Organizzazione Industriale e Strategie
Anteprima
ESTRATTO DOCUMENTO
Supponiamo adesso che le aziende del duopolio producano prodotti differenziati;
ciò implica che i prodotti non sono perfettamente sostituibili e quindi l’elasticità
incrociata è positiva (ma non infinita). Allora le domande residue delle due
aziende dipendono anche dal prezzo del concorrente. Supponiamo che quelle in
figura siano le curve di domanda residua per 1 corrispondenti a due prezzi diversi
b a
> p . Infatti, se 2 aumenta il prezzo la domanda
del giocatore 2. In figura p 2 2
residua di 1 si sposta verso destra. Per trovare l’equilibrio dobbiamo allora
scrivere le best response function. Il profitto si scriverà:
, ,
costante, scriviamo l’effetto di una variazione marginale del prezzo sui profitti di 1:
Supponendo p 2 , , ,
, , →
,
→ 0 , 0 →
Nel caso di domanda lineare ∂q/∂p è una costante e quindi R(p) è una retta. In
figura abbiamo le rette che illustrano le best response function al variare del
prezzo dei concorrenti. Naturalmente, se il prezzo di un concorrente è 0, il
prezzo di una impresa sarà comunque maggiore di c. Le funzioni R(p) sono tali
che se il concorrente alza il prezzo, anche il giocatore lo farà. Naturalmente
l’equilibrio di Nash si avrà nel punto B, molto più alto del punto C, che
rappresenta invece l’equilibrio di Nash nel caso del paradosso di Bertrand.
Infatti, se i prodotti sono “non perfettamente sostituibili”, le aziende sono meno
abili nell’estromettere il concorrente dal mercato riducendo il prezzo; pertanto
la competizione sui prezzi sarà minore e le aziende eserciteranno potere di
mercato. All’equilibrio sarà: 1
, ,
, 0→ ,
Viceversa sarà per il giocatore 2. Ciò significa che, nella situazione di mercato ipotizzata, il potere di mercato
di un’impresa è pari all’inverso della propria elasticità della domanda. Dunque, minore sarà la tendenza dei
consumatori a passare dal prodotto i al prodotto sostituto j, maggiore sarà il potere del duopolista i (qui si
possono intraprendere strategie di brand loyalty).
Vediamo come si comporterebbe un monopolista che vende entrambi i prodotti differenziati. Naturalmente
egli massimizzerà il profitti: →
, , , , 0 ⇔
⇔ 0
In questo caso il terzo termine rappresenta il “cross market term”. Essendo i e j
sostituti, se aumenta il prezzo di i aumenta anche la domanda di j (di ∂q /∂p >0)
i i
1M 2M
e di conseguenza i profitti. Quindi, se p e p sono i prezzi all’equilibrio per
1B 2B
il monopolista, questi saranno sicuramente maggiori di p e p . Anche in
questo caso gli attori potrebbero colludere per vendere entrambi ai prezzi del
punto M. Tuttavia anche in tal caso M non è una best‐response per nessuno dei
due giocatori, e pertanto entrambi sarebbero interessati a spostarsi da M verso
L’accordo non è
il punto corrispondente alla propria best response function.
credibile e si presenta nuovamente il dilemma del prigioniero.
I risultati della competizione di Cournot e della competizione di Bertrand (non
il paradosso) sono opposti. Quale è la strategia che un manager dovrebbe attuare? Kreps e Scheinkman hanno
proposto il seguente iter: nel primo periodo investire nella capacità produttiva con un gioco di Cournot (la
capacità produttiva è chiave per tale competizione) mentre, in un secondo periodo, quando si hanno vincoli
di capacità produttiva, competere nel prezzo.
14
Capitolo 4.
La collusione, come visto, può essere una strategia tramite la quale le imprese possono aumentare i loro profitti
ottenendo guadagni monopolistici. Tuttavia non è facile che ci siano le basi affinché tale strategia sia
effettivamente applicata, poiché necessita di molte condizioni, è rischiosa (poiché illegale) ed esistono
numerosi fattori che possono ostacolarla. In particolare una strategia collusiva consiste in un accordo tra due
concorrenti che coordina le azioni di mercato che questi andranno ad
eseguire (soprattutto sul prezzo o sulla quantità). Per poter applicare tale
strategia un’impresa deve innanzittutto trovare un accordo per coordinare
prezzo e/o quantità di mercato; trovato l’accordo le imprese devono trovare
un modo per renderlo duraturo, ovvero fare in modo che le parti coinvolte
lo mantengano; ultima condizione necessaria è che le imprese devono
essere in grado di individuare possibili azioni che non rispettino l’accordo
e di punirle. Prima di negoziare un accordo, le aziende devono essere
consce di quale dovrebbe essere l’output di mercato (o il prezzo) stabilito
dall’ipotetico accordo e quale quello di ogni singola azienda. Per trovare
risposta, si può utilizzare la Profit Possibility Frontier (PPF), rappresentata in
figura per un duopolio. Tale curva è il luogo dei punti che massimizza il
profitto di un giocatore dato il profitto dell’altro (o viceversa). Naturalmente il punto in cui i duopolisti si
accordano per un prezzo deve stare su tale curva. CM rappresenta il punto in cui i due rivali si dividono
equamente le quote di mercato producendo un output monopolistico. Si noti come a 0 profitti di uno dei
concorrenti corrisponde un profitto monopolistico per l’altro. Mentre i punti all’interno della frontiera sono
punti meno efficienti della stessa, quelli oltre la curva non sono attualmente situazioni competitive possibili;
l’equilibrio di Cournot è naturalmente all’interno di questa curva (punto C). La pendenza della frontiera
dipende dalla struttura dei costi delle imprese (i.e. a costi marginali costanti corrisponderebbe una retta).
L’accordo collusivo non potrà tuttavia trovarsi in tutta la frontiera: è naturale che ogni concorrente non
accetterà mai un accordo che gli garantisce un profitto più basso di quello che potrebbe ottenere competendo;
nell’esempio in figura ciò significa che 1 non accetterà mai un punto della frontiera più alto di D, mentre 2 non
accetterà mai un accordo le cui condizioni si rappresenterebbero con un punto più basso di E, poiché nei
rispettivi casi sceglierebbero sicuramente di giocare l’equilibrio di Cournot (pertanto DE è la parte della curva
rappresentante la vera frontiera di negoziazione).
Un accordo collusivo si può raggiungere in due modi: esplicito, ovvero un accordo raggiunto attraverso azioni
esplicite come meeting, chiamate, scambi di documenti, etc., ed implicito, ovvero senza alcuno scambio di
informazioni o documenti, ma semplicemente osservando il comportamento dei rivali. Dato che la collusione
è punita con sanzioni pesanti, il modo più sicuro per intraprendere una cospirazione è la collusione tacita. Con
essa non ci si ripara totalmente dal rischio che l’Antitrust si accorga della cospirazione e quindi di ricevere
penali, ma sicuramente rende il lavoro delle autorità competenti molto più difficile.
Vediamo con un esempio come si potrebbe raggiungere una collusione tacita. Supponiamo che due compagnie
aeree si dividano equamente le MS di una particolare rotta e che il prezzo attuale del biglietto sia circa il 50%
più basso del prezzo da monopolista. In tal caso le due compagnie avrebbero interesse nel colludere. L’impresa
A potrebbe incrementare il prezzo del proprio biglietto, perdendo MS nel breve periodo, ma lanciando un
segnale implicito. Quando B osserva questa azione, può compiere due azioni: può lasciare invariato il proprio
prezzo guadagnando di più nel breve periodo, sapendo che A risponderebbe abbassando il prezzo sino
all’equilibrio di Bertrand (che è una minaccia credibile), oppure può anch’egli alzare il prezzo, accordandosi
tacitamente per una collusione (tali azioni si riassumono con il nome di trigger strategy). Pertanto, condizioni
necessarie affinché si abbia un accordo tacito sono: che ci sia un interesse comune nel colludere, che un
concorrente lanci un segnale (implicito), la possibilità di osservare le condizioni di mercato (così da poter
cogliere eventuali segnali o sapere se il rivale abbandona l’accordo) e di imporre l’accordo tramite una
minaccia credibile. Tuttavia tali condizioni sono necessarie ma non sufficienti affinché la collusione sia una
strategia di equilibrio. 15
Proprio perché la cospirazione è illegale, una trigger strategy non può durare troppo a lungo. Questo è il
motivo per cui spesso le imprese iterano le azioni “competere” e “colludere” una dopo l’altra. Una situazione
del genere potrebbe rappresentarsi con un Rosenthal game, dove al posto di STOP abbiamo la strategia
“competere” e al posto di CONTINUARE abbiamo “colludere”. È facile intuire come tale gioco può finire solo
con l’equilibrio di Bertrand, che la minaccia sia credibile o no. Infatti, in una situazione del genere, una
strategia di collusione non potrà mai essere un equilibrio. Questo perché, avendo a che fare con un “finite
game”, anche se il gioco è ripetuto un numero elevato N di volte, l’equilibrio all’ultimo stage sarà sempre
Bertrand (o Cournot) e allo stage N–1 la strategia di collusione non potrà sostenersi. Dunque, affinché la
strategia di collusione sia un equilibrio, è necessario che la situazione sia rappresentabile come un supergame,
in cui sappiamo che non esistono stage finali.
