un nuovo
Dio d’amore, del tutto trascendente, eppure radicalmente antropomorfizzato, non più rigidamente
23
monoteistico, ma trinitario e, in quanto tale, rivelatore dell’assoluta intimità spirituale dell’uomo con
Dio. L’intimo segreto della gnosi è, infatti, lo stesso annuncio cristiano: «Esiste l’Uomo e il Figlio
24 25
dell’Uomo» , ovvero in quanto Dio si rivela come Uomo (in Cristo), si rivela come Padre-Figlio, quindi
come Spirito (come apertura ad un’ulteriore filialità). Il pleroma gnostico è, infatti, la mitica (soltanto
apparentemente irrazionale) raffigurazione di Dio che eternamente diviene Figlio e del Figlio che
eternamente si incarna, diviene uomo, assume il suo corpo mistico, miticamente rappresentato dalla
Donna-Spirito Santo, spesso identificata con Sophia, la carne o il corpo femminile e instabile di Dio.
Nou=ò
Questo Dio-Macranthropos si configura, comunque, come che, emergendo dall’Abisso del
Principio, riflette su di sé e, pensandosi, si articola in una pluralità di eoni, persone, logoi, intelletti. Il
Dio-Uomo è un Intelletto di intelletti, ove – si tenga presente la trasformazione giudeocristiana della
nozione di immagine greco-platonica, dalla quale eravamo partiti – la perfezione del divino è rivelata
niente affatto dall’ordine cosmologico, ma unicamente dall’interiorità antropologica. Il Dio supremo non
domina arconticamente su un mondo che ha prodotto o razionalmente ordinato (come farà il Demiurgo
derivato dalla crisi che scinde il pleroma divino), ma diviene una sola cosa con la totalità della filialità
intellettuale da lui generata. L’immagine non è più il riflesso mondano della forma razionale (il mondo
come l’Unigenito divino visibile), ma l’immagine è l’uomo eternamente amato come Figlio/figli dal
Nou=ò
Padre (il come l’Unigenito divino del tutto immateriale). Per i valentiniani, in particolare, il
Nou=ò 26
Unigenito è Cristo Immagine assoluta del Padre, l’Uomo a lui perfettamente consustanziale,
all’interno del quale l’intera semenza del pleroma spirituale è concentrata e dal quale sarà
progressivamente emanata, formata, intellettualmente riunificata. Il Nous Unigenito è quindi l’Immagine
27
mediatrice nella quale si concentra e diviene tutto il pleroma, il quale è l’intera filialità spirituale
riassunta nel personaggio femminile di Spirito Santo-Sophia, al tempo stesso ultimo approdo della
pleromatica moltiplicazione degli eoni e origine dell’effusione – più o meno traumatica – della sostanza
spirituale al di fuori del pleroma stesso.
23 La complicatissima architettura del pleroma valentiniano è quindi riassumibile nel rapporto trinitario del 1) Padre-
Abisso/Madre-Ennoia con 2) il Figlio-Unigenito/Logos-Uomo Primogenito che prima emana, quindi forma 3) la totalità del pleroma
femminile, Vita-Chiesa-Spirito-Sophia. Sophia peccatrice (non a caso sdoppiata in una Sophia infrapleromatica immediatamente
redenta e in una Sophia espulsa dal pleroma, redenta dalla rivelazione chenotica del Salvatore) rappresenta, quindi, la matrice degli
intelletti pleromatici ed extrapleromatici, quindi la totalità dello spirituale corpo (in quanto tale debole, defettivo, passibile,
femminile) di Cristo.
24 E’ questa la decisiva confessione antimonoteistica (coincidente con la stessa rivelazione della gnosi salvifica e la
manifestazione dell’Immagine dell’Uomo celeste) che viene proclamata dal pleroma e contrapposta, in Apocrifo di Giovanni 14,14-
15, all’autoesaltazione monoteistica propria dell’Arconte (che riprende le grandi affermazioni monoteistiche veterotestamentarie, da
Isaia 45,5 a Esodo 20,5 e 34,14), in ApocrGv 11,20-21 e 13,8-9. Cf. la perfettamente corrispondente notizia relativa ai barbelo-
gnostici trasmessaci da I , AdvHaer I,30,6: «Ialdabaoth [il Demiurgo del mondo sensibile, figlio abortivo di Sophia] ,
RENEO
esultando e glorificandosi di tutto ciò che era al di sotto di lui, disse: “Io sono il Padre e Dio e nessuno è al di sopra di me”. Ma la
Madre, udendolo, gli gridò: “Non mentire, Ialdabaoth, infatti al di sopra di te c’è il Padre di tutti, il Primo Uomo, e l’Uomo Figlio
dell’Uomo”». I testi gnostici tramandatici dagli eresiologi cristiani sono qui citati nell’edizione e nella traduzione di M. Simonetti,
Testi gnostici in lingua greca e latina, Milano-Verona 1993(2); i testi copti di Nag Hammadi sono qui citati nella traduzione di L.
Moraldi, Testi gnostici, Torino 1982.
25 Per l’interpretazione della proclamazione «Esiste l’Uomo e il Figlio dell’Uomo», come reduplicazione e anticipazione
pre-storica della prima teofania storica di Dio in Cristo al battesimo sul Giordano (si ricordi la voce che discende dall’alto: « Questi
è il mio Figlio prediletto, oggi ti ho generato»), cf. G. L , La teofania sulle acque: il fondamento cristologico del mito
ETTIERI
gnostico, «Cassiodorus», I, 1995, pp. 151-165.
26 Nou=ò
In tutta la tradizione valentiniana, è definito il Figlio Unigenito del Prepadre Abisso e della Madre Ennoia-
Silenzio; proprio nel Nous, il Padre emana la totalità della sostanza spirituale informe, che a partire dalle emanazione del Nous
comincia ad acquisire la propria formazione, prima secondo la sostanza, poi secondo la gnosi. Cf., ad esempio, I , AdvHaer
RENEO
I,1,1-2,1. Sull’identificazione del Figlio con il Nous primogenito, quindi apparso come Cristo e comunque «incognitus omnibus», cf.
la notizia su Basilide di I , AdvHaer I,24,3-6. Nella notizia su Basilide dello P -I , Elenchos VII,21,2, la raffinata
RENEO SEUDO PPOLITO
oujk wjVn qeovò)»,
teologia negativa relativa al «Dio che non esisteva (oJ identificabile con il Prepadre valentiniano (egli stesso
precedente il Nous), gli nega esplicitamente le caratteristiche dell’aristotelico «pensiero di pensiero»: la stessa genesi del seme del
ajnohvtwò.
mondo (donde la triplice filialità basilidiana) è operata Nel Salmo dei Naasseni sull’anima, il Nous primogenito è il
principio generatore dell’universo: cf. P -I , Elenchos V,10,2. Invece, nella sethiana Parafrasi di Seth, riportataci dallo
SEUDO PPOLITO tevleioò nou=ò)»,
P -I , Elenchos V,19-20, è definita «Intelletto perfetto (oJ «Dio perfetto» (V,9,15 e 20), la sostanza
SEUDO PPOLITO
spirituale generata del Padre delle tenebre (ma a lui superiore, perché identificabile con un raggio di luce disceso dalla Potenza della
Luce), da lui tenuta prigioniera nella sostanza materiale.
27 CristoVn eijkovna tou Plhrwvmatoò ejkavlesen)»
«Teodoto chiamò Cristo… Immagine del Pleroma (toVn (C LEMENTE
’A , Excerpta ex Theodoto 32,2).
D LESSANDRIA 9
Ma perché il Nous Immagine, il Figlio eternamente generato e amato dal Padre, si ritrova ad
essere fuori di sé? Perché la filialità spirituale (la Donna-Spirito Santo-Sophia), pecca, cade fuori del
28
pleroma, corrompendosi in idolo e contraffazione del Padre, originando il Demiurgo psichico,
divenendo infine prigioniera della materia? La risposta a questi interrogativi è, ancora, cristologica: la
matrice cristiana dello gnosticismo non può consentire che Dio permanga entro se stesso. Se il pleroma è
il Nous-Immagine come Figlio dell’Uomo, questi non può che radicare in sé, cristologicamente, le
vicende dell’uomo (della stessa coppia genesiaca Adamo-Eva e del suo destino di alienazione, peccato,
morte), riassorbite come eterna traccia di una debolezza, di una spirituale corporeità o carnalità
(femminile), di un’instabilità paziente, che rivelano Dio stesso (ovvero una sua persona o maschera) come
peccatore, bisognoso di divina redenzione. Se in Cristo, Dio si rivela come Dio che è uomo, e se –
nell’uomo Gesù si dà la rivelazione che – Dio patisce, evidentemente in Dio si dà anche la debolezza, il
peccato, l’alienazione propria dell’uomo. Antropologizzato, Dio diviene scisso in se stesso: l’Intelletto
cade, l’Immagine si oscura, Dio esce da Dio, degradato in una sua contraffazione idolatrica (l’Arconte, il
Demiurgo). Il Nous divino, l’Immagine del Padre, articolata in pleroma intellettuale, proprio perché filiale
antropologizzazione dell’Assoluto, si rivela un’Immagine chenotica e scissa, caratterizzata dall’esigenza
della dilatazione al di fuori di sé, dalla rottura della fissità dell’identità, dall’“incarnazione” nell’alterità.
La componente dinamica e instabile dell’Immagine, lo Spirito-Sophia, cade al di fuori del divino,
generando prima l’ambigua medietà della natura psichica (la vitalità razionale dell’anima, separata dalla
sua profonda identità intellettuale e divina), infine la materia, il corpo, ciò che è del tutto contrario
29
all’intellettuale purezza della propria profonda identità. Le tre diverse nature, nettamente differenziate e
irriducibili l’una all’altra, materializzano i tre differenti destini dell’uomo: quello della natura ilica o
corporea, dominata dalle passioni inferiori, destinata alla vanità e all’annientamento finale; quello della
natura psichica, cioè di un’anima razionale capace di libertà, conversione e perfezionamento, persino di
salvezza escatologica, comunque esterna rispetto al pleroma, in quanto priva della consustanzialità con il
30
divino, sempre avvertito come altro e separato; infine quello esclusivo della natura pneumatica (il
nou=ò più intimo dell’anima che la nasconde e che trascende) predestinata al ritorno all’origine, alla
reintegrazione nel pleroma, all’intima unione ontologica e mistica con Dio. Se il Figlio è Intelletto, il
destino di tutte i semi spirituali extrapleromatici è, infatti, quello di diventare tutti intelletti, cioè tutti figli
nel Figlio, cristi nel Cristo, dio in Dio:
«[I valentiniani] affermano che tutti gli eoni sono stati resi uguali per forma e volere e sono diventati tutti Intelletti
Novaò),
(pavntaò tutti Logoi, tutti Uomini e tutti Cristi e similmente gli elementi femminili tutte Verità, tutte Vite, tutti
Spiriti e tutte Chiese. Con ciò tutti gli eoni rafforzati e introdotti nel riposo, infine con grande gioia innalzano un inno in
onore del Prepadre, tutti pieni di letizia» (Grande notizia valentiniana, in I , AdvHaer I,2,6).