Per trovare le altre condizioni che rendano possibile un collusive equilibrium ci riferiremo al modello di Stigler,
che si basa molto sulla forza, la certezza e la velocità di attuazione della minaccia. Ingredienti fondamentali
del modello sono quindi l’abilità di individuare eventuali situazioni di “cheating” (più è alta, più è bassa la
possibilità che i concorrenti decidano di deviare dall’accordo), la velocità di applicazione delle azioni punitive
(più è alta, minore è il vantaggio nel breve termine che un concorrente otterrebbe deviando dall’accordo), la
pesantezza della punizione.
M C D
Siano π , π , π rispettivamente il profitto dell’i‐esimo giocatore quando collude, quando gioca l’equilibrio
i i i
di Cournot e quando devia dalla collusione giocando la sua best‐response. Consideriamo un supergame in cui
i concorrenti giocano la stessa trigger strategy: producono l’output corrispondente alla collusione finché i rivali
un rivale devia dall’accordo, gli altri giocatori tornano all’equilibrio di
hanno fatto lo stesso nel passato; se
Cournot. In questo supergame le imprese possono eseguire due sole azioni: continuare a produrre l’output di
collusione o deviare al tempo generico t’ (deviation strategy). Il payoff di queste strategie si scrive:
1 1
1 1
1
M D
≥VAN , ovvero:
Naturalmente i continuerà a colludere se e solo se VAN i i
1 1
1
Quindi possiamo concludere che una strategia di collusione è sostenibile se e solo se δ≥δ’ (perciò può accadere
soltanto in una situazione di mercato rappresentabile come un supergame). Il risultato precedente significa
che più un’impresa sconta i profitti futuri (tasso di sconto δ più basso) più è difficile mantenere un accordo
collusivo, viceversa sarà più facile mantenere un accordo collusivo in cui si gioca l’output di Cournot (fissando
però un prezzo più alto). Diamo uno sguardo
più dettagliato a δ’. Questo dipende
essenzialmente dalla distanza tra il payoff
D : più questa differenza è alta, più
collusivo e π
i
δ’ sarà alto e quindi sarà più difficile mantenere l’accordo collusivo. Guardando le formule precedenti ci si
accorge perché il modello di Stigler si basa sui tre punti precedentemente elencati: se le condizioni di equilibrio
profitti molto lontani da quello di collusione i giocatori saranno più
(Cournot o Bertrand) sono tali da portare i
incentivati a mantenere l’accordo (forza della minaccia); più rapida è la punizione minori saranno i profitti
derivanti dalla deviation strategy (poiché si protraggono meno nel tempo); la punizione sarà certa se è
credibile (e in questo caso lo è).
Vediamo adesso due elenchi di altri fattori che ostruiscono (primo elenco) o facilitano (secondo elenco) il
raggiungimento di un accordo collusivo implicito.
Forte asimmetria nei costi. Il giocatore con vantaggio nei costi preferirà sempre grandi quantità e prezzi
o bassi.
Prodotti eterogenei. L’eterogeneità dei prodotti rende più difficile collocare prezzi o quantità comuni.
o Innovazione. L’innovazione di prodotto aumenta la competizione sui prezzi, rendendo più difficile un
o accordo rispetto ad un mercato in cui sono presenti prodotti standardizzati.
Informazione incompleta. Un accordo implicito necessita sicuramente di informazioni trasparenti.
o 16
Dimensione del cartello. Più giocatori ci sono nel mercato maggiori saranno gli incentivi per deviare
o dall’accordo (più alto è N, minore sarà π ); inoltre un elevato numero di rivali rende più difficile
M
individuare le deviazioni dall’accordo.
Prezzi pubblici. Se i prezzi sono pubblici e non il risultato di un negoziato cliente‐fornitore la collusione
sarà agevolata (si pensi ai prezzi dei biglietti aerei).
Ordini frequenti e di basso valore. Se gli ordini sono poco frequenti aumenta il tempo necessario per
individuare eventuali deviazioni; inoltre le imprese devono scontare molto i ricavi provenienti dalla
punizione (poiché dovranno aspettare il prossimo ordine) mentre i profitti della deviazione sono
immediati (e anche elevati se il valore degli ordini è alto). Per questo motivo la pubblica amministrazione
dovrebbe utilizzare questa tecnica per ridurre la possibilità di collusione.
Multi‐market. Per multi‐market si intende la situazione in cui più imprese competono
contemporaneamente in mercati geograficamente diversi. Ciò può rendere più semplice la collusione,
poiché le imprese possono dividersi facilmente il mercato.
Prodotti differenziati. La differenziazione dei prodotti ha due effetti sulla stabilità della collusione che si
bilanciano a vicenda: essendo il mercato meno sensibile alle variazioni di prezzo i giocatori sono meno
incentivati a deviare; la punizione è meno forte poiché più grande è la cross‐elasticity più alto è il prezzo
di equilibrio (come abbiamo vista nella competizione di Bertrand).
Vincoli di capacità produttiva. In presenza di tali vincoli, è più difficile per le imprese cambiare il loro output
senza incorrere in costi addizionali, e ciò può aumentare la stabilità di un accordo collusivo. Invece, un
eccesso di capacità produttiva rende più semplice la deviation strategy ma anche la realizzazione della
punizione, e pertanto non ha effetto sulla stabilità di un accordo. 17
Capitolo 5.
Negli USA esistono più di 200 tipologie di cereali “ready‐to‐eat”, nonostante il mercato sia dominato
principalmente da quattro imprese (Kellog’s, General Mills, Post e Quaker Oats) che insieme contano più
dell’80% delle quote di mercato. Queste quattro aziende sono riuscite a conquistare il mercato con la strategia
della differenziazione. Infatti la differenziazione non è solo un’azione di marketing che permette di soddisfare
diversi segmenti (per questo scopo bastavano sicuramente meno di 200 tipologie di cereali), ma funge anche
da strategia di mercato, permettendo di acquisire potere di mercato istituendo forti barriere di entrata (infatti
tale strategia è molto diffusa nei consumer goods). In questo capitolo vedremo in che modo la differenziazione
può diventare una vera e propria strategia per costruire potere di mercato e barriere di entrata.
Innanzittutto ricordiamo che la differenziazione si dice orizzontale o verticale a seconda che la differenza
percepita nei prodotti sia soggettiva (qualcosa legata al gusto o alle preferenze) o oggettiva (i prodotti sono
ordinabili oggettivamente dal migliore al peggiore, basandosi su qualità, tecnologia, etc.). Quindi è chiaro
come nel primo caso la scelta del prodotto dipende unicamente dalle preferenze del consumatore, mentre nel
secondo esiste una misura oggettiva che rende un prodotto superiore ad un altro. In questo capitolo tratteremo
unicamente la differenziazione orizzontale (quella verticale sarà trattata insieme alle strategie di qualità).
Esistono due rami per analizzare i prodotti differenziati: il good branch assume che i consumatori hanno
preferenze sui beni e un gusto per la varietà, mentre l’address branch assume che questi hanno preferenze circa
le caratteristiche dei prodotti (e pertanto scelgano in base a queste). Vediamo l’address model, che modella
appunto il secondo approccio. Per ogni prodotto bisogna individuare le caratteristiche di interesse per il
cliente. Ritornando all’esempio dei cereali, supponiamo che queste siano la “croccantezza” c e la “dolcezza”
, ovvero la coppia di attributi (c , d )
d. Allora sarà possibile posizionare tutti i brand secondo il loro address θ i i i
del brand i. È possibile collocare anche gli address dei consumatori nello stesso piano: la distanza fra tali punti
e quelli del brand rappresenta quanto le caratteristiche di un dato brand si avvicinano a quelle del
consumatore. Nell’address model le preferenze sono espresse dalla seguente funzione di utilità:
∗ ∗ |
|
,
in cui θ* è l’address contenente la combinazione di attributi ideale che il prodotto dovrebbe avere per il
e p rispettivamente address e prezzo del brand i, T una “mismatching cost function” che
consumatore, θ i i
esprime il costo che un consumatore deve sostenere se sceglie il brand i invece di un altro (naturalmente per
D=0 sarà T=0), mentre V rappresenta l’utilità massima associabile a quel bene (non considerando il prezzo),
si realizza proprio quando D=0. Vediamo di capire con un esempio cosa rappresenta la funzione T (oltre
che
alla distanza in termini di preferenza). Supponiamo che un consumatore cerchi il suo dentifricio preferito i,
ma nel supermercato sotto casa trovi solo il dentifricio j. Egli potrà scegliere di comprare j oppure andare in
altri posti a cercare i; nel primo caso, la funzione T rappresenterà proprio la distanza tra la sua preferenza e j,
mentre nel secondo caso T comprenderà i “search cost” (costi di trasporto e tempo) per cercare i (naturalmente,
se i fosse stato presente nel supermercato avremmo avuto T=0). Un altro esempio calzante è quello delle
compagnie aeree low cost. Queste riescono a mantenere un prezzo più basso poiché utilizzano aeroporti
secondari (che costano molto meno alle compagnie aeree). Pertanto, i passeggeri dovranno sostenere degli
ulteriori costi per arrivare a destinazione. Supponendo che tali costi siano pari a 20UM, con le compagnie più
=V – p , mentre con una low cost sarebbe U =V – T – p ; pertanto
costose essi otterrebbero una utilità pari a U 1 1 2 2 2
la minima riduzione di prezzo che le compagnie low cost dovranno effettuare sarà proprio pari a 20UM.
Supponendo che l’unica caratteristica che i consumatori guardino sia la distanza dell’aeroporto dalla
–MC)/k (il
destinazione, la distanza massima che le compagnie low cost potranno sostenere sarà D=(p 1
significato di k verrà chiarito in seguito).
Presentiamo in questo paragrafo il Linear city model (o Hotelling model, dal suo ideatore) che analizza la
differenziazione di prodotto attraverso l’analogia con il posizionamento di uno store in un’area urbana. Per
mezzo di tale modello si possono raggiungere risultati generali analizzando una situazione molto semplice. Si
suppone che i prodotti siano omogenei in tutti gli store di un’unica strada e pertanto l’unica caratteristica che
li differenzia è la posizione dello store nella strada. Supponiamo che in una città composta da un’unica strada
18
ci siano N store, che non sia possibile entrare o uscire dal mercato (cioè che altre imprese costruiscano store
nella strada), che tutte le imprese abbiano gli stessi costi marginali c per gli stessi prodotti e lo stesso prezzo
p>c (il prezzo è esogeno, ovvero determinato da fattori esterni, le imprese non competono sul prezzo). I
giocatori competono dunque su un solo attributo θ (compreso tra 0 ed 1 per semplicità); si supponga inoltre
che nel mercato ci siano M consumatori uniformemente distribuiti lungo la “linear city” di lunghezza unitaria
e che riposizionare lo store abbia costo nullo (ovvero non ci sono sunk cost). Il profitto dell’i‐esima impresa
=(p – c)Ml , essendo l il segmento di mercato catturato da i (ovvero la sua MS); allora il prodotto M l
sarà π
i i i i
sarà la domanda di i. Dato che sotto le ipotesi fatte p e c sono costanti, la massimizzazione del profitto coincide
con la massimizzazione del segmento catturato, e pertanto ipotizzeremo anche p–c=1.
In un siffatto mercato chiameremo interior firm
in
un’impresa posizionata tra due concorrenti (θ
i
figura) e boundary firm quelle posizionate ai margini
del mercato, ovvero imprese che competono solo da un lato della strada. In figura x e y sono posizioni di
cioè:
consumatore indifferenti. In particolare, per x è indifferente comprare da i–1 o i e per y da i o i+1,
⇔ ; ⇔
2 2
I segmenti di mercato catturati dai tre giocatori risultano essere:
; ; 1 1
2 2 2 2
Il segmento catturato da una interior firm è pari a metà della distanza tra i suoi concorrenti più vicini,
indipendentemente dalla localizzazione stessa di i; le boundary firm invece competono da un solo lato, e
è il segmento in
pertanto catturano più mercato tanto più lontane sono dai margini (ovvero tanto più lungo
cui non competono per i consumatori). (1)
In figura sono mostrati due esempi di come raggiungere
un equilibrio di Nash in una situazione di mercato come
questa. Nel primo abbiamo 4 imprese, 1 e 2 sono (2)
posizionate entrambe a 0,25 (ma 2 appena più spostata a
destra) e 3 e 4 a 0,8 (ma 4 appena più spostata a destra). In
tal modo 1 possiede 0,25, 4 possiede un mercato di confine pari a 0,2, mentre 2 e 3 hanno 0,275 l’uno. Come
visto prima, le imprese di confine voglio massimizzare la distanza dal margine, mentre le imprese interne non
accetteranno mai meno di metà del segmento interno. Si vede subito come 4 ha interesse nel riposizionarsi
(sotto le nostre ipotesi ha costo nullo), spostandosi internamente appena a sinistra del giocatore 3, in modo da
portare il proprio profitto a 0,275; naturalmente 3 avrà a sua volta interesse nel riposizionarsi più internamente
di 4, e così via fino alla posizione 0,75, dove sarà raggiunto l’equilibrio. Nel secondo caso si vede subito come
l’equilibrio si ha con entrambe le firm posizionate a 0,5 (una appena più a destra e una appena più a sinistra),
poiché vogliono massimizzare il lato marginale. Affinchè si abbia un equilibrio di Nash nel posizionamento,
nessuna lunghezza l deve essere minore della lunghezza da unico lato di qualsiasi altra impresa e le imprese
i
periferiche devono essere pari e adiacenti ad una interior firm. I due esempi sopra riportati evidenziano come
le imprese, sotto le ipotesi fatte, tendono a raggrupparsi in specifiche posizioni di mercato, determinando dei
cluster: questo è chiamato principio della minima differenziazione (o di Hotelling).
Nella maggior parte dei casi reali, riposizionarsi costa, pertanto proviamo a rimuovere l’ipotesi di sunk cost
nulli e troviamo la condizione di free entry equilibrium. Siano f i costi fissi che una impresa deve sostenere per
entrare nel mercato (ogni impresa già presente che si vuole riposizionare dovrà sostenere ugualmente f, ma in
tal caso saranno costi sommersi). Una impresa entrerà solo se prevede profitti maggiori di f e potrà posizionarsi
come boundary firm (adiacente a una interior firm) oppure come interior firm. Siano B e I le larghezze più
grandi tra i segmenti perimetrali e interni rispettivamente. Un’azienda entrante come interna non avrà
incentivi per entrare finché MI/2≤f ; invece una entrante come boundary firm non entrerà fintanto che MB≤f.
Dunque la condizione di free entry equilibrium dipende dal posizionamento delle imprese nel mercato. La
larghezza massima catturabile nel mercato sarà l =max(f/M; 2f/M)=2f/M. Catturare tale lunghezza è lo scopo
max
delle imprese nel mercato. Supponendo che ogni giocatore presente lo abbia fatto, il numero di imprese nel
nel
free entry equilibrium è pari a N=M/2f. Si noti come in questa situazione i giocatori hanno interesse
19
posizionarsi in modo tale da non lasciare intervalli larghi, ovvero posizionandosi lontani fra di loro. Dunque,
in questo caso, l’equilibrio sarà caratterizzato dal principio di massima differenziazione.
Da N=M/2f si può intuire come in mercati caratterizzati da grandi economie di scala (quindi alti costi fissi) il
numero di imprese in free entry equilibrium sarà basso, viceversa per mercati
caratterizzati da alta densità M.
Vediamo la competizione in un mercato come il precedente ma rimuovendo anche
l’ipotesi di prezzi esogeni: le imprese possono fissare il proprio prezzo.
Supponiamo per semplicità un duopolio in cui le imprese abbiano MC uguali e pari
a 0, con M=1, e che le imprese siano A e B posizionate come in figura. Sia T(D)=kD .
2
Il consumatore θ’ per cui risulta indifferente comprare da A o B si trova
uguagliando le utilità: 1
1 ⇔ 2 2
Naturalmente A avrà mercato sino a θ’, mentre B avrà (1– θ’). Si noti come con prezzi uguali si dividerebbero
perfettamente il mercato. Nel caso di densità di consumatori uniformemente distribuita e pari a 1, θ’ è proprio
la domanda di A, che quindi cresce al decrescere di p e al crescere di p , dato che i prodotti sono sostituti. Qui
A B
emerge il significato di k: esso rappresenta un grado di sostitutibilità dei prodotti, ovvero la percezione dei
consumatori riguardo le differenze nei diversi prodotti; più k è piccolo più i prodotti sono sostituti (e quindi
meno differenziati). In particolare la cross elasticity per i due prodotti risulta ε =(2k) (p /q ). Sotto le ipotesi
–1
AB B A
fatte, si ha: 1 1 1
→ → 0 ⇔
2 2
2 2 2 2
Nel secondo passaggio, a secondo membro, il primo termine è l’effetto diretto (incremento del profitto dovuto
all’aumento del prezzo), mentre il secondo è l’effetto indiretto (riduzione del profitto a causa della
sostitutibilità di A). L’ultima equazione è invece la best response function di A. L’equilibrio di Nash sarà:
2
2
La precedente ci dice che maggiore sarà la differenziazione del
mercato, maggiore sarà il prezzo di equilibrio. Verifichiamo che
all’equilibrio tutti i segmenti di mercato siano coperti; ciò accade se
tutti i consumatori trovano utilità non negativa nel comprare i
prodotti. Per trovare tale condizione verifichiamo che il consumatore
con distanza massima abbia utilità maggiore o uguale a zero (che sarà
quello con D=1/2), cioè V–k(1/2) –k≥0, e quindi la condizione affinché tutto il mercato sia coperto all’equilibrio
2
sarà V≥(5/4)k. In figura troviamo le due best response function, il prezzo di equilibrio, e i prezzi che un
monopolista metterebbe per i due prodotti, ovvero dei prezzi per i quali il mercato sarebbe perfettamente
diviso tra i due prodotti (ovvero uguali). In questo caso il consumatore indifferente è quello a D=1/2, che avrà
utilità nulla: 1
0 ⇔
2 4
m
Sostituendo nella disequazione precedente, troviamo p ≥k, quindi il prezzo collusivo è maggiore o uguale di
quello di Nash. Pertanto gli oligopolisti hanno interesse nel colludere.
Prima abbiamo dato per scontato che, anche con prezzi endogeni, le imprese si
posizionassero secondo il principio di massima differenziazione. Vediamo cosa
succederebbe se così non fosse. In figura vediamo le imprese A e B collocate
rispettivamente ad x e 1 – x. Procedendo come nel caso precedente,
all’equilibrio: 1
1 ⇔ →
2
2 1 2
→ → 1 2
Si vede come la minima differenziazione non è consistente se ci sono sunk cost,
anche con prezzi endogeni.