RENEO
Se razionalizzato e demitologizzato, davvero lo gnosticismo si rivela come la raffigurazione
della mente cristiana, della sua paradossale identità e del drammatico processo (rappresentato dalle
vicissitudini di Sophia) attraverso il quale essa conosce se stessa: spirito prigioniero della materia,
chiamato da Cristo alla gnosi della propria identità spirituale e divina, si scopre appesantito dal suo
psichismo, che lo induce a rappresentazioni razionali di Dio ancora esteriori, materiali, servili, quindi
28 Significativamente, ExcTh 15,5 identifica lo stesso Demiurgo con l’Immagine del Figlio; ne consegue una visione
negativa dell’intero ambito dell’immagine: «Dicono il Demiurgo immagine dell’Unigenito; perciò sono corruttibili le opere
eijkwvn
dell’immagine». Così, in ExcTh 47,2-3 non solo il Demiurgo emesso da Sophia è definito dello stesso Padre trascendente,
ma anche in ambito cristologico, al Salvatore pleromatico disceso dal pleroma si unisce il «Cristo psichico, immagine del Figlio»,
generato dallo stesso Demiurgo come redentore della sostanza psichica: cf. ExcTh 59; 61-62.
29 Evidente risulta la dipendenza della dottrina gnostica delle tre nature antropologiche da un’esegesi ontologizzante di
1Tess 5,23; del tutto infondata risulta la tesi inversa, che pure oggi appare maggioritaria, che vuole Paolo dipendente, in proposito,
Yuchv yucikovò
da una preesistente gnosi dualistica. Sul problema, cf. il prezioso saggio di M. S , e nella gnosi
IMONETTI
valentiniana, «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa», II, 1966, 1-47, quindi in Ortodossia ed eresia…, 141-203.
30 Al contrario, per una rara interpretazione della scintilla divina come universale, potenziale capacità dell’immagine
umana di identificarsi con l’Immagine divina, cf. la notizia sui simoniani dello P -I , Elenchos VI,14,4-6: lo Spirito che
SEUDO PPOLITO
th=ò ajperavntou dunavmewò),
vaga sulle acque di Gen 1,2 è identificato con «l’Immagine della Potenza infinita (eijkwVn di cui
Simone dice: “Immagine da forma incorruttibile, che dispone da sola tutte le cose”», identificabile con la Sophia o il Logos,
insomma con la forza operante e creatrice del Dio trascendente, di cui Simone è la manifestazione. L’uomo, creato da Dio « non
semplice ma duplice, secondo l’immagine e la somiglianza», deve quindi perfezionare la sua immagine potenziale, identificandosi
con l’Immagine-Spirito: «Se l’uomo non diventa immagine, sarà annientato insieme col mondo, essendo rimasto solo in potenza e
non essendo diventato in atto… Se invece diventa immagine e nasce da un punto indivisibile, il piccolo diventerà grande, e come il
grande esisterà per l’infinita e immutabile eternità, non più soggetto al divenire». Pertanto, «se diventa immagine, egli sarà in
essenza, potenza, grandezza, perfezione una sola e identica potenza con la Potenza ingenerata e infinita e non avrà niente in meno
di quella Potenza ingenerata, immutabile e infinita. Ma se… egli resta solo in potenza e non diventa immagine, allora viene
distrutto e scompare» (VI,12,3-4). 10
alienanti. La distruzione dell’ilico, il superamento dello psichico, la formazione gnostica dello spirituale,
sono gli atti attraverso la quale la mente ritrova se stessa, si ridentifica convertendosi dalle sue
Nou=ò,
alienazioni, torna ad essere intima Immagine di Dio, Figlio eternamente amato dal Padre. O,
meglio, sua carne e corpo spirituale, sua femminile compagna di sizigia, oggetto dell’eterna intenzionalità
31
di incarnazione del Figlio: immagine nell’Immagine, logos nel Logos, mente nella Mente.
La platonizzazione del paolinismo parrebbe, insomma, sistematica e radicale. La grazia è
oujsiva fuvsiò,
divenuta essere divino, eterna trascendente, il carisma dello Spirito si è irrigidito in natura;
gnw=siò
la paradossale sapienza di Dio è divenuta dei misteri teogonici; la carne impotente, eppure
nou=ò,
spiritualizzata, è divenuta eone o persona divina; l’evento escatologico è divenuto recuperata
identità protologica. Così la storia della salvezza pare dissolta in metafisica, l’economia temporale risulta
miticamente spazializzata e dualisticamente teologizzata. Il vecchio, la legge, l’ordine del cosmo, il
terreno – nelle sue due componenti ilica e psichica – sono ipostaticamente riassunti in un dio inferiore ed
ignorante, nel quale il Demiurgo platonico e il geloso, violento Dio giudaico vengono fusi. Il Dio di
Cristo pare essere soltanto il Dio che è al di là, nascosto in una trascendenza assoluta, acccessibile
nou=ò
soltanto per il consustanziale spirituale. Eppure, in questa metafisica riduzione dell’annuncio del
nuovo Dio cristiano, sclerotizzato in divinità metadivina, in questa ontologizzazione della rottura
escatologica del tempo mondano, immobilizzata in un’eterna origine spazialmente separata, rimane
ancora lontanamente percepibile il gesto anarchico e apocalittico del chenotico Dio d’amore paolino e
giovanneo, alterato in sé dalla rivelazione della Filialità, dall’intimità assoluta dell’Immagine. E, in
effetti, il platonismo risulta radicalmente stravolto, in effetti subordinato alla determinante matrice
cristiana dello gnosticismo (come testimonia inequivocabilmente la violenta polemica antignostica di
Plotino). La manifestazione di Dio è una rivelazione: al progressivo dinamismo della diffusione della luce
del divino platonico, si sostituisce un processo quasi schizofrenico, violento e sublime, che procede per
catastrofi, salti, fratture: Dio ama e desidera, si aliena da sé, ha bisogno di redenzione, patisce, si strugge,
si converte, invoca, riceve estasiato la rivelazione della nuova parola di salvezza, è redento, assunto e
riunificato nel pleroma. Non ciclici, ordinati e regolari movimenti discensivi e ascensivi, ma il dramma
della soggettività inquieta, il peccato, lo smarrimento, la morte, la resurrezione, insomma l’odissea della
mente umana (con tutto il suo psichismo e il suo somatismo) divenuta Assoluto.
La stessa nozione gnostica di immagine antropologica non può non risultare ambigua,
drammaticamente contraddittoria, schizofrenica persino: è, al tempo stesso, rivelazione di pienezza e
idolo alienante, manifestazione di salvezza e meccanismo di prigionia, visione liberante e illusione
arcontica. L’immagine è scissa in luce e tenebra, in intimità con Dio e produzione di un essere che è nulla
e che al nulla è predestinato. Pensiamo alle tante varianti gnostiche del mito della creazione demiurgica di
Adamo, creato ad immagine e somiglianza di Dio. Ma di quale Dio? E qual è il rapporto tra immagine e
nou=ò? La creazione dell’uomo è sempre interpretata come evento massimamente contraddittorio,
conflittuale e rischioso, al tempo stesso dannatore e salvifico. Essa viene avviata, in gran parte dei miti
gnostici, dalla rivelazione di «un’immagine luminosa discesa dall’alto» di Uomo, che, manifestata per
redimere e “battezzare” la Sophia extrapleromatica e per affermare la trascendente perfezione del Dio
nascosto, si riflette sulle materiali acque cosmiche. Nell’Apocrifo di Giovanni, il più importante e
autorevole dei testi gnostici a noi pervenuti, il «Primo Uomo, l’Immagine dello Spirito invisibile» (6,3-4),
è manifestato nel mondo inferiore: «Il Padre del tutto… manifestò loro chi è il Primo Uomo, poiché la
sua somiglianza fu manifestata in un aspetto umano» (14,21-24); è la rivelazione di quest’immagine,
accompagnata alla voce che discenda dal pleroma proclamando «Esiste l’Uomo e il Figlio dell’Uomo», ad
avviare la creazione arcontica di Adamo, ambiguamente «conforme all’immagine di Dio», ma anche
«conforme alla nostra [degli arconti] somiglianza, di modo che la sua immagine splenda per noi» (15,2-
4). Questa redentiva antropoteofania fornisce, infatti, agli arconti il modello a partire dal quale avviare la
creazione del suo idolo umano, plasmato perché possa rimanere in potere dei suoi creatori, esaltandone la
32
potenza e permettere, in qualche modo, la cattura del suo stesso archetipo. Comunque, la creazione
31 «Di qui gli elementi spirituali deposte le anime, insieme con la Madre che conduce lo Sposo, anch’essi conducendogli
sposi, cioè i loro angeli, entrano nella camera nuziale entro il Limite e vengono alla vista del Padre, diventati eoni intellettuali
noeroiV genovmena)
(aijw=neò per le nozze intellettuali ed eterne della sizigia» (ExcTh 64).
32
«Hominem angelorum esse facturam, desursum a summa potestate lucida imagine apparente, quam cum tenere non
potuissent, eo quod statim recurrerit sursum, adhortati sunt semetipsos, dicentes: “Faciamus hominem ad imaginem et
similitudinem”» (I , AdvHaer I,24,1, su Saturnino). La notizia pseudo-ippolitea riferita ai Naasseni conferma, per molti
RENEO
aspetti, il mito attribuito da Ireneo a Saturnino: Adamo è creato dagli arconti come idolo materiale, «immobile, fermo come una
ejkeivnou tou= ajvnw ajnqrwvpou)…
statua, immagine dell’Uomo superiore (eijkwvn l’essere plasmato del grande perfettissimo
plavsma tou= megavlou kaiV kallivstou kaiV teleivou ajnqrevpou)»
perfetto Uomo (toV (P -I , Elenchos V,7,6-7); la
SEUDO PPOLITO
11
arcontica è soltanto materiale, operata tramite il fango della terra (cf. Gen 2,7); Adamo tutt’al più è
animato dal soffio psichico consustanziale al Demiurgo. Soltanto un ulteriore intervento del Dio supremo
(dell’Uomo-di-Luce-Figlio-Immagine o di Sophia-Spirito Santo) permette alla creatura del Demiurgo di
nou=ò,
ricevere un soffio trascendente, la vita superiore, il seme spirituale consustanziale a Dio, il che
33
rende, malgrado la sua temporanea schiavitù ed alienazione, la creatura superiore al suo stesso Creatore:
«Cose vive (zw=nta) dicono i logoi, le menti (novaò), gli uomini, le perle di quell’Uomo senza figura (tou=
34
ajcarakthrivstou), frutti gettati nella creazione» (Predica dei Naasseni in P -I , Elenchos V,8,32).