20
In sostanza è come se le imprese giocassero un gioco a due stadi dove nel primo scelgono la propria posizione
e nel secondo competono sul prezzo. In tal caso sono presenti due effetti contrapposti:
Hotelling effect (o effetto domanda), che spinge le imprese a posizionarsi vicine per aumentare il mercato
periferico (minima differenziazione);
Price effect (o effetto strategico), che spinge le imprese a distanziarsi per rendere meno forte la
competizione sul prezzo (massima differenziazione).
Nel caso di mismatching cost quadratici e costi fissi sommersi, come visto, prevale il secondo effetto.
Vi sono tre strategie che si basano sulla differenziazione di prodotto utili per costruire potere di mercato e/o
barriere di entrata: brand proliferation, brand specification e brand preemption. La prima consiste nello sviluppare
e posizionare quanti più prodotti possibile nel mercato (o nella nicchia) per prevenire le entrate di nuovi
concorrenti (caso dei cereali visto prima). In particolare, tale numero sarà proprio N, per assicurare un free
entry equilibrium. Ciò significa che tale strategia è applicabile se e solo se i costi fissi sono sunk cost.
Si consideri un Linear city model in cui M=1, f=3/8, c=0, p=1 e abbiamo una sola impresa e una che deve decidere
se entrare. Se l’impresa produce un solo prodotto, l’entrante anticiperà profitti positivi, poiché entrerà nel
mercato e si dividerà il mercato con l’altra impresa, ottenendo ambedue π=(p–c)Ml –f=(1/2)–(3/8)=1/8. Se il
giocatore monopolista giocasse la brand proliferation strategy, ovvero mettendo nel mercato N=M/2f=8/6,
ovvero due prodotti, l’entrante anticiperebbe profitti negativi. I due prodotti sarebbero posizionati ad ¼ e ¾ e
il meglio che l’entrante possa fare è ottenere ¼ con il quale anticiperebbe profitti negativi. Se però i costi fissi
non fossero costi sommersi, la risposta all’entrata del nuovo giocatore sarebbe diversa: l’incombente potrebbe
lasciare uno dei due prodotti recuperando 3/8 di profitto (recuperando i costi fissi) e condividere il mercato in
parti uguali con l’entrante; facendo i conti ci si accorge che tale strategia sarebbe conveniente per il giocatore
se un nuovo giocatore entrasse (lasciando entrambi i prodotti avrebbe profitto pari a 0, mentre levandone uno
otterrebbe π=1/8). Ciò significa che l’entrante anticiperebbe tali ragionamenti ed entrerebbe nel mercato.
La brand specification strategy riguarda la scelta strategica del posizionamento dei propri prodotti (e quindi
della scelta delle specifiche di prodotto). Utilizzando l’esempio precedente, il monopolista potrebbe adottare
specifiche diverse per i due prodotti: invece di collocarli ad ¼ e ¾, potrebbe muoverli verso i margini.
Posizionandoli come prima, l’entrante posizionerà il suo prodotto ai margini (evitando la competizione con
due prodotti) e pertanto muovere i prodotti ai margini annullerebbe tale convenienza; inoltre, se servisse un
terzo prodotto, è chiaro che il monopolista lo metterebbe al centro (dato che gli altri due prodotti sono ai
margini), minimizzando la competizione tra i propri prodotti; quindi, con i due prodotti ai margini, la messa
sul mercato di un terzo è ancora più credibile. La brand specification consiste dunque nello scegliere
strategicamente il posizionamento dei propri prodotti per costruire barriere di entrata.
La brand preemption strategy consiste nell’introdurre un prodotto in una posizione prima che lo faccia un
concorrente. Tale strategia riguarda dunque la situazione in cui si viene a creare una nuova posizione (quindi
inizialmente vuota) nel mercato e questa è tale da poter essere occupata da un solo giocatore (altri giocatori
non troverebbero convenienza nell’occuparla o non possono proprio farlo). La brand preemption è dunque
una strategia dinamica, in cui il tempismo è fondamentale: il primo che occupa la nuova posizione taglia fuori
il rivale. Un’esempio potrebbe essere il caso di AirBus e B747: entrambe le compagnie producono aerei di
grossa capacità (circa 500‐600 posti a sedere); si è presentata poi l’occasione di un’appalto per un’aereo da
almeno 700 posti. Si tratta proprio di una preemption competition, infatti AirBus riuscì a sviluppare prima
tale aereo, aggiudicandosi l’appalto e tagliando fuori il rivale.
Supponiamo un Hotelling model con mismatching cost quadratici, in cui è possibile occupare solamente i
margini del mercato ed è presente un solo produttore I posizionato sul margine sinistro; in tutti i periodi fino
a T – 1 la densità della popolazione è pari ad 1, e cresce ad M nel periodo T. Posizionare un prodotto richiede
sunk cost pari ad f, ed esiste un potenziale concorrente che sta valutando la possiblità di occupare il margine
destro. Vi sono 4 possibili casi:
1. Entry. La new entry NE posiziona il suo prodotto al margine destro: si creerebbe una competizione di
Bertrand con massima differenziazione, e i duopolisti si dividono il mercato ottenendo un profitto, non
considerando i costi fissi, pari a π =π =π =k/2 prima dell’espansione del mercato, e pari a Mk/2 dopo.
Entry NE I
2. Expansion. I occupa il margine destro, ottenendo profitti pari a π =V–k/4 prima e π =M(V–k/4) dopo.
Exp I 21
3. Neither entry or expansion. Nessuno dei due giocatori occupa la posizione. Dunque I farà un prezzo tale da
rendere i consumatori al margine destro indifferenti rispetto a comprare o meno il prodotto, ottenendo
π =V–k prima e M π dopo.
I I
4. Entry and expansion. Entrambe i giocatori posizionano un prodotto sul margine destro. In tal caso
dovrebbero sostenere una competizione di Bertrand con prodotti omogenei (sono nella stessa posizione);
allora il prezzo sarà pari ai costi marginali, e pertanto avranno profitti negativi a causa dei costi fissi
sommersi.
Il caso 4 evidenzia come nessuno dei due giocatori entrerebbe se
l’altro lo ha fatto prima. Pertanto si tratta di una preemption
competition. Il gioco verrà vinto dal giocatore con entry time
minore, ovvero quel preciso t che rende nullo il VAN della
e
strategia Entry/Expansion. Per rendere il problema non banale
assumiamo un f che soddisfi le seguenti: 3 3
;
2 4 4
2
La prima assicura che il profitto dell’entrante sia negativo prima dell’espansione del mercato, mentre con la
seconda il monopolista considera conveniente espandersi in assenza di entrata a T, ma non prima. Sappiamo
NE sarà quel
dunque che se NE entra prima nella posizione, I non entrerà, e viceversa. Il tempo di entrata di
che soddisfa l’equazione:
t e 0
1 1
ovvero quel tempo che rende le perdite fino a T–1 pari ai profitti in T. Per quanto riguarda I, nel caso in cui
prima dell’espansione e Mπ dopo; se invece
NE si posiziona prima (entry), egli avrà profitto pari a π Entry Entry
e M π dopo. Dunque il suo t sarà tale che la differenza in
sarà lui a posizionarsi prima otterrà prima π Exp Exp e
termini di profitto tra le due opzioni (espandersi o lasciare che NE entri) sia pari a 0, cioè:
0
1 1
⇔
–π )≥ π V≥(5/4)k, I avrà un entry time minore di NE e taglierà fuori il rivale.
Se (π
Exp Entry Entry
22
Capitolo 6.
La discriminazione del prezzo consiste nel fissare prezzi differenti per lo stesso prodotto. Potrebbe dirsi che è una
strategia per catturare Consumer Surplus che andrebbe perso fissando un
unico prezzo. Il grafico in figura illustra proprio (per un monopolista) in che
modo un prezzo più basso p può catturare Surplus che andrebbe perso
b
fissando solo il prezzo di equilibrio p . Quindi, fissando p per i consumatori
a b
che non sono disposti a pagare il prezzo di equilibrio, il monopolista riesce a
recuperare un surplus pari all’area in grigio (pari a quella in giallo),
vendendo comunque una quantità q a p . Vediamo alcuni meccanismi per
a a
catturare consumer surplus:
Segmentazione del mercato. Se il mercato può essere clusterizzato, le
aziende possono provare a fissare prezzi differenti per i diversi segmenti.
Tariffe two‐part. I consumatori pagano una tariffa fissa più una seconda tariffa variabile dipendente dal
consumo di prodotti/servizi aggiuntivi.
Prezzi non lineari. Il prezzo varia a seconda delle unità acquistate dallo stesso consumatore.
Tyning e bundling. Il venditore di un prodotto vincola quest’ultimo ad altri prodotti, secondo vincoli
tecnologici (tying) o commerciali (bundling). Un esempio del primo caso è la stampante e le cartucce:
questi due prodotti sono tecnologicamente legati e pertanto il venditore abbasserà il prezzo della
stampante mentre alzerà quello delle cartucce (che dovranno essere comprate più spesso). Un esempio del
secondo caso sono invece i pacchetti di Sky.
Discriminazione della qualità. In alcuni casi i venditori discriminano i prezzi in base alla qualità (l’aumento
di prezzo non corrisponde esattamente all’aumento della qualità).
Naturalmente non è sempre possibile attuare la discriminazione del prezzo. In particolare, ci sono due
condizioni dalle quali non è possibile prescindere se si vuole applicare tale politica: market power e assenza di
arbitraggio. Senza potere di mercato le imprese sono price taker e pertanto è necessario per poter fissare i prezzi.
Per arbitraggio si intende la possibilità, per un terzo, di vendere un prodotto ad un consumatore ad un prezzo
più alto di quanto lo ha pagato; la presenza di arbitraggio ostacola l’applicazione della discriminazione del
prezzo, infatti il surplus recuperato finisce nelle tasche di colui che sta facendo arbitraggio. I meccanismi per
prevenire l’arbitraggio si basano sui costi di transazione: se questi sono più alti dell’incremento di prezzo che
è possibile effettuare con l’arbitraggio, l’interesse nel farlo si annulla; vediamo alcune strategie:
Garanzie. Applicare garanzie sui prodotti non trasferibili ad altri. In questo modo il rivenditore non è in
grado di rivendere tali garanzie ai consumatori oppure deve assumersene i costi.
Manipolazione dei costi di transazione. Le imprese discriminano i consumatori sulla base dei loro search cost.
È il caso dei coupon: chi avrà alti search cost perché dà molto valore al proprio tempo non li utilizzerà,
viceversa per i consumatori che cacciano lo sconto. Anche in questo caso non si può applicare l’arbitraggio
poiché il cliente deve fornire il coupon personale per ottenere lo sconto.
Accordi contrattuali. Per eludere l’arbitraggio, le imprese possono aggiungere ai contratti di vendita la
clausola che il compratore non possa rivendere l’oggetto contrattuale. Ad esempio i venditori di PC
possono adottare per studenti e professori la seguente politica: vendere grandi quantità a basso prezzo ma
con la clausola citata prima.
Disposizioni tecnologiche. Un’impresa può ricorrere a espedienti tecnologici per risolvere il problema
dell’arbitraggio. Ad esempio la polvere di metil metacrilato veniva venduta a basso prezzo per scopi
industriali e ad altissimo prezzo per prodotti dentali; i produttori aggiunsero polvere di arsenico nella
polvere di MM venduta per scopi industriali per evitare che questa potesse essere rivenduta ai produttori
di prodotti dentali.
Le strategie di discriminazione del prezzo possono dividersi in tre tipologie che banalmente chiameremo
primo, secondo e terzo tipo. La prima tipologia riguarda il caso in cui il venditore è in grado di estrarre tutto
il surplus da un diverso gruppo di consumatori. In tal caso, il venditore deve avere perfetta conoscenza dei
23
reservation price di ogni gruppo (ovvero il valore che ogni consumatore dà al prodotto, ovvero il prezzo
massimo che è disposto a pagare). Conoscendo tali prezzi le imprese possono estrarre tutto il surplus estraibile
dal mercato se riescono ad applicare ad ogni gruppo il prezzo appropriato. Per questa ragione le imprese sono
continuamente alla ricerca di informazioni sui consumatori attraverso le nuove tecnologie informatiche (i.e.
cookies, o altre nuove tecniche informatiche che forniscono feedback riguardo le preferenze dei consumatori
e/o i prezzi che pagano per determinati prodotti). Gli optional delle macchine servono proprio a raggiungere
il reservation price dei consumatori con più alta propensione al consumo (il consumatore accetterà di pagare
per opzioni in più fino ad arrivare al reservation price).
Naturalmente l’assunzione del primo tipo di discriminazione è molto forte. Più comune è il caso in cui è
conosciuta una caratteristica dei consumatori, ad esempio l’elasticità
della domanda dei gruppi di consumatori. Tale conoscenza porta al
terzo tipo di discriminazione chiamata market segmentation. Si consideri
una impresa con potere di mercato capace di segmentare il mercato in
due gruppi differenti a cui vende esattamente lo stesso prodotto. Se i
costi marginali sono costanti e pari a c, ricordiamo che per il
/ 1 / 1
monopolista sarà e La precedente
.
implica che, se l’elasticità di un gruppo è maggiore (ovvero quel
gruppo è più elastico), il rivenditore aumenterà il prezzo dell’altro,
ovvero del mercato più rigido. La figura illustra proprio questa situazione (si legga il caso di studio delle
esercizi”).
farmacie presente nella dispensa “OIS – Case study ed
Il secondo tipo si riferisce invece alla situazione in cui le imprese non sono in grado di identificare i gruppi di
consumatori (o non hanno abbastanza informazioni) e quindi non possono discriminarli direttamente. Allora
si può fissare un prezzo unico iniziale e successivamente mettere i consumatori di fronte a scelte che
dipendono dalla loro propensione al consumo; ciò permette alle imprese di acquisire ulteriori informazioni e
mettere in pratica la discriminazione del prezzo (in questo caso si parla di temporal price discrimination). Vi sono
tre strategie differenti per applicare questo tipo di discriminazione: tariffe two‐
part, tying e bundling (già visti nel paragrafo precedente).
Vediamo le tariffe two‐part. Supponiamo un mercato in cui esistono due
gruppi di consumatori 1 e 2, dei quali 2 ha domanda più rigida; l’impresa non
conosce l’identità dei due gruppi, ma sa che 1 ha una densità α e 2 pari a 1–α.
Allora è possibile applicare una tariffa two‐part T(q)=A+pq, dove il prezzo p è
pari ai costi marginali c e A=S è il surplus dei consumatori di tipo 1. Con la
1
parte di tariffa fissa pari ad A, il player è in grado di estrarre il surplus del
gruppo con la domanda più elastica, ma non tutto il disponibile di 2. Come
di una quantità Δp (e pertanto p=c+Δp) il gruppo 1 passa da q a
illustra la figura, se si incrementa il prezzo p 1
q’ e 2 da q a q’ ; il risultato è la perdita di K dal gruppo 1 (prima dell’incremento S era pari all’area giallo più
1 2 2 1
l’area verde) e l’estrazione di un surplus pari a K+H dal gruppo 2. Quindi il giocatore ha interesse
nell’aumentare il prezzo della parte variabile della tariffa. Il valore ottimo di tale prezzo è di difficile
non supererà mai il prezzo p
computazione, tuttavia è semplice trovare un upper bound: una impresa m
calcolato come la media pesata dei prezzi monopolistici corrispondenti ai mercati 1 e 2 separati, poiché
ridurrebbe in ogni caso i propri profitti: 1
Quindi il valore ottimo di p si trova tra c e p . Un esempio calzante è una delle strategie delle discoteche:
m
abbassare il prezzo di entrata e aumentare il prezzo dei cocktail e delle bevande. Il surplus estratto tramite la
parte fissa della tariffa diminuisce, ma questo viene più che compensato dalla parte variabile.
Come visto, il tying consiste nel combinare un prodotto principale con uno secondario tecnologicamente legato
al primo. La situazione è molto simile a quella vista per le tariffe two‐part: il giocatore può vendere il prodotto
principale ad un prezzo pari ad A ed il secondario ad un prezzo pari a c. In tal caso ha interesse nell’aumentare
il prezzo del mercato secondario, ma ciò implica una riduzione in quello primario; l’effetto totale è una
riduzione di profitti nel mercato primario minore dell’incremento riscontrato in quello secondario (è proprio
il caso di stampanti e cartucce, dove si è riscontrato una riduzione dei prezzi delle prime in favore
dell’aumento delle seconde).
24
Il bundling consiste nel vendere prodotti “a pacchetti” secondo una
proporzione fissa. Un bundling è solitamente a vantaggio del cliente (vendere
una scarpa destra sempre con una sinistra) ma a volte può essere usata come
una strategia di discriminazione del prezzo. Tale strategia risulta applicabile
e conveniente se abbiamo bassi costi marginali, preferenze eterogenee tra i
consumatori e prodotti complementari. Supponiamo che SKY effettui
un’indagine di mercato, i cui risultati sono i segmenti in figura, entrambi di dimensione N. Il segmento 1 è
disposto a pagare 100€ per avere SKY Sport ma solo 10€ per cinema, viceversa per il secondo. In tal caso SKY
potrebbe utilizzare una pure component strategy mettendo entrambi i prodotti a 100€, totalizzando dei ricavi
pari a 100N+100N, oppure una pure bundling strategy creando un pacchetto a 110€ con entrambi i prodotti,
massimizzando i ricavi per un totale di due volte 110N.
Una particolare tipologia di discriminazione del prezzo è quella basata sulla qualità del prodotto. Un caso
interessante che riguarda proprio questa strategia è quello dei “damaged goods” di Intel. Prima del Pentium,
il migliore chip prodotto dalla Intel era il 486. I buyers del prodotto si potevano dividere in due categorie, sulla
to pay”. Per catturare ambedue le tipologie (senza perdere i possibili profitti
base della loro “willingness derivanti dagli high value buyers, HVB) la Intel ha messo in atto una
differenziazione verticale del 486, creando un prodotto di qualità più
scarsa, il 486X, ottenuto inibendo il co‐processore matematico del chip
fu possibile vendere ad un prezzo elevato il 486
486. In questo modo
agli HVB, catturando comunque i low value buyers (LVB) con il 486X
(naturalmente venduto ad un prezzo più basso). La figura illustra
sarebbe il
graficamente la discriminazione effettuata da Intel. P 1
prezzo fissato per il 486 (corrispondente agli HVB), P il prezzo che i
2 quello per il
low value buyers pagherebbero per il 486, mentre P’
2
486X. Per attuare questa politica Intel dovette sostenere dei costi in più per la produzione dei 486X, ma fu in
grado di discriminare il prezzo in base alle performance dei chip. 25
Capitolo 7.