SEUDO PPOLITO
Di grande importanza una breve notizia di Valentino (il caposcuola della tradizione gnostica più
imponente e speculativamente profonda), come risulta da un testo (=I frammento) riportato da Clemente
Alessandrino, Stromati II,36,2-4, da interpretare come attestazione della diffusa esegesi gnostica di Gen
1,26-27, cui abbiamo fatto sopra riferimento. Il Dio trascendente, irrompendo nel kenoma come «Nome
dell’Uomo», ovvero rivelando la divina identità del Figlio, sbigottisce gli angeli creatori ed inserisce
th=ò ajvnwqen oujsivaò)»,
nell’Adamo terreno da loro creato «il seme della sostanza superiore (spevrma
sì che gli angeli provano «timore (fovboò)» al cospetto di Adamo, che pur essendo loro creatura,
manifesta l’«Uomo preesistente… che stava dentro di lui»; anche in questo caso, l’immagine (del Nome
dell’Uomo) creata dagli angeli è superiore, per la sua intima identità divina, ai suoi creatori. Ritengo che
in relazione a questo I frammento vada letto – contro l’interpretazione che ne offre lo stesso Clemente –
anche un altro frammento (il V) di Valentino, riportato anch’esso in Stromati IV,89,6-90,1: zw=ntoò
«Su questo Dio dice cose oscure scrivendo così: “Quanto l’immagine è inferiore al Volto vivente (tou=
proswvpou), tanto il mondo è inferiore all’Eone vivente. Qual è la causa dell’immagine? La maestà del Volto che ha
offerto al pittore il modello, affinché ricevesse onore per mezzo del Nome di lui: infatti non c’è (nella immagine) la vera
forma (morfhv), ma il Nome ha colmato ciò che mancava nella creazione. Così l’invisibilità di Dio coopera alla fede di
ciò che è stato creato”».
Mentre Clemente – che definisce oscura l’allegoria di Valentino, quindi non ne possiede
l’interpretazione, tentandone una propria – identifica l’immagine con il Demiurgo e il pittore con Sophia,
preferirei scorgere nel pittore il Demiurgo stesso, ovvero lo strumento di Sophia, ma soprattutto
nell’immagine l’uomo creato dagli angeli, sotto la nascosta ispirazione di Sophia. La contestualizzazione
35
del frammento sarebbe, quindi, antropogonica e non cosmogonica, rivelando una notevole
corrispondenza con quanto sopra rilevato in riferimento al I frammento: l’uomo è l’immagine del Volto
trascendente (ovvero del Nome dell’Uomo), creata dagli angeli del Demiurgo (il pittore), che viene però
colmata dalla rivelazione del Nome, la causa suprema e finale dell’uomo, che introduce qualcosa di
morfhv)
assolutamente trascendente e invisibile (la nella creatura inferiore. L’immagine creata
(ontologicamente inferiore all’eterno Modello divino) si rivela, pertanto, una realtà massimamente
ambigua, in quanto – pur se di origine demiurgica, quindi psichica – è per grazia del Dio superiore capace
di ospitare in sé la stessa sostanza spirituale e divina. Come scrive Tolomeo a Flora, «è della natura del
oJvmoia eJautw/= kaiV oJmoouvsia)», 36
Bene generare e produrre cose simili e consustanziali a sé (taV
ove evidentemente la somiglianza di Gen 1,26 è interpretata come trascendente l’immagine e identica alla
oujsiva
stessa divina.
Negli Excerpta ex Theodoto, il testo valentinano sicuramente più complesso e profondo tra tutti
quelli pervenutici, incontriamo in 21,1-3, un’interpretazione di Gen 1,26-27 assai diversa, in quanto
potenza dell’immagine è comunque tale da indurre il Figlio a discendere in essa, animando Adamo, ma al tempo stesso patendo
sofferenza e servitù; il Figlio disceso e sofferente rappresenta ogni spirituale, imprigionato nella creazione demiurgica (cf. V,7,30),
ma «in tutto consustanziale (oJmoouvsioò) all’Uomo primigenio» (V,8,10), che in quanto Logos opera la redenzione della sua
immagine prigioniera. Per una variante del mito della creazione di Adamo, cf. la notizia relativa ai cosiddetti barbelognostici
riferitaci da I I,30,6: gli arconti – sempre ispirati da una teofania divina, in questo caso da una «nova vox et inopinabilis
RENEO
nuncupatio» – vogliono creare l’uomo non ad immagine dell’Uomo celeste, ma a loro propria immagine, venendo comunque
manovrati da Sophia, che riesce, tramite il Demiurgo, a trasmettere all’uomo creato lo «spiritu vitae… hominem autem inde
habuisse nun et enthymesin; et haec esse quae salvantur, dicunt et statim gratias agere eum Primo Homini, relictis fabricatoribus».
33 «Qui cum factu esset (homo), et non potuisset erigi plasma propter imbecillitatem angelorum, sed quasi vermiculus
scarizaret, miserantem eius desuper Virtutem, quoniam in similitudinem eius esset factus, emisisse scintillam vitae, quae erexit
hominem et articulavit et vivere fecit» (I , AdvHaer I,24,1, su Saturnino).
RENEO
34 nou=ò
Sul come realtà divina discesa dall’alto e divenuta, nell’uomo, prigioniera della creazione inferiore, cf. ancora la
Parafrasi di Seth, in P -I , Elenchos V,19,15.
SEUDO PPOLITO
35 Si noti che, in HomGen XIII,4, Origene riprende l’immagine del pittore (pur se antignosticamente identificato con il
Logos Demiurgo) proprio in senso antropogonico.
36 Cf. E , Panarion XXXIII,7,8.
PIFANIO 12
l’intera creazione dell’uomo ad immagine è attribuita all’emanazione pneumatica di Sophia e non prevede
l’intervento del Demiurgo. L’immagine androgina viene identificata con il seme spirituale, interpretando
l’elemento maschile (Adamo) come riferito al Logos e alla natura spirituale angelica, oggetto di elezione,
mentre quello femminile (Eva) come riferito a Sophia Achamoth e alla natura spirituale umana, bisognosa
di perfezionamento e formazione secondo la gnosi, quindi oggetto di chiamata. D’altra parte, in ExcTh
54,1-2, l’uomo terreno è identificato con l’uomo ad immagine, quello psichico come l’uomo a
somiglianza, mentre si afferma che l’uomo spirituale è del tutto a sé; al punto che la razza umana logica è
identificata con quella psichica e subordinata a quella spirituale.
Perché, dunque, queste fluttuazioni? Sono gli stessi testi biblici che sorreggono queste sfrenate
esegesi a presentarsi come densi di ambiguità e persino di contraddizioni. Basti pensare ai due diversi
racconti della creazione dell’uomo in Gen 1,26-27 e 2,7; al passaggio dal singolare “Dio disse” al plurale
“Facciamo”, in Gen 1,26-27, ove Dio dichiara di voler creare l’uomo ad immagine e somiglianza, ma poi
lo crea soltanto ad immagine; all’evidente prospettiva antropomorfica del racconto, che si conclude nella
creazione di un essere androgino, cioè di un singolare che diviene plurale; alla complessa sovrapposizione
37
di componenti antropogoniche: l’immagine, la somiglianza, il fango della terra, il soffio di Dio.
Comunque, per quanto riguarda le varie esegesi gnostiche di questo contesto, il racconto risulta
sistematicamente sdoppiato: il plurale non rivela soltanto la varietà dei soggetti, ma anche il dualismo di
piani teologici coinvolti (Sophia, il Redentore, il Padre, il Nous-Uomo sua Immagine, tutto il pleroma;
oppure il Demiurgo e i suoi arconti); i termini immagine e somiglianza si prestano ad una molteplicità di
riferimenti, veicolando un atto di creazione puramente estrinseca, tutt’al più psichica, come un atto di
vivificazione intima, ontologica, spirituale. Se l’immagine è identificata con il nous, con la divina
sostanza intelligente, quindi con la recezione della filialità assoluta, essa comunque rivela un divino
drammaticamente chenotico, la cui identità risulta inseparabile dall’ombra dell’immagine psichica e
passionale: è la stessa natura cristologica, divino-umana dell’Immagine, a determinare l’ambiguo destino
della sua immagine extrapleromatica, quindi il coesistere, nell’uomo divino, di nature diverse, di genesi
diverse, di diversi destini. L’antropomorfa Mente Immagine non si dà, cristologicamente, senza la sua
carne spirituale (Sophia) e il suo corpo peccaminoso (il Demiurgo e le nature psichica ed ilica), quindi
senza, da una parte, un mistero di elezione, redenzione, assunzione e, dall’altra, un mistero di reiezione e
distruzione.
III – O : “ ”
RIGENE LA MENTE IMMAGINE ONTOLOGICA
nou=ò
La dottrina origeniana del (mens, nella traduzione rufiniana) può essere compresa soltanto
se rapportata al modello gnostico, nei confronti del quale l’autore del De principiis si pone in una
38
relazione di continuità e di rottura, quindi di superamento, nella scia di Clemente, il grande iniziatore
39
della gnosi cattolica alessandrina. Infatti, da una parte il sistema origeniano intende superare in
profondità, per intelligenza mistica, lo gnosticismo, giudicato prigioniero di un dualismo teologico e
antropologico contraddittorio, ingenuo e “materiale”, oltre che empio; d’altra parte, Origene condivide
con la gnosi eretica la sistematica ontologizzazione del carismatico, quindi l’interpretazione noetica del
Vangelo come gnosi cristologica. Cristo, operando l’economia di salvezza delle menti decadute, rivela lo
stesso eterno, intimo mistero di Dio, sicché la cristologia è certo la rivelazione della redenzione storica,
ma è anche e più profondamente il segreto mistico dell’eterno divenire di Dio in sé e fuori di sé,
noveò, lovgoi logivkoi
all’interno del quale soltanto si spiega l’apparire di quei divini o – in ambito
37 Per una limpida introduzione all’esegesi patristica cattolica e gnostica della creazione di Adamo, cf. A. O ,
RBE
Introducción a la teología de los siglos II y III, Roma 1987, tr. it. La teologia dei secoli II e III. Il confronto della Grande Chiesa
con lo gnosticismo, Casale Monferrato 1995, I-II, il cap. “Creazione dell’uomo”, I, 254-273.