Scopo di questo capitolo è quello di scendere più a fondo in quello che viene definito comportamento strategico
delle imprese. Innanzitutto distinguiamo una minaccia da una promessa: entrambe sono impegni a compiere
precise azioni in risposta ad azioni di un rivale, ma si distinguono poiché la minaccia è disegnata per
scoraggiare certe azioni, mentre la promessa per incoraggiarle. L’abilità di un player nel trasformare
minacce/promesse in azioni concrete è detta commitments. Affinché un’azione/mossa possa dirsi strategica,
deve soddisfare i seguenti requisiti: un giocatore deve essere in grado di muoversi prima della mossa finale
del rivale, ogni giocatore deve conoscere le mosse già effettuate dagli altri prima di effettuare la propria,
l’azione deve avere effetto sulle proprie mosse future e influenzare il pensiero dei rivali riguardo quest’ultime.
Agire strategicamente deve inoltre avere il cosiddetto effetto diretto, ovvero deve influenzare il comportamento
dei rivali modificando il loro set di possibili alternative o i loro payoff (o entrambi).
Per capire il comportamento strategico è necessario distinguere le scelte strategiche dalle scelte tattiche. Le prime
sono scelte proiettate al futuro che vincolano maggiormente, mentre le seconde si concentrano sul breve
periodo; in particolare una scelta tattica deve sempre essere preceduta da una strategica (la tattica dipende
dalla strategia), infatti non è possibile cambiare strategia se una mossa tattica legata ad essa è già stata
effettuata. Nel lungo periodo una impresa deve
decidere quali investimenti effettuare e tali scelte
influenzeranno il futuro; nel medio‐lungo periodo
bisogna invece scegliere che capacità produttiva
installare, quali caratteristiche deve avere il proprio
prodotto/servizio, eventuali decisioni di integrazione (up o down stream) e strategie di marketing; nel breve
periodo invece le imprese competono sulla quantità o sui prezzi effettuando scelte tattiche influenzate dalla
strategia delineata precedentemente.
Si consideri un gioco (figura a fianco) in cui le imprese competono
sull’output (come in Cournot) e il “game leader” muove per primo
scegliendo l’output tra 5 possibili alternative, mentre il “follower”
compie la sua decisione successivamente. Si tratta di un gioco
dinamico, quindi dobbiamo trovare l’SPNE partendo dalla BRF del
player 2. Considerando q come una costante, abbiamo:
1 ∗
,
∗ ∗ ∗
→ BRF 0
, , : ,
è la quantità che 2 metterà sul mercato in risposta ad un dato output del player 1. Giocando dopo,
Dunque q* 2
sembrerebbe che il giocatore 2 abbia un vantaggio; tuttavia avviene il contrario, poiché il giocatore 1 sa che,
essendo 2 razionale, giocherà la sua best response, che dipende dalla quantità q già scelta da 1. Vediamo come
1
il game leader può sfruttare tale vantaggio. Considerando che 1 può anticipare quale sarà q* , la sua BRF è:
2
∗ ∗
∗ ∗ → BRF
, : 1
I ricavi marginali come in Cournot dipendono dall’effetto diretto (primo termine) e dall’effetto indiretto, che
è negativo; quest’ultimo però è mitigato dal termine (∂q* /∂q ), che è negativo, e pertanto l’effetto indiretto sarà
2 1
moltiplicato per un numero minore di 1. Ciò significa che il valore ottimo di 1 sarà un output maggiore rispetto
a quello di un gioco di Cournot, ovvero quello del giocatore 2 sarà minore (viceversa per i prezzi). In
particolare, qui assumiamo che 0≤ 1+(∂q* /∂q )≤1; l’output totale di mercato sarà Q =q +R (q )=q +q* , e avremo
S
2 1 1 2 1 1 2
∂Q = ∂q + ∂q (∂q* / ∂q )= ∂q (1+( ∂q* /∂q ))≥0. Quindi, essendo q >q , sarà Q >Q e P <P .
S S1 C1 S C S C
1 1 2 1 1 2 1
Finora abbiamo dato per scontato che 1 lasci che 2 entri nel mercato, lasciandolo partecipare alla Stackelberg
competition. In realtà 1, giocando per primo, potrebbe decidere di prevenire l’entrata di 2 nel mercato,
applicando una entry deterrance strategy. Ciò sarà possibile se 1 potrà giocare un output tale che 2 anticipa
l l’output limite, ovvero il minimo livello di output di 1 capace di evitare
profitti negativi. Indichiamo con q 1 l l
l’entrata di 2 nel mercato, ovvero π (R (q ),q )=0. Consideriamo il caso in cui abbiamo ritorno di scala costante
2 2 1 1
26
ed entrambe le imprese hanno la stessa struttura di costi C=cq. Dal file “OIS‐Case study ed esercizi” sappiamo
quale è la quantità q nella competizione di Stackelberg nel caso di domanda lineare, e quindi sarà:
*2 ∗ 0 ⇔
2
Giocando tale quantità, 1 potrà impedire l’entrata di 2, tuttavia si avrà:
, 0
2 2 2 2 2 2
È chiaro come 1 non ha convenienza nell’opporsi all’entrata di 2.
Supponiamo ora di avere costi fissi e sommersi pari ad f (che naturalmente 1 ha già sostenuto, mentre 2 dovrà
: .
sostenere per entrare). In tal caso risulta
1
Dalla precedente vediamo come maggiore è f minore sarà l’output limite e pertanto maggiore sarà il vantaggio
competitivo (ad 1 basteranno output sempre più piccoli per impedire l’entrata di 2). Con tale quantità 1 avrà
sicuramente profitti positivi: ciò significa che 1 dovrà decidere se giocare una
entry deterrance strategy (e giocare da monopolista) o una accomodation strategy
(lasciare che il concorrente entri nella Stackelberg competition) confrontando
i profitti delle due. Con i dovuti calcoli:
4 4 ; 8
La figura illustra come la entry deterrance strategy diventa più conveniente
tanto più alti sono i costi fissi sommersi.
Dal paragrafo precedente si può intuire come una impresa può rendere più applicabile una entry deterrance
strategy se riesce ad aumentare i costi fissi. Ciò può essere fatto tramite gli investimenti (si pensi ad Heineken
che investe in pubblicità somme così alte che i competitor non possono sostenere). In questo paragrafo
vedremo un modello, il Dixit model, che
spiega come utilizzare gli investimenti
in capacità produttiva per scoraggiare
l’entrata. Il modello di Dixit formalizza
il problema con un gioco a due stage
come in figura. Nel primo stage
l’incombente (game leader 1) decide la
capacità produttiva da installare, nel secondo il follower 2 decide se entrare o no nel mercato; nel caso di
entrata, ci sarà una competizione post‐entry di Cournot, e 2 installerà una capacità produttiva pari all’output
che metterà sul mercato (simultaneamente 1 sceglierà quale quantità produrre). Il modello assume che: l’ouput
è omogeneo, la produzione di un’unità di output richiede un’unità di lavoro w (a cui associamo i costi varaibili)
e un’unità di capitale r da investire per avere la capacità produttiva, vi sono dei costi fissi sommersi pari ad f.
Essendo un gioco dinamico dobbiamo utilizzare il concetto di SPNE.
Naturalmente iniziamo con il subgame di Cournot, in cui i giocatori scelgono
contemporanemente l’output. L’equilibrio di Nash per un gioco di Cournot
richiede di eguagliare i ricavi marginali ai costi marginali. I costi marginali di
2 sono pari a r+w, mentre quelli di 1 dipendono dalla quantità che gioca e dalla
capacità produttiva precedentemente installata. Infatti, se q ≤k , i costi di 1 al
1 1
secondo stage sono semplicemente w (i costi per la capacità produttiva sono
sommersi e q non richiede ulteriori investimenti); se invece q >k , l’incombente
1 1 1
avrà costi marginali pari a w+r, poiché dovrà effettuare ulteriori investimenti in capacità produttiva. La best‐
response function di 2 è semplice, poiché, in ogni caso, si trova sempre dal fatto che MR =w+r. Per
w+r 2
l’incombente non è così semplice, dato che la struttura dei costi marginali è una funzione a gradini (linea rossa
∞,
≤+ e dunque per la best‐response function di 1 sarà w≤MR ≤w+r. In
in figura). Sicuramente vale che 0≤k
1 1
come funzione di q e per dato k . Per livelli alti di output, come q , la quantità ottima di
figura vediamo MR e 2
1 2 1
1 sarà minore di k , pertanto avremo MC =w. Per valori bassi di output, come q , la quantità ottima di 1 sarà
a
2
1 1 27
1 Come prima, le formule sono prese dal file complementare “OIS-Case study ed esercizi” e si riferiscono al caso di
domanda lineare (p=A–bq).
maggiore di k , pertanto avremo MC =w+r. Per un livello pari a q vediamo come si avrà q =k , e quindi MC =w.
d
1 1 2 1 1 1
Se l’output è come q , l’incombente non può eguagliare i costi marginali: può scegliere di espandere la capacità
c 2
produttiva, ma MR incontrerebbe la curva w+r per una quantità ancora minore di k , oppure produrre k , ma
1 1
MR incontrerebbe w per una quantità molto maggiore. Dato che entrambe non hanno senso, lasciamo che 1
produca q =k in tale situazione. Solo se 2 produce non più di q ha senso espandere la capacità produttiva e
b
1 1 2
avere MC=w+r.
Il ragionamento appena esposto implica che anche la BRF =R , per dato k , sarà una funzione a gradini, in cui
1 1 1
il primo tratto q =R (q ) vale per quantità q tali che MR incontra i costi
w
1 1 2 2 1
marginali nel tratto w, q =k nel tratto in cui MR passa tra i due tratti (w e w+r),
1 1 1
q =R (q ) nel restante. A sua volta, ciò implica tre tipologie di equilibrio,
w+r
1 1 2
mostrate in figura (BRF in rosso, BRF in blu):
1 2
1. Un equilibrio di Cournot T, nel caso in cui l’incombente ha costi marginali
pari a w+r.