38 nou=ò
Cf., in proposito, G. L , Il mistico. Il superamento origeniano dello gnosticismo nel “Commento a
ETTIERI
Giovanni”, in E. Prinzivalli (ed.), Il Commento a Giovanni di Origene: il testo e i suoi contesti, di prossima pubblicazione.
39
Mi pare sufficiente citare tre soli passi di Clemente, nei quali la teologia dell’immagine origeniana è tutta
Nou=),
sinteticamente anticipata: «Immagine (eijkwvn) di Dio è il suo Logos – è Figlio autentico della Mente (tou= il divino Logos,
ajrcevtupon fw=ò) nou=ò)
è luce archetipo della luce (fwtoVò –, immagine (eijkwvn) del Logos è l’uomo vero, cioè la mente (oJ
che è nell’uomo, il quale per questo è detto creato “a immagine e somiglianza di Dio”, poiché per l’intelligenza del suo cuore è
reso ad immagine (pareikazovmenoò) del Logos divino e perciò razionale (logikovò)» (C ’A , Protrettico
LEMENTE D LESSANDRIA
tou= nou= eijkonismovò)
X,98,4). «Intelligente (noerovò) è il Logos di Dio, per cui l’immagine dell’intelletto (oJ si ha solo
nell’uomo: onde l’uomo retto ha forma e aspetto di Dio (qeoeivkeloò) nell’anima e a sua volta Dio ha forma umana, poiché la
nou=ò),
forma (eij=doò) di ciascuno è l’intelletto (oJ da cui siamo caratterizzati» (Stromateis VI,9,72,2). «Immagine di Dio è il
eijkovnoò
Logos divino e sovrano – Uomo non soggetto a passioni –, immagine dell’immagine è la mente umana (eijkwVn
ajnqrwvpinoò nou=ò)» (Stromateis V,14,94,5-6). 13
antropologico i termini sono perfetti sinonimi – che, sin dal principio e nel principio (cioè ab aeterno e in
se stesso!), il Logos-Immagine crea come proprie immagini, quindi, mediatamente, come immagini del
40
Padre. L’antropologia origeniana è, quindi, radicata nella dialettica infradivina tra Padre e Figlio
Nou=ò
Unigenito. Il Padre è Enade o Monade assolutamente semplice e incomprensibile, supremo, Luce
41
primaria, talmente semplice e pura, da essere assolutamente invisibile, inaccessibile e incomprensibile
42
per qualsiasi mente creata, per quanto pura questa possa essere; al punto, che lo stesso Figlio non può
43
vederlo in se stesso, ovvero può conoscerlo soltanto parzialmente. Come indica il Prologo del Vangelo
oJ qeovò,
di Giovanni, soltanto il Padre è la fonte prima e assoluta della divinità. Il Figlio –
subordinisticamente concepito, in continuità con il modello medioplatonico del secondo dio e quello
qeovò,
gnostico del Figlio Intelletto del Padre Abisso – è invece soltanto in quanto riceve in dono dal
Padre la sua divinità. Proprio in quanto Dio generato, derivato, il Figlio è ipostasi divina mediatrice: egli è
44
l’Uno-molteplice, l’Identico-diverso, l’Immobile-movimento, l’Immagine assoluta che apre all’alterità
delle creature la partecipazione alla divinità, quindi all’essere, all’intelligenza, alla vita, alla luce, dei
quali il Padre è prima, assoluta scaturigine:
«Il Figlio può anche essere il Logos in quanto annunzia i segreti di quel Padre, il quale è Intelletto (Nou=ò) per
lovgoò ajvggelovò ejsti)
analogia con l’appellativo di Logos dato al Figlio. Come presso di noi il logos annunzia (oJ ciò
uJpoV tou= nou= oJrwmevnwn),
che è contemplato dall’intelletto (tw=n così il Logos di Dio rivela il Padre che egli
45
conosce, dal momento che nessuna creatura può slanciarsi (prosbalei=n) verso di lui senza una guida» (CmGv I,277).
Logos è, comunque, una epinoia o denominazione secondaria dell’ipostasi divina del Figlio,
relativa alla sua modalità mediatrice. Questa presuppone, infatti, una modalità più originaria e profonda,
46
designata dall’epinoia Sophia: «Questa Sophia è concepita anteriore al Logos che la manifesta». La
denominazione di Sophia designa l’atto estatico del Figlio, sprofondato nella contemplazione
Nou=ò,
dell’Origine, dalla quale deriva la sua stessa ipostasi. Se, quindi, il Padre è puro il Figlio in
Sofiva Nou=ò-Immagine,
quanto può essere definito che accoglie in sé l’eterno scaturire delle verità dal
47
Padre-Uno. L’aprirsi del Figlio alle creature, ovvero il suo divenire Logos-principio-di-logoi (essi stessi
perigrafhv), ajrcevtupoò eijkwvn)»
48
dotati di individualità o «Immagine archetipa (hJ creatrice di
40 Sul tema della creazione dei noes-logoi come creazione eterna, mi limito a riportare alcune limpide affermazioni di
Daniélou: «Il mondo dei logikoi è coeterno al Logos. Questo è uno dei punti in cui la teologia di Origene è più inserita nella
cosmologia… Per lui, non esiste tempo in cui il Logos non sia stato… Ma poiché egli conserva la relazione del Logos ai logikoi,
sono allora i logikoi a diventare eterni… La necessità di un mondo eterno di creature spirituali affinché Dio possa esercitare alcuni
dei suoi attributi, è uno dei punti in cui l’influenza del medioplatonismo sulla dottrina di Origene appare in modo caratteristico… La
generazione del Logos è strettamente in connessione con la creazione delle nature spirituali» (J. D , Origène, Paris 1948, tr.
ANIÉLOU
it. Origene. Il genio del cristianesimo, Roma 1991, 306-307). Sul tema dell’immagine, ancora utile H. C , Théologie de
ROUZEL
l’image de Dieu chez Origène, Paris 1956.
41
«Non ergo corpus aliquod aut in corpore esse putandus est Deus, sed intellectualis natura simplex, nihil omnino in se
monavò,
adiunctionis admittens; uti ne maius aliquid et inferius in se habere credatur, sed ut sit ex omni parte et ut ita dicam
eJnavò, et Mens ac fons, ex quo initium totius intellectualis naturae vel mentis est» (DePrinc I,1,6). L’edizione dell’opera utilizzata
è O , Traité des principes, a cura di M. Simonetti e H. Crouzel, voll. I-II (SC), Paris 1978; la traduzione italiana dell’opera
RIGÈNE
utilizzata, e talvolta ritoccata, è quella di M. Simonetti, I principi, Torino 1968. oJ prw=toò nou=ò,
Per limitarci alla tradizione medioplatonica, sulla definizione del primo Dio come cf. A ,
LBINO
Didaskalikos X,3; XXVII,1.
42 «Et Iohannes in evangelio dicens: ”Deum nemo vidit umquam”, manifeste declarat omnibus, qui intellegere possunt,
quia nulla natura est, cui visibilis sit Deus; non quasi qui visibilis quidem sit per naturam et velut fragilioris creaturae evadat atque
excedat aspectum, sed quoniam naturaliter videri impossibilis est» (DePrinc I,1,8).
43 «Quia sicut Filius non videt Patrem, ita nec Spiritus Sanctus Filium videt» (DePrinc I,1,8, integrazione); cf. ComGv
XIII,151-153; XXXII,350.
44 Cf. DePrinc I,2,1: il Figlio Unigenito «multis quidem et diversis nominibus pro rebus vel opinionibus appellantium
nuncupatur»; la dottrina delle molteplici e diverse (termini carichi di pregnanza filosofica nella tradizione platonica; si noti la
definizione del Padre come semplice, enade, monade, in DePrinc I,1,6) epinoiai del Figlio presuppone appunto l’idea teologica della
mediazione tra la monade, l’enade trascendente del Padre e la molteplicità delle creature; il Figlio, cioè, è l’Uno-che-diviene-molti,
l’Identico-che-diviene-diverso, la Sophia-che-diviene-Logos, persino il Logos-che-diviene-uomo-e-carne, ovvero si presenta
secondo molteplici, diversi nomi, aspetti o atti creativo-redentivi. Egli è quindi l’ipostasi divina dinamica, che crea, accoglie in sé,
provvede, redime, recupera e infine riunifica in se stesso le creature razionali e libere. Così, in DePrinc I,2,4, Cristo-Sapienza è
detto dal Vangelo di Giovanni «via», in quanto accompagna, per redimerli, gli esseri contingenti decaduti, «conversi atque mutati».
Sul Figlio come colui che rivela il Padre, aldilà della sua tenebra o abisso, cf. ContraCelsum VI,17.
45 ComGv I,277.
46 ComGv I,289.
47 Cf. DePrinc I,2,3.
48 ComGv II,18. Cf. ContraCelsum VI,63-64; VIII,12; 17.
14
immagini, presuppone quindi un suo kenotico cessare di essere esclusivamente Sophia-Intelletto, un suo
primo sacrificarsi e incarnarsi, accettando di farsi anche Logos-Immagine, principio di mediazione che si
converte dal Padre alla molteplicità delle creature. Queste, comunque, non sono altro dal Logos, ma sono
altro fatto nel Logos e reso identico al Logos. Se, in polemica con lo gnosticismo, Origene afferma con
49
forza la non consustanzialità tra le menti create e il Logos creatore, in prossimità con il modello
gnostico, continua a concepire i logoi o i noes come intime articolazioni del Figlio, come eterno pleroma
spirituale. Le menti create sono, infatti, definite apertamente dèi in Dio, immagini della e nell’Immagine
50
del Dio supremo: la Potenza del Logos si relaziona ad una pluralità di intellettuali potenze divine, a
51
differenza dello gnosticismo create in se stesso e non emanate, che vivifica come loro vertice. Se,
nou=ò lovgoò ajvnqrwpoò, 52
quindi, – sulla base di Gen 1,26-27 – ogni o può essere chiamato può
qeovò,
altrettanto legittimamente essere definito anche proprio perché chiamato dal Logos a partecipare
intimamente, nel Logos stesso, alla sua natura di Immagine divina.
Nel Figlio, Intelletto che eternamente diviene Immagine, il mondo dell’intellegibile, delle forme
archetipiche del cosmo, è divenuto un mondo di atti intelligenti e liberi, un mondo di volti e persone,
ajvnqrwpoi qeoiv. L’eterno oggetto della volontà e della conoscenza del Padre e del Figlio è la stessa
nou=ò
mente personale creata: il finisce per essere riassorbito all’interno dell’intimità della filialità,
Nou=ò
sopraggiunge nell’atto eterno del divino e della sua binitaria articolazione, del suo articolarsi in
Nou=ò
dono, ricerca di intelligenza ed amore tra il Padre e il Figlio. E ciò contaminando la purezza del
aristotelico e medioplatonico, sicché la realtà intellegibile diviene il luogo di una paradossale, ibrida
communicatio – cristologicamente fondata – tra il contingente e il necessario, il derivato e l’assoluto, in
termini cristiani tra la creatura e il Creatore. Evidente risulta, in proposito, il debito e lo scarto origeniano
nei confronti della cristianizzazione dei modelli platonici operata dallo gnosticismo, che deprezza la
nozione di anima, mentre personalizza in eoni, cioè in ipostasi, persone, atti divini la pluralità delle forme
noveò,
intellegibili che articolano l’assoluta trascendenza medioplatonica; d’altra parte, Origene ripensa i
lovgoi Nou=ò
i come ipostasi divine create, il che accentua la paradossalità dialettica dell’ipostasi del
Immagine, in quanto la pluralità dello spirituale che genera e accoglie eternamente in sé è un’alterità
ontologicamente differente. Soltanto la radice cristiana può spiegare questa rivoluzionaria modificazione
genetica dell’organismo platonico, affermando: 1) l’esistenza di una realtà intellegibile, eterna, noetica,
49 Cf., ad esempio, ComGv II,137; e XIII,147-150, ove, contro Eracleone e lo gnosticismo valentiniano, si afferma essere
«il colmo dell’empietà chiamare consustanziali (oJmoouvsioi) alla natura non creata (ajgevnnhtoò) e beatissima» gli spirituali
(149). 50 qeovò)” Lovgoò)”
«Come vi è differenza tra “il Dio (oJ e “Dio (qeovò)”, così forse vi è differenza tra “il Logos (oJ e
qeovò)”,
“logos (lovgoò)”. Come il Dio dell’universo è “il Dio (oJ e non semplicemente “Dio (qeovò)”, così la fonte del logos che
Lovgoò)”,
è in ciascuno dei logikoí è “il Logos (oJ mentre non sarebbe esatto chiamare quel [logos] che è in ciascuno “il logos”
qeovò)
allo stesso titolo del “primo Logos”[…] Il Dio (oJ è Dio-in-sé (aujtovqeoò) […] All’infuori del Dio-in-sé, tutti quelli fatti
qeovò).
Dio per partecipazione alla divinità di lui si devono chiamare più propriamente “dio” (qeovò) e non “il Dio” (oJ Tra
questi, di gran lunga il più augusto (timiwvteroò) è il “Primogenito di ogni creatura” (Col 1,15), in quanto, in virtù dell’essere
spavsaò th=ò qeovthtoò eijò eJautovn),
presso il Dio, per primo trasse a sé la divinità (prw=toò […] divenuto poi ministro
(diakonhvsaò) di divinizzazione per gli altri dèi che sono dopo di lui…, attingendo da Dio e comunicando loro senza invidia
thVn aujtou= crhstovthta),
(ajfqovnwò), secondo la sua bontà (kataV perché fossero divinizzati… Il Logos che è in ciascun essere
dotato di logos ha, rispetto al Logos che è Dio e che è nel principio presso Dio, lo stesso rapporto (lovgon) che il Logos che è Dio
aujtovqeoò)
ha nei confronti di Dio. Il Padre, il Dio vero, il Dio-in-sé (oJ sta alla sua Immagine e alle immagini dell’Immagine (ed
è anche per questo che gli uomini non sono detti “immagini” di Dio, ma “secondo l’Immagine”), come il Logos in sé (oJ
aujtovlogoò) sta al logos che è in ciascun essere dotato di logos. L’uno e l’altro sono sorgenti: di divinità il Padre, di logos il
polloiv),
Figlio. E come ci sono molti dèi (qeoiV ma “per noi c’è un solo Dio, il Padre” (1Cor 8,5-6); e come ci sono “molti
kuvrioi), lovgoi),
signori” (polloiV ma per noi “un solo Signore Gesù Cristo” (1Cor 8,5-6), così ci sono molti “logoi” (polloiV ma
noi preghiamo che in noi si trovi il Logos che è nel principio e presso Dio, il Logos che è Dio… Il Logos che è Dio di coloro che si
fissano totalmente in lui» (II,14-24).
51 «E allo scopo di assumere il Logos come dotato di una propria individualità circoscritta (perigrafhv), quasi fosse vita
per se stesso, si deve parlare non solo di potenza, ma anche di potenze… Si dà il nome di potenze a certi esseri divini, viventi e
dotati di logos, tra i quali il più eccelso e migliore era Cristo, chiamato non solo Sapienza, ma anche Potenza di Dio (cf. 1Cor
1,24). E quindi, come sono molteplici le potenze di Dio, ciascuna secondo la propria circoscritta individualità – e il Salvatore le
supera tutte quante –, così anche Cristo, in quanto è Logos, si dovrà pensare come avente la sua ipostasi (uJpovstasin) nel
principio (cf. Gv 1,1), cioè nella Sapienza» (ComGv I,291). Si noti come, in questo passo, lo stesso termine di potenze (dunavmeiò)
qeou= duvnamiò);
sia cristologicamente fondato (Cristo è definito, in 1Cor 1,24, la natura di immagini dell’Immagine, propria dei
noveò duvnameiò, rende queste creature comunque divine, viventi, logiche, quindi omologhe al Logos, primo di un ordine logico
che si costituisce come eternamente a lui affine. «Omnes animae atque omnes rationabiles naturae factae sunt vel creatae, sive
sanctae illae sint, sive nequam; quae omnes secundum propriam naturam incorporeae sunt, sed et per hoc ipsum, quod incorporeae
sunt, nihilominus factae sunt… Manifeste ergo “in Christo et per Christum facta esse omnia et creata” pronuntiat [Paolo] sive
“visibilia”, quae sunt corporalia, sive “invisibilia”, quae non alia esse arbitror quam incorporeas substantivasque virtutes»
( DePrinc I,7,1).
52 Cf. ComGv II,144-148, cit. infra, nota 62. 15
ma creata, tratta dal nulla; 2) l’identificazione la sistematica risoluzione dell’intellegibile
53 54
nell’intelligente, cioè la totale personalizzazione, ipostatizzazione dell’intellegibile, degli «invisibilia»;
3) il radicamento, nell’eterna, necessaria perfezione divina, della contingenza.
Infatti, il Figlio non è solo mediatore onto-logico tra uno e molteplice (si pensi al Nous
55
plotiniano), ma soprattutto rivelatore sussistente della volontà del Padre, che nel Figlio vuole l’esistenza
di ciò che è ontologicamente inferiore, anzi inesistente; e ciò del tutto gratuitamente, senza alcuna ragione
di necessità, ma soltanto per libera elezione. Nel Figlio-Immagine, pertanto, le menti create sono insieme
analoghe al Figlio (appunto, logoi nel Logos) e, suo tramite, al Padre, ma anche equivoche rispetto ad
essi, in quanto introducono quegli elementi di instabilità, di contingenza, di accidentalità, di libertà, di
caduta, di temporalità, di materialità (sono menti che, cadendo, diventeranno anime e persino corpi
alienati), che l’assoluta autoreferenzialità del dio filosofico greco era riuscito a bandire completamente da
nou=ò
sé. Il immagine viene pensato – in un rapporto di continuità e al tempo stesso di netto distacco
lovgoò
rispetto allo gnosticismo – da una parte come ontologicamente congenere al Figlio, dall’altra come
creaturale, vita che eternamente sopraggiunge nel Logos creatore, come novità al tempo stesso non
necessaria, liberamente creata, ma proprio per questo divenuta ormai inseparabile dal Logos che l’ha
56 57
eternamente voluta produrre, farla fiorire in se stesso. Rispetto alla perfetta identità di sé con sé propria
del divino pensiero di pensiero aristotelico, capace di superare l’alterità tra soggetto e oggetto (modello
58
profondamente influente sulla tradizione medioplatonica), il Dio cristiano attiva in sé un’eterna
asimmetria paradossale, che ontoteologizza (ad imitazione del mito gnostico) il mistero di grazia rivelato
da Cristo, Dio che si fa uomo: la Mente-Immagine è Sophia che diviene Logos, pensa ed ama il suo corpo
spirituale, l’Assoluto che diviene relativo, la Luce che si rifrange nella pluralità degli sguardi delle
creature, il Figlio che vuole che il contingente partecipi del fulgore assoluto del Padre, tanto che il
Salvatore è definito come il vertice supremo e attivo, «Luce primogenita in persona» (ComGv I,165), ma
59
comunque come la parte di un tutto luminoso e intellegibile che è il pleroma delle intelligenze.
53 Anche A , De Genesi ad litteram XII,10,21, si schiera, pur prudentemente, con coloro che risolvono
GOSTINO
l’intellegibile nell’intellettuale.
54
Di grande interesse, in HomGen I, l’interpretazione della creazione originaria del mondo (intellettuale!) di cui tratta
Gen 1. Il cielo spirituale, ciò che Dio crea in principio, è identificato con la mens, cioè con l'«homo spiritalis»: «Cum enim omnia
quae facturus erat Deus, ex spiritu constarent et corpore, ista de causa in principio et ante omnia coelum dicitur factum, id est
omnis spiritalis substantia, super quam velut in throno quodam et sede Deus requiescit. Istud autem coelum, id est firmamentum,
corporeum est. Et ideo illud quidem primum coelum, quod spiritale diximus, mens nostra est, quae et ipsa spiritus est, id est
spiritalis homo noster qui videt ac perspicit Deum. Istud autem corporale coelum, quod firmamentum dicitur, exterior homo noster
est, qui corporaliter intuetur» (HomGen I,2). Il primo giorno della creazione è definito «dies una», ovvero come dimensione
originariamente perfettamente identica, del tutto non cronologica, rivelativa dell’eterna immanenza delle creature nel Logos
creatore. Sulla creazione dell’uomo ad immagine “in principio”, cf. HomGen I,7 e 13; DePrinc II,11,3; ContraCelsum VI,63.
55 «Si enim “omnia quae facit Pater, haec et Filius facit similiter” (Gv 5,19), in eo quod omnia ita facit Filius sicut
Pater, Imago Patris deformatur in Filio, qui utique natus ex eo est velut quaedam voluntas eius ex mente procedens. Et ideo ego
arbitror quod sufficere debeat voluntas Patris ad subsistendum hoc, quod vult Pater. Volens enim non alia via utitur, nisi quae
consilio voluntas profertur. Ita ergo et Filii ab eo subsistentia generatur [...] Sicut voluntas procedit e mente et neque partem
aliquam mentis secat neque ab ea separatur aut dividitur, tali quadam specie putandus est Pater Filium genuisse, imaginem scilicet
suam, ut sicut ipse est invisibilis per naturam, ita imaginem quoque invisibilem genuerit» (DePrinc I,2,6); cf. I,2,9; ComGv
XIII,228-231.