2. Un equilibrio di Cournot V, nel caso in cui l’incombente ha costi marginali
pari a w.
3. Un equilibrio di Dixit, nel caso in cui l’incombente ha BRF pari a k .
1 1
In particolare, il caso della figura prima citata indica la situazione in cui q <k < q ,
T V
1 1 1
e si ha l’equilibrio di Dixit in D (dove si incontrano
le BRF) e l’incombente utilizzerà tutta la sua capacità
produttiva (producendo q =k e sostenendo costi
1 1
marginali pari a w). L’equilibrio di Nash si troverà
in T (fig. a destra) se risulta q ≥k ; in tal caso il game
T
1 1
leader espanderà la capacità produttiva fino a poter
produrre la quantità ottima q , e avrà costi
T
1
marginali pari a w+r. L’equilibrio di Nash si troverà
in V (fig. a sinistra) se risulta k ≥ q ; in tal caso il game leader produrrà la quantità di Cournot e avrà un eccesso
V
1 1
di capacità produttiva, sostenendo costi marginali pari a w.
Avendo risolto il subgame di Cournot, passiamo al primo stage, che consiste nel trovare la capacità ottima che
1 deve installare. Riassumendo: dipendentemente dai valori di w ed r, si avrà una certa funzione a gradini
BRF e una funzione BRF . A seconda del valore di k , l’equilibrio di Cournot si avrà in T o in V, oppure si avrà
1 2 1
un equilibrio di Dixit. Tuttavia, a prescindere dal valore di k , possiamo sapere quale sarebbe il profitto nei
1
punti di equilibrio. Pertanto anche nel secondo stage vi sono tre possibili casi:
1. Monopolio bloccato. I profitti del nuovo entrante risultano negativi già dal punto T. Ciò significherebbe che
2 anticipa profitti negativi nel suo miglior equilibrio possibile (poiché è l’output più grande possibile che
giocherebbe al secondo stage). In tal caso 2 non entrerà mai.
2. Stackelberg. I profitti di 2 sono positivi in V. Ciò significa che i profitti sono positivi nella peggiore
situazione di equilibrio possibile per 2, e l’incombente non potrà scoraggiare l’entrata di 2 (il maggior
l
output che 1 può giocare è quello in V che sarà sicuramente minore di q ). In questo caso 1 può ottimizzare
1
la propria posizione dipendentemente dal fatto che l’output di Stackelberg sia credibile o meno. Nel caso
≤ q , l’output di Stackelberg è più piccolo di quello di equilibrio e quindi la minaccia è credibile.
in cui q
S1 V 1
In tal caso 1 installa una capacità k = q e l’equilibrio di Stackelberg sarà alla destra di quello di Cournot
S1
1
T. Se invece risulta q > q , qualora 1 installasse una capacità k = q avrebbe un eccesso di capacità
S1 V S1
1 1
produttiva: in questo caso installerà invece k = q .
V
1 1 l
< q < q , e 1 potrà giocare una deterrance
3. I profitti di 2 sono negativi in V e positivi in T. Allora sarà q
T V
1 1 1 l
strategy oppure una accomodation strategy. Per decidere dovrà confrontare i profitti π derivanti dalla prima
l l
(in cui installa k =q ) con quelli π derivanti dalla seconda (in cui installa k = q ); naturalmente se π > π
S S1 S
1 1 1 l
allora 1 sceglierà Stackelberg, altrimenti scoraggierà l’entrata di 2 giocando k =q . La relazione tra i due
1 1
profitti appena citati dipende naturalmente dai costi fissi f: più sono alti più 1 opterà per una deterrance
strategy.
In conclusione si può affermare che, secondo Dixit, l’abilità di un giocatore di usare la capacità produttiva
da:
come deterrente per l’entrata di nuovi player dipende
28
L’abilità di ridurre i suoi costi marginali “post‐entry” sommergendo i costi d’investimento al primo stadio;
se infatti questi non sono sunk cost, i costi marginali saranno w+r al secondo stadio e l’equilibrio sarà un
equilibrio di Cournot.
La presenza di economie di scala; infatti, se f=0, l’incombente non troverà mai convenienza nello
scoraggiare l’entrata di altri player.
Ai fini di una comprensione completa, si legga il paragrafo dedicato al modello di Dixit presente nella dispensa
“OIS – Case Study ed esercizi”, grazie al quale risulterà tutto più chiaro.
Distinguiamo le condizioni di ingresso dalle barriere di ingresso. Con la prima si intende la capacità dei giocatori
di fare profitti senza attrarre nuovi entranti (ovvero saper alzare i prezzi oltre i costi medi minimi operativi);
le barriere di entrata sono invece i fattori che rendono l’ingresso di potenziali entranti non profittevole. Molti
studiosi di economia hanno fornito la propria definizione di barriere di entrata, qui ne citeremo tre:
1. Bain‐ Qualunque cosa serva ad un incombente a guadagnare profitti più elevati del normale senza il
pericolo di nuovi ingressi.
2. Stigler‐ Presenza di costi differenziali tra incombente e nuovo entrante.
3. Church&Ware‐ Una qualsiasi caratteristica strutturale del mercato che protegge il potere di mercato
dell’incombente e rende l’ingresso di nuovi entranti non profittevole.
Si può evincere come vi siano due scuole di
pensiero: una pone l’attenzione sulla possibilità
dell’incombente di fare profitti “anomali” (Bain),
mentre l’altra sottolinea il vantaggio nei costi
dell’incombente (Stigler). Anche se minima, questa
differenza fa sì che alcuni fattori rappresentino
barriere di entrata per la prima scuola e non per la
seconda. Inoltre, la definizione di Church&Ware
pone le basi per distinguere due tipologie di barriere
di entrata: strutturali, ovvero dovute a fattori
esogeni e quindi propri del mercato, e strategiche,
ovvero barriere innalzate dal comportamento
strategico dei giocatori presenti nel mercato.
La tabella mostra vari tipi di barriere all’ingresso,
evidenziando se costituiscono barriere di entrata o
meno a seconda del pensiero di Bain o Stigler. Si noti
come le economie di scala sarebbero barriere
secondo Bain, ma non secondo Stigler. In un
mercato caratterizzato da economie di scala, esiste
una capacità produttiva ottima che minimizza i costi medi di lungo e corto periodo. Pertanto, una impresa che
dispone del capitale per installare tale quantità ottima può entrare nel mercato senza alcun svantaggio di costi,
e pertanto le economie di scala non costituiscono una barriera di entrata secondo Stigler. Tuttavia, in un siffatto
mercato, l’entrata di un nuovo player causerà una riduzione del prezzo, cosicché i profitti post‐entry del nuovo
giocatore saranno presumibilmente inferiori dei profitti pre‐entry dell’impresa incombente. Tuttavia, nel
paragrafo 7.2, abbiamo visto che, più elevate sono le
economie di scala, più basso è l’output limite q capace
l
Analisi empirica di scoraggiare l’entrata di nuovi giocatori: ciò
sull’utilizzo di
barriere significa che le economie di scala possono realmente
strategiche costituire barriere all’ingresso. Lo stesso discorso vale
per il costo del capitale ed investimenti in pubblicità.
Abbiamo citato il cosiddetto vantaggio di costo. Con
esso, si intende una situazione in cui l’incombente
riesce ad avere costi medi inferiori del potenziale
entrante per ciascuna possibile scala delle operazioni
(può essere dovuto a tecnologie/brevetti di proprietà,
29
monopolio sulla fornitura, etc.). La possibilità che ciò si traduca in una barriera di entrata dipende dal tipo di
competizione che si instaura nel mercato: se la competizione è di Cournot, il vantaggio si tradurrà in una quota
più elevata per l’incombente e, in presenza di economie di scala, questi potrà impedire l’ingresso dell’entrante;
se la competizione è di Bertrand l’incombente potrà fissare il prezzo pari al costo marginale del nuovo entrante,
scoraggiandone l’entrata.
Fuderberg e Tirole hanno espanso il modello di Dixit visto nel paragrafo precedente ad una situazione più
generale, in cui l’investimento nel primo stage è di qualsiasi tipo (R&D, pubblicità, qualità, etc.) e al secondo
stage la competizione non deve essere necessariamente di Cournot. Il modello si riferisce ad un gioco a due
stadi di questo tipo: nel primo stage il player 1 effettua investimenti (sunk) k in un asset capace di influenzare
1
i profitti futuri; nel secondo stadio si suppone che 2 entri e che competa con 1 secondo le regole del mercato
(tale stadio richiederà dunque un equilbrio di Nash nelle variabili appropriate).
Supponiamo un gioco in cui p=A – bQ, e un investimento in R&D fa sì che per 1 sia C (q )=(c–gk )q +k , mentre
12
1 1 1 1
per 2 sarà C (q )=cq . Sappiamo che, se k =0, le BRF dei player saranno speculari e del tipo q =(A–bq –c)/2b. Se
2 2 2 1 1 2
k >0, allora MC si riduce, e pertanto la BRF si sposta verso destra e l’equilibrio di
1 1 1
Cournot si sposta anch’esso verso destra, favorendo l’impresa 1 (come in figura).