56
Sulla vita delle creature, eternamente sopraggiunta nel Logos, ma che – una volta creata – risulta inseparabile da lui
(ove l’eterna creazione dei logoi presuppone l’eterna creazione dell’ipostasi divina dello Spirito Santo, Vita creata inseparabile dal
Logos), cf. ComGv II,128-129: «Se, dunque, il Salvatore è alcune cose per altri, alcune forse soltanto per sé e per nessun altro o
per uno solo o per pochi, occorre esaminare se, in quanto è vita che è stata fatta nel Logos, egli sia vita per sé e per altri o solo per
auJtw=/ ajllaV
altri e, in questo caso, per quali altri… Il Salvatore, anche in quanto è vita, non è vita per sé ma per altri (oujc
eJtevroiò), per i quali è anche luce. Questa vita sopravviene (ejpigivnetai) al Logos, ma una volta sopravvenuta diventa
inseparabile da lui».
57 Sull’eterno fiorire della creatura nel Creatore, cf. CmGv I,262-264.
58 prw=toò nou=ò)
«Poiché il primo Intelletto (oJ è in grado eccelso bello, bisogna che anche il suo intellegibile sia in
grado eccelso bello, ma in nulla più bello di lui. Dunque, pensa se stesso e i suoi propri pensieri e questa sua attività (hJ
ejnevrgeia) è appunto l’Idea (ijdeva)» (A , Didaskalikos X,3).
LBINO
59 «Il Salvatore illumina gli esseri dotati di logos (logikoiv) e di parte dominante (hJgemonikoiv), perché il loro intelletto
ijvdia oJratav).
(nou=ò) possa vedere quelle che sono le realtà proprie della sua capacità visiva (taV Egli è quindi luce del mondo
logikw=n yucw=n)
intellegibile, voglio dire delle anime dotate di logos (tw=n che sono nel mondo sensibile e di ogni altro
possibile ordine di esseri che riempie quel mondo, da cui il Salvatore ci dichiara nel suo insegnamento di provenire, costituendone
toV kuriwvtaton)
forse la parte più eccelsa (mevroò e più nobile e, per così dire, il sole che dà origine al gran giorno del Signore…
ajswvmaton nou=n)
Il Salvatore, in quanto è luce del mondo, non illumina i corpi, ma l’intelletto incorporeo (toVn con una potenza
dunavmei),
incorporea (ajswmavtw/ affinché ciascuno di noi, quasi fosse illuminato da un sole, possa vedere anche gli altri
intellegibili» (ComGv I,161 e 164). 16
La nozione platonica di illuminazione (si pensi al Bene-Sole della Repubblica), cristianizzata
come relazione di dono personale, consente di riaffermare, pur se nell’ambito dell’insuperabile
asimmetria presupposta dal concetto di creazione, una dimensione di affinità, persino di congenerità tra la
60
Luce assoluta e gli intelletti che di essa partecipano, al punto che questi e quella possono essere definiti
61
come diverse specificazioni di una stessa natura intelligente e incorporea. Ove, in senso antignostico,
l’unica, ma determinante differenza tra Dio e le sue creature, risulta essere quella tra l’ontologica
assolutezza dell’atto illuminante del Creatore e l’essere (almeno in origine e nell’apocatastasi)
universalmente e identicamente illuminate delle creature, ovvero tra la partecipazione necessaria e
62
assolutamente sostanziale alla natura divina (esclusiva del Padre e, subordinatamente, del Figlio e dello
Spirito) e la partecipazione contingente e relativa, cioè dipendente dall’atto creativo e redentivo di Dio,
propria delle creature intellettuali, originariamente del tutto identiche per perfezione ontologica (prima del
63
loro decadere, differenziandosi negli ordini di angeli, uomini e demòni), escatologicamente del tutto
nou=ò,
identiche per uniforme volontà liberamente convertita. Insomma, il la pura, perfetta immagine di
64
Dio, non è affatto una parte o una componente dell’uomo, ma la sua unica autentica, inalienabile identità
60
«Dio illumina l’intelletto (nou=ò) di coloro che egli ritiene degni della propria illuminazione… E se l’intelletto è
suscettibile di illuminazione, dobbiamo pensare che Dio, in quanto è sua luce, è intellegibile (nohtovò), invisibile e incorporeo»
(ComGv XIII,137).
61
«Omnis mens, quae de intellectuali luce participat, cum omni mente, quae simili modo de intellectuali luce participat,
unius sine dubio debet esse naturae. Si ergo caelestes virtutes intellectualis lucis, id est divinae naturae, per hoc quod sapientiae et
sanctificationis participant, participium sumunt, et humana anima eiusdem lucis et sapientiae participium sumit, erunt et ista unius
naturae se cum invicem uniusque substantiae; incorruptae autem sunt et inmortales caelestes virtutes: incorrupta sine dubio et
inmortalis erit etiam animae humanae substantia. Non solum autem, sed quoniam ipsa Patris et Filii et Spiritus Sancti natura, cuius
solius intellectualis lucis universa creatura participium trahit, incorrupta est et aeterna, valde et consequens et necessarium est
etiam omnem substantiam, quae aeternae illius naturae participium trahit, perdurare etiam ipsam semper et incorruptibilem et
aeternam, ut divinae bonitatis aeternitas etiam in eo intellegatur, dum aeterni sunt et hi, qui eius beneficia consequuntur. Sed sicut
percipiendae lucis diversitas servata est in exemplis, cum vel obtunsior vel acutior obtutus designatus est intuentis: ita etiam de
Patris ac Filii et Spiritus Sancti participatione servanda est pro intentione sensus vel mentis capacitate diversitas. Alioquin
consideremus, si non etiam impium videtur ut mens, quae Dei capax est, substantialem recipiat interitum: tamquam hoc ipsum,
quod intellegere Deum potest et sentire, non ei sufficere possit ad perpetuitatem, maxime cum, etiamsi per neglegentiam decidat
mens ne pure et integre in se recipiat Deum, semper tamen habeat in se velut semina quaedam reparandi ac revocandi melioris
intellectus, cum “ad imaginem et similitudinem” Dei, qui creavit eum, “interior homo”, qui et rationabilis dicitur, revocatur [...] Si
qui vero audet substantialem corruptionem dare ei, qui “secundum imaginem et similitudinem” Dei factus est, ut ego puto, etiam in
ipsum Filium Dei causam impietatis extendit; “Imago” namque “Dei” etiam ipse appellatus est in Scripturis [...] Unde et
consanguinitatem quandam per hoc habere videntur ad Deum; et cum Deus omnia noverit, et nihil eum rerum intellectualium ex se
lateat (solus enim Deus Pater et Unigenitus Filius suus et Spiritus Sanctus non solum eorum, quae creavit, verum etiam sui
scientiam tenet), potest tamen etiam rationabilis mens proficiens a parvis ad maiora et a visibilibus ad invisibilia pervenire ad
intellectum perfectiorem» (DePrinc IV,4,9-10). «Dio amministra le anime non in vista di uno spazio, per così dire, di cinquant’anni
toVn ajpevranton aijw=na),
della nostra vita, ma in vista del tempo infinito (proVò poiché ha creato incorruttibile la natura
thVn noeravn) suggenh=)
intellettuale (fuvsin e a lui congenere (aujtw=/ e l’anima razionale non viene esclusa dalle cure come
accadrebbe nei limiti della nostra vita» (III,1,13); cf. III,1,3. Coerente con questa prospettiva risulta un importante brano origeniano
trasmesso da Girolamo, nel quale verrebbe addirittura affermata la pur relativa (si noti il quodammodo) consustanzialità tra Dio e le
creature intellettuali: «Intellectualem, inquit [Origenes], rationabilemque naturam sentit Deus et unigenitus Filius eius et Spiritus
Sanctus, sentiunt angeli et potestates ceteraeque virtutes, sentit interior homo, qui ad imaginem et similitudinem Dei conditus est.
Ex quo concluditur Deum et haec quodam modo unius esse substantiae» (O , in Girolamo, Ep 124,14). Del tutto in continuità
RIGENE
con questa prospettiva, risulta una celebre affermazione relativa all’intelletto come immagine divina di Dio, da uno dei cinque
grandi discorsi teologici del Nazianzeno, uno dei tre grandi eredi cappadoci di Origene: « Noi un giorno conosceremo nella misura
qeoeideVò tou=to kaiV qei=on)
in cui siamo conosciuti (cf. 1Cor 13,12), allorquando questa realtà simile a Dio e divina (toV –
hjmevteron nou=n te kaiV lovgon)
parlo del nostro intelletto e della nostra ragione (toVn – si unirà a Colui che le è affine (tw/=
oijkeivw/) ajnevlqh/ proVò toV ajrcevtupon),
e l’immagine risalirà verso l’Archetipo (eijkwVn del quale attualmente ha desiderio»
(G N , Oratio XXVIII,17).
REGORIO AZIANZENO
62 A differenza del Padre e del Figlio, «qualsiasi essere dotato di logos non possiede sostanzialmente (oujsiwdw=ò) la
ajcwvriston sumbebhkovò)»
beatitudine, come accidente inseparabile (wJò (ComGv II,124).
63 Originariamente, Dio ha creato tutte le creature identiche, al punto che soltanto il diverso grado del loro libero peccato
le ha separate dall’universale, identica unione con il Logos, specificandole in diversi, molteplici ordini (tavxeiò), riassumibili nei tre
tavxiò
grandi gruppi degli angeli, degli uomini e dei demoni. La differenza di rimane comunque accidentale e transitoria – con
tavxiò lovgoò,
l’apocatastasi, ogni sarà riassorbita nell’unità universale e identica del Logos –, essendo ogni creatura in se stessa
nou=ò ajvnqrwpoò,
o ovvero immagine intelligente di Dio: «Tutto ciò che è stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio è un
uomo… I nomi delle potenze superiori non sono nomi di nature viventi, ma piuttosto di ordini (tavxewn), a cui per disposizione di
Dio è assegnata questa o quella natura dotata di logos. Infatti “trono”, “principato”, “dominazione” e “potestà” non sono una
specie di vivente, ma nomi di cose, sotto cui sono stati classificati quelli che sono così denominati: il soggetto di tali categorie non è
altro che un uomo a cui si aggiunge come accidente (sumbevbhke) l’essere “trono”, “dominazione”, “principato”, “potestà”… Si
intenderà l’espressione “luce degli uomini” come equivalente a quest’altra: “luce di ogni essere dotato di logos”, in quanto ogni
essere dotato di logos, per il fatto di essere a immagine e somiglianza di Dio, è un uomo » (ComGv II,144; 146; 148); cf. I,216-217;
219; 222-225.
64
«Et nolunt [i materialisti] hoc intellegi, quod propinquitas quaedam est menti ad Deum, cuius ipsa mens intellectualis
imago sit, et per hoc possit aliquid de deitatis sentire natura, maxime si expurgatior ac segregatior sit a materia corporali »
17
nou=ò,
divina: se l’uomo è (immagine dell’Immagine del) l’uomo è (immagine dell’Immagine del) dio!
nou=ò
Ma il immagine è anche un’identità libera, mobile, una persona che diviene quello che sceglie di
essere. In tal senso, la mente può anche oscurare la sua immagine spirituale, divenendo sbiadita replica di
noveò
65
un’intimità divina non stabilmente voluta, quindi negligentemente obliata. I peccano e cadono.
Eppure, Immagine ed immagini rimangono ontologicamente inseparabili.
In tal senso, anima (yuchv) e corpo (sw=ma) non sono affatto (come per gli gnostici) nature
66
irriducibili all’intelletto divino e spirituale, ma parti secondarie e avventizie, metamorfosi transitorie del
nou=ò, suoi progressivi rivestimenti, appesantimenti, esito del colpevole offuscarsi della propria purezza
yuchv
naturale. Così, la è interpretata come traccia indebolita ed alienata di quel mistico atto intellettuale
preesistente, temporalmente obliato e nascosto, pur se sempre disponibile alla conversione della libertà di
67
ogni creatura, sempre capace di riappropriarsi della sua interiore identità divina.
yuchv,
«Bisogna vedere se l’anima, che in greco si dice non abbia derivato il suo nome dal raffreddamento [yu=xiò;
yu=coò]
freddo = da una condizione migliore e più vicina a Dio, poiché sembra che essa si sia raffreddata da quel
calore naturale e divino… Pertanto, l’anima ha tratto il nome dal raffreddamento dell’ardore dei giusti e della
partecipazione al fuoco divino. Tuttavia, non ha perso la possibilità di tornare a quella condizione di calore nella quale
inizialmente si trovava… Da tutto ciò deriva che l’intelligenza (mens), decaduta dalla sua condizione e dignità, è
divenuta ed è stata chiamata anima; se si sarà emendata e corretta, tornerà ad essere intelligenza» (DePrinc II,8,3).
Il peccato è l’esito del raffreddamento dell’ardore intellettuale delle sostanze logiche, cioè del
loro curvare il loro sguardo da Dio in sé, dal fuoco unitivo della visione del Figlio-Intelletto alla proprietà
della loro soggettività separata. Infatti, rispetto all’unica, universale condizione di identica perfezione
68 69
degli intelletti archetipi, le anime, peccando, divengono differenti e sono inserite in un nuovo cosmo
materiale, creato da Dio, pure se con finalità punitive e comunque redentive, a partire dai diversi gradi di
alienazione delle creature dal Logos. L’essere dipende dalla volontà, il grado ontologico della creatura
nou=ò, 70
dipende dalla libertà del dal grado di interiorità (rispetto al Logos) del suo desiderio; il libero
nou=ò
arbitrio è quindi il motore del creato, il movimento ontologico che ne specifica il livello di
71
perfezione. Quanto più radicale è stato il distacco dall’Immagine, tanto più alienante e materialmente
appesantita risulta la condizione ontologica derivata della mens decaduta. Ma questo mondo materiale –
all’interno del quale si collocano e divengono gli intelletti angelici e demoniaci, come le anime umane,
con i loro desideri e le loro passioni –, si rivela come ordine secondo, fenomenico, determinato dalla
toV hJgemonikovn
(DePrinc I,1,7). Cf. Contra Celsum IV,85, ove si designa con il termine stoico la facoltà razionale direttiva del
nou=ò, creato ad immagine di Dio, quindi capace di rivelare in sé la presenza dello stesso Logos divino.
65 Cf., ad esempio, DePrinc II,9,2.
66 Com’è noto, Origene si è ripetutamente interrogato sull’esistenza o meno di un corpo (comunque del tutto
nou=ò
“spiritualizzato”) del in dimensione protologica ed escatologica. Ritengo che la sua netta preferenza sia per l’ipotesi
nou=ò,
dell’assoluta immaterialità originaria e finale del come pare presupporre sistematicamente il ComGv (ad esempio: «I santi
[prima della cadut] vivevano una vita affatto materiale e incorporea» (I,97); ma cf. anche DePrinc III,6,1 e 4, ove l’escatologico
superamento, nell’unione spirituale delle menti con Cristo, della diversità di stati tra le creature coincide, evidentemente, con il
superamento escatologico della loro corporeità, in quanto «mundi diversitas sine corporibus subsistere non potest»: DePrinc II,1,4),
pure se nel DePrinc Origene dichiara plausibili entrambe le ipotesi (cf. II,3,2-3; IV,4,8), non potendo liberarsi a cuor leggero del
dogma tradizionale della resurrezione definitiva dei corpi. D’altra parte, come l’anima indica il raffreddarsi dell’ardore della mente,
così il corpo è il segno dell’oblio della propria identità spirituale; ma se il ritorno all’origine comporta il trasfigurarsi dell’anima in
intelletto, nuovamente fuso nel fuoco dell’amore del Logos, tanto più il corpo dovrà escatologicamente smaterializzarsi. Per una
noveò,
netta affermazione dell’assoluta immaterialità originaria ed escatologica dei cf. J. D , Origene…, 261-263.
ANIÉLOU
67 Sulla netta (pre-pelagiana!) affermazione origeniana del libero arbitrio e sull’intepretazione sinergistica del suo
rapporto con la grazia, cf. DePrinc III,1,1-23.
68 Cf. DePrinc I,6,2; II,9,2 e 6; III,1,22.
69 «Cum ergo tanta sit mundi varietas, atque in ipsis rationabilibus animantibus sit tanta diversitas, propter quam etiam
omnis reliqua varietas ac diversitas putanda est extitisse, quam causam aliam dici oportebit qua mundus extiterit, praecipue si
intueamur illum finem, per quem omnia restituenda in statum initii sui libro superiore dissertum est; quod utique si consequenter
dictum videtur, quam aliam, ut diximus, causam putabimus tantae huius mundi diversitatis, nisi diversitatem ac varietatem motuum
atque prolapsuum eorum, qui ab illa initii unitate atque concordia, in qua a Deo primitus procreati sunt, deciderunt et ab illo
bonitatis statu commoti atque distracti, diversis dehinc animorum motibus ac desideriis agitati, unum illud et indiscretum naturae
suae bonum pro intentionis suae diversitate in varias deduxerunt mentium qualitates?» (DePrinc II,1,1). Cf. II,9,6.
70 Cf., ad esempio, DePrinc III,6,6-7.
71 «Liberi namque arbitrii semper est anima, etiam cum in corpore hoc, etiam cum extra corpus est; et libertas arbitrii
vel ad bona semper vel ad mala movetur, nec umquam rationabilis sensus, id est mens vel anima, sine motu aliquo esse vel bono vel
malo potest» (DePrinc III,3,5). Si noti, in ContraCelsum V,21, come il dinamismo del libero arbitrio, aperto a «varie possibilità»,
venga pensato come necessariamente parziale, quindi soltanto progressiva adeguazione all’immutabilità trascendente di Dio.
Insomma, la creatura può unirsi al Creatore immutabile, semplice e trascendente, soltanto attraverso il movimento, la libertà, il
progresso, cui il suo stesso limite ontologico la vincola. 18
72
caduta: un ordine psichico-ilico, fallace e illusorio, proprio perché aliena le anime dal loro fondamento
eterno, non rivelando l’originaria e sostanziale interiorità delle menti nel Nous divino.
nou=ò
Soltanto il preesistente dell’uomo Gesù è rimasto indefettibilmente, sin dal principio
Nou=ò-Immagine,
sprofondato nell’intimità del al punto da trasformare – come il ferro arroventato nel
73
fuoco – la propria libertà creaturale in natura immutabilmente unita con il Logos divino. Intimamente
compenetratasi con il Logos, l’anima di Gesù merita quindi di partecipare alla redenzione di tutte le altre
noveò
creature, più o meno distaccatesi dalla Mente-Immagine: i decaduti sono quindi redentivamente
seguiti, raccolti, ricomposti e perfettamente riunificati nella potenza chenotica e redentiva del Logos,
capace di farsi tutto a tutti (rivelandosi, cioè, a tutti i possibili livelli dell’essere) per reintegrare tutta la
74
creazione razionale in se stesso. La Mente Immagine, immutabile per perfezione ontologica, diviene
così altra e mutevole nella sua opera di redenzione delle menti immagine divenute altre e mutevoli.
75
Nell’apocatastasi, infine, il Logos ridurrà alla sua sostanza intellettuale – unica, identica, immutabile – il
mondo secondo, alienatosi e caduto, recuperando nella sua intimità la totalità delle libertà creaturali,
rinnovando universalmente la loro partecipazione perfetta all’Immagine, nella quale le anime meriteranno
noveò, 76
di riattingere la propria protologica, profonda identità, tornando ad essere puri perfezionando
77
l’immagine nella somiglianza e quindi nell’unità mistica, nella quale saranno «tutti quanti esattamente
78
un [solo] Figlio», fuoco intellettuale nel Logos, sprofondato nella contemplazione del Padre.
Evidentemente, l’interpretazione antidualistica, dinamica e ascensiva delle distinzioni
antropologiche corpo/anima/nous presuppone una rivoluzionaria misticizzazione e interiorizzazione delle
categorie storico-rivelative di Paolo, come di quelle ontologiche degli gnostici. Se per Paolo lettera e
Spirito rappresentavano le due diverse economie della Legge e della grazia di Cristo, se per gli gnostici
lettera e Spirito venivano ontologizzati nella natura kenomatica psichico-materiale e nella natura
pleromatica spirituale, in Origene essi rappresentano due livelli ontologici (la protologica ed escatologica
realtà intelligente; la realtà secondaria dello psichico-ilico), disponibili alla scelta libera della creatura;
nou=ò.
lettera e Spirito divengono, pertanto, gradi del progresso intellettuale e mistico del Il corpo e
l’anima sono l’esito secondario dell’oscurarsi della mens, mentre lo spirito è l’identità immateriale che le
79
è propria e che, grazie alla mediazione di Cristo, essa recupera nel Logos stesso. L’intera storia sacra
nou=ò,
diviene, così, allegoria dell’ascesi del che progredisce dall’esteriorità materiale della Legge e
80
dalla esteriorità del Vangelo storico alla mistica, interiore pienezza del Vangelo eterno. In tal senso, se il
Vangelo storico ancora si rivolge ad un’anima in cerca della sua patria, il Vangelo eterno,
nou=ò,
apocatastaticamente compiuto, è rivelazione dell’identità divina del eterna immagine creata
nou=ò,
dell’Immagine creatrice: l’anima si rivela, quindi, come l’ombra del la lettera dell’identità
spirituale, lo specchio deformato, storicamente infranto, dell’integra natura, puramente logica, della
soggettività. L’evento inaudito della salvezza, che fa irrompere un’intimità del tutto nuova con Dio,
soprannaturale perché donata, diviene – in evidente continuità con lo gnosticismo – rivelazione di
un’identità spirituale originariamente e inalienabilmente posseduta, pure se temporaneamente smarrita,
72 «Come può questo nostro mondo avere parti “lassù” [nel trascendente mondo della Sophia],dal momento che la sua
hJ ktivsiò katabolhv ejstin;)?
creazione è caduta (ouJ= [...] E pertanto questo mondo, nella sua totalità (oJvloò) e con tutte le cose
katabolh=/ ejstin).
che contiene, è in una [condizione di] caduta (ejn Fuori della caduta vengono invece a trovarsi i discepoli veri
di Gesù» (ComGv XIX,149-150). Cf. DePrinc III,5,4.