Vediamo tale risultato:
, ⟼ 0 ⟹
⟹ ;
2
2 2
È evidente come 1 ha interesse nell’investire in R&D, poiché più investe per ridurre i costi marginali, più
incrementa i profitti e la posizione competitiva. Il contrario vale per 2, la cui domanda residuale diminuisce
tanto più 1 produce (e conseguentemente diminuisce il suo output). In tale situazione, si dice che le due
imprese sono sostituti strategici, e si dirà che l’investimento rende più forte 1 nella competizione.
Anticipiamo da subito che, con le sole nozioni di microeconomia, si sarebbe direttamente scelto l’investimento
che minimizza i costi dell’impresa; agendo in questo modo si trascura il fatto che ci sarà una competizione, e
infatti un tale investimento non sarebbe realmente quello che massimizza il profitto. Il comportamento
strategico prescrive invece di risolvere prima il 2° stage, trovando la quantità ottima che migliora la propria
posizione competitiva e poi risolvere il primo stadio, trovando l’investimento che massimizza il profitto.
Nel nostro esempio siamo davanti a sostituti strategici, e quindi risulterà che il
valore ottimo dell’investimento sarà maggiore di quello che avremmo trovato
con la minimizzazione dei costi. Vediamo cosa succede se la competizione a
secondo stage è di Bertrand. Come evidenziato in figura, l’effetto di un
incremento di un investimento che riduca i costi sposta la BRF verso sinistra (in
1
c b a
<k <k ). Infatti, in una competizione di Bertrand, se i costi di un player si
figura k
riducono, allora anche il suo prezzo lo farà, e di conseguenza anche quello del
concorrente, rendendo la competizione sui prezzi molto più forte. Ciò non
significa che 1 non investirà, ma che gli investimenti ottimi in questa situazione risulteranno minori di quelli
che si sarebbero trovati con la minimizzazione dei costi (si dice che 1 farà “under‐investments”). Le funzioni di
best‐response sono crescenti perché i prodotti sono sostitutivi, cosicché quando l’impresa 1 incrementa il
prezzo, la domanda per l’impresa 2 aumenta e questa ultima ha la possibilità di aumentare i prezzi a sua volta.
In questo caso le due imprese sono chiamate complementi strategici. Dimostriamo i risultati esposti calcolando:
, , , , → 0 ⟺
1 1
⟺ ; con gli stessi passaggi
2 2 2
2 2 2
Cerchiamo ora di generalizzare quanto detto finora attraverso un framework per due approcci strategici già
visti: strategic accomodation, giocata quando un player non ha interesse nel cacciare fuori dal mercato il rivale
o ad impedirne l’ingresso, ed entry deterrence. Inizieremo con la prima strategia.
Siano x , x le variabili tattiche secondo cui le imprese competono nel secondo stage e sia k la variabile
1 2 1
strategica di investimento. L’incentivo di 1 nell’investire si può scomporre nei seguenti termini differenziali
.
che esprimono l’effetto di una variazione marginale di k sul profitto:
1
30
Tale variazione dipende dunque da tre effetti:
Il primo termine è detto effetto diretto, ed esprime come l’investimento impatta direttamente il profitto.
Il secondo è detto effetto indiretto, e rappresenta la variazione di profitto dovuta alla variazione marginale
della variabile tattica x ; si noti che la condizione di equilibrio (di Nash) al secondo stage richiede che tale
1
termine si annulli per massimizzare il profitto, infatti il valore di x sarà sempre sulla BRF.
1
Il terzo termine indica la variazione di profitto dovuto alla variazione marginale di x ; dato che
2
quest’ultima dipende dagli investimenti k , tale termine è detto effetto strategico degli investimenti di 1.
1
In realtà, il fattore ∂x /∂k del terzo termine dipende anche da x nel secondo stadio: 1 investe ∂k , ciò determina
2 1 1 1
una variazione ∂x che a sua volta causa una variazione marginale di x . Quindi possiamo scrivere:
1 2
Notiamo che, dato che il secondo termine sarà sempre nullo a causa dell’equilibrio di Nash al secondo stage,
in assenza di effetto strategico, l’impresa 1 eguaglia a 0 il primo termine e trova il valore degli investimenti
che massimizza il profitto (nell’esempio precedente trova il k che minimizza i costi). Ciò implica che il segno
1
dell’effetto strategico determina se 1 dovrà effettuare under (negativo) o over‐investments (positivo). Se siamo
nel caso di sostituti strategici il segno sarà positivo, viceversa nel caso di complementi strategici. In particolare, il
prodotto dei primi due fattori del terzo termine è sempre positivo: nel caso di sostituti strategici saranno
entrambi negativi (con Cournot, un aumento di q determina una diminuizione di π , e lo stesso per q con q ),
2 1 1 2
mentre nel caso di complementi strategici saranno entrambi positivi (con Bertrand, un aumento di p 2
determina un incremento di π poiché aumenta anche p , da cui si deduce che anche il secondo fattore sarà
1 1
positivo). Ciò implica che il segno dell’effetto strategico dipende dal segno del terzo fattore: nel caso di sostituti
strategici sarà positivo (over‐investments) in quanto un incremento di k determina una migliore posizione
1
strategica dell’impresa, viceversa per complementi strategici (under‐investments), dove un incremento di k
1
determina una riduzione di p .
1
Vediamo ora come l’investimento strategico influenza la posizione strategica del player 2. Per questo scopo
scriviamo il profitto del player 2 in funzione dell’investimento e della variabile tattica di 1, quindi:
→
,
Diremo che, se gli investimenti determinano una riduzione del
/∂k <0), tali investimenti rendono l’impresa 1
profitto di 2 (∂π
2 1
“più dura” o tough, viceversa (∂π /∂k >0) diremo l’impresa 1 “più
2 1
morbida” o soft. Quindi la posizione strategica dell’investimento
dell’incombente si valuta in base all’impatto dell’effetto
strategico e all’impatto di tale investimento sulla posizione del rivale. Sulla base del confronto di tali impatti
si individuano 4 possibili comportamenti strategici, rappresentati nel framework proposto da Fuderberg e
Tirole che vediamo a fianco. Descriviamo le 4 tipologie di comportamento strategico:
1. Top Dog. Poiché gli investimenti rendono l’impresa 1 più dura e la competizione è tra sostituti strategici, 1
investirà sempre di più per essere più competitiva, comportandosi come un cane da combattimento.
2. Puppy dog. Da un lato l’impresa dovrebbe investire per indebolire il rivale, dall’altro l’investimento
incrementa la competizione e riduce i profitti. Allora l’impresa si comporterà come un cane non aggressivo
che deciderà se investire in funzione delle proprie necessità e della congiuntura .
1
3. Lean and hungry look (dog). L’impresa vorrebbe investire di più a causa dell’effetto strategico, tuttavia gli
investimenti la rendono soft, pertanto apparirà come un cane magro e affamato con le spalle al muro.
4. Fat cat. Gli investimenti renderebbero il giocatore più soft e ridurebbero i profitti secondo l’effetto
strategico, pertanto si comporterà come un gatto grasso soddisfatto della situazione e senza alcuna voglia
di intraprendere azioni d’investimento.
Vediamo adesso il comportamento dell’incombente nel caso in cui decidesse di scoraggiare qualsiasi entrata.
Elaboriamo un framework che valga a prescindere dal tipo di investimento. Nel nostro caso, ciò comporta un
investimento a priori per svantaggiare l’entrante nell’equilibrio post‐entry, e quindi l’incombente si
preoccuperà unicamente dell’effetto dei suoi investimenti sui profitti dell’entrante. Se gli investimenti rendono
l’impresa 1 più dura, allora questa dovrà sovrainvestire (fino ad una quantità tale che 2 anticipa profitti post‐
31
1 Complesso di fattori che, in un dato momento, determinano l'andamento generale dell'economia (i.e. recessione).
entry negativi) per impedire l’ingresso di 2, e pertanto si comporterà come una top dog. Se invece gli
investimenti incrementano i profitti post‐entry di 2, l’incombente dovrà sotto investire, applicando una
strategia di tipo Lean and Hungry Look.
Ricordiamo un concetto già spiegato nel documento “Marketing Management – C.Scimeca, R.Scimeca”. Per
economia di esperienza (o di apprendimento) si intende l’incremento della produttività in funzione dell’esperienza
maturata dalla forza lavoro. In termini economici,
ciò si traduce in una riduzione del costo medio
unitario all’aumentare del volume cumulato di
produzione. Questo fenomeno viene espresso
attraverso le curve di apprendimento o di esperienza
(curva in figura). La riduzione dei costi medi unitari
è legata al tasso di apprendimento Ta, che misura in
percentuale la riduzione di tali costi quando il
volume di produzione cumulato raddoppia (i.e. se
Ta=80%, quando il volume cumulato raddoppia il
costo medio unitario si riduce dell’80% rispetto al
costo iniziale associato al volume iniziale). Una
curva di apprendimento come in figura esprime quindi la relazione tra output cumulato p e costo unitario
relativo all’ultima unità di output prodotta Cu, attraverso la relazione Cu=Ap–β, in cui A è il costo della prima
unità prodotta e β= –ln(Ta)/ln2. Ciò che ci interessa è sapere in che modo questo fenomeno impatta le decisioni
strategiche. Iniziamo con il caso di un monopolista; a tale scopo consideriamo il profitto di un monopolista
tra due periodi, supponendo che produca q nel primo periodo e q nel secondo:
1 2
,0 ,
Naturalmente δ è il fattore di sconto e la seconda varibile inserita per i costi indica l’esperienza accumulata.
Imponiamo la condizione di ottimizzazione del profitto nel monopolio