73 «Tota totum [il Figlio] recipiens atque in eius lucem splendoremque ipsa cedens, facta est cum ipso principaliter unus
spiritus» (DePrinc II,6,3) ; cf. II,6,5; ComGv XXXII,325-326; ContraCelsum II,9; V,39; VI,47.
74 Cf. ComGv I,217-219; X,28-30; DePrinc IV,4,4; ContraCelsum II,64; IV,16.
75 Sull’apocatastasi, cf., ad esempio, DePrinc I,6,1-4; III,6,4; ComGv XXXII,25-34; ContraCelsum VIII,72.
76 Cf. DePrinc II,8,3 (soprattutto nel testo tradottoci da Girolamo, in Ep 124,6): l’anima salvata non rimarrà più anima.
77 Sull’immagine come perfezione protologica e la somiglianza come perfezione escatologica, culminante
nell’attingimento della perfetta unità con il Logos, quando Dio sarà tutto in tutti, cf. DePrinc III,6,1.
78 «Allora, quelli che sono giunti a Dio per il tramite del Logos che è presso di lui, avranno un’attività unica: conoscere
a fondo Dio, in modo da diventare, conformati (morfwqevnteò) in tal modo nella gnosi di Dio, tutti quanti esattamente un [solo]
ajkribw=ò uiJovò), nu=n movnoò oJ uiJovò)
Figlio (pavnteò nel modo in cui ora soltanto il Figlio (wJò conosce il Padre» (ComGv
I,92). «Cum vero res ad illud coeperint festinare, “ut sint omnes unum”, sicut est “Pater cum Filio unum”, consequenter intellegi
datur quod, ubi omnes “unum” sunt, iam diversitas non erit» (DePrinc III,6,4).
79 Per l’interpretazione dell’opposizione lettera/Spirito di 2Cor 3,6, tramite l’identificazione tra Spirito e verità di Gv
4,23-24 – forzato ad esprimere la risoluzione dello Spirito nella verità incorporea e intelligente, della lettera
nell’apparenza/ombra/immagine corporea –, in direzione di una sistematica platonizzazione delle categorie storico-rivelative e
carismatiche giovannee e paoline, cf. O , DePrinc I,1,2-4; ContraCelsum VI,70 e soprattutto ComGv XIII,109-153; rimando,
RIGENE
in proposito, a G. L , In spirito e/o verità: da Origene a Tommaso d’Aquino, «Annali di Storia dell’Esegesi», XII/1, 1995, 49-
ETTIERI
83. 80 Sul Vangelo eterno, cf., ad esempio, DePrinc IV,3,12.
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nou=ò
obliata. Nel stesso è, quindi, interiorizzata la dialettica tra vecchio e nuovo, legge e grazia, morte e
resurrezione, ove l’elemento “redentore” della mens è la libertà stessa, certo chiamata dalla grazia a
convertirsi dal suo moto centrifugo e alienante a quello centripeto e identificante. Ma l’anima è più
profondamente graziata in quanto originariamente costituita dalla grazia stessa come intima al Logos,
cioè in quanto ontologicamente già da sempre spirituale, graziata. La grazia dell’incarnazione e della
rivelazione non è che segno allegorico di quest’archetipo ontoteologico, dell’eterna donazione che il
Logos è in se stesso. Insomma, la redenzione è il segno allegorico dell’eterna grazia della creazione:
come nella gnosi, l’autentica incarnazione redentiva del Logos è quella eterna e pleromatica, di cui quella
storica non è che figura, replica transitoria. In tal senso, l’eschaton – l’apocatastasi – non rivela l’evento
imprevedibile di grazia che trascende e ricrea l’ambito stesso della creazione, ma si identifica con
81
l’origine stessa, che non fa che restaurare . Il carismatico è riassorbito nel naturale, nell’ontologico.
Influente, in quest’ottica, risulta la riconfigurazione platonica della nozione biblica di
personalità. La nozione biblica e relazionale di cuore, di interiorità vivificata dallo Spirito, viene ad essere
allegoricamente risolta in quella filosofica di intelletto; il cuore, così, risulta degradato ad organo
corporeo, quindi inquadrato all’interno della dottrina dei sensi spirituali:
«“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8)… che altro è vedere Dio con il cuore, se non comprenderlo e
conoscerlo con l’intelletto (mente eum intellegere atque cognoscere)? Spesso infatti i nomi delle membra sensibili sono
riferiti all’anima, sì che si dice che essa vede con gli occhi del cuore (Eph 1,18), cioè intuisce con l’intelligenza
qualcosa di intellegibile (virtute intellegentiae aliquid intellectuale conicere). Così diciamo che ascolta con le orecchie,
allorché intende un concetto di più profonda intelligenza… In noi ci sono due specie di sensi: una specie di sensi
mortale, corruttibile, umana, l’altra immortale e intellettuale… divina. Dunque con questo senso divino, non degli occhi,
ma del cuore puro, che è l’intelligenza (mens), Dio può essere visto da coloro che sono degni. Che in luogo di
intelligenza, cioè della facoltà intellettiva (pro mente, id est pro intellectuali virtute) sia nominato il cuore, troverai certo
ampiamente attestato in tutte le Scritture del Vecchio e del Nuovo Testamento» (DePrinc I,1,9).
Risalta limpidamente la risoluzione del carismatico nell’ontologico, dello spirituale
nell’intellettuale e nell’etico. La radicale, “corporea”, eteronoma esposizione della creatura al cospetto del
Creatore è divenuta l’autonomia di una creatura divina, chiamata a riappropriarsi della sua profonda
identità noetica, tornando ad essere eterno sguardo teo-logico di Dio (del Logos) in Dio (nel Padre). Il
nou=ò è, quindi, l’eterno corpo creato ad immagine del Logos, Maestro interiore che universalmente
riluce in ogni creatura razionale: la cristologia è l’eterno segreto ontologico della psicologia.
III – A : “ ”
GOSTINO LA MENTE IMMAGINE DA ONTOLOGICA A CARISMATICA
Se la grande teologia patristica è, a partire dalla fine del II secolo, indiscutibilmente cristiano-
platonica, certo le varianti di questo trapianto di organi greci nel corpo vivente del messaggio cristiano
nou=ò
sono molteplici. In Agostino, la nozione origeniana di viene recuperata e dinamicamente
82
approfondita tramite il ricorso diretto a fonti neoplatoniche pagane, ma per essere, nella seconda fase
della sua teologia, radicalmente ripensata a partire dal determinante recupero della dimensione puramente
carismatica dell’immagine paolina, realizzando un passaggio da una cristologia ontologica ad una
cristologia pneumatica, quindi da una dottrina del Logos come universale illuminatore delle intelligenze
ad una dottrina del Logos come non universale datore di grazia. La mens platonizzata (di cui i termini
83
intellectus, intellegentia, ratio, anima, animus, persino spiritus, sono sostanzialmente sinonimi), pur
81 Cf., in proposito, J. D , Sacramentum futuri. Études sur les origines de la typologie biblique, Paris 1950, 49-50.
ANIÉLOU
82
L’importante monografia di G. O’ D , Augustine’s Philosophy of Mind, London 1987, tr. it. La filosofia della mente
ALY
in Agostino, Palermo 1988, pur se preziosa per l’analisi delle strutture filosofiche che governano la psicologia agostiniana, ha il
grande limite di trascurare del tutto e programmaticamente la prospettiva teologica: la nozione agostiniana di mens ne risulta,
quindi, inevitabilmente falsata.
83 Del tutto chiara quest’affermazione del De Genesi ad litteram: ciò per cui l’uomo è creato «ad imaginem Dei… est ipsa
ratio vel mens vel intellegentia vel si quo alio vocabulo commodius appellatur »; sicché «homo creatus ad imaginem Dei… forma
quadam intellegibili mentis illuminatae» (III,20,30); così, in DeGenLitt VI,12,21, ricorre l’identificazione dell’«homo ad imaginem»
con la «mens intellectualis». «Imago Dei intus est, non est in corpore [...], sed est facta tamen; ubi est intellectus, ubi est mens, ubi
ratio investigandae veritatis, ubi est fides, ubi est spes vestra, ubi caritas vestra, ibi habet Deus imaginem suam » (Enarratio in
Psalmum 48, s. 2, 11); si noti, comunque, lo slittamento dall’ontologico al fideistico-carismatico. Cf. EnPs 42,6 ; 94,2 ; Tractatus in
Iohannis Evangelium 1,18 ; 3,4 ; 8,2 ; 23,10. Sul complesso problema dell’interpretazione o meglio delle ipotesi agostiniane
sull’anima, oltre al De anima et eius origine, cf. l’intero VII libro del DeGenLitt (dedicato all’interpretazione di Gen 2,7), che –
dopo aver affermato l’immateriale capacità dell’anima di cercare interiormente se stessa e di riflettere su di sé (cf. VII,21,28), che
quindi «nec vita sine rationali mente [est]» (7,21,30) – si conclude identificando l’«anima rationalis» creata da Dio a sua immagine
(cf. VII,22,32) con una «res incorporea», definibile «spiritus» (cf. VII,28,43). «Dicitur spiritus et ipsa mens rationalis, ubi est
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DESCRIZIONE DISPENSA
Questa dispensa si riferisce alle lezioni di Storia del cristianesimo e delle chiese , tenute dal Prof. Gaetano Lettieri nell'anno accademico 2010 e tratta il tema dell'antropologia cristiana e della mente immagine secondo il pensiero di Paolo, degli gnostici, di Origene e di Agostino.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Atreyu di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del cristianesimo e delle chiese e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università La Sapienza - Uniroma1 o del prof Lettieri Gaetano.
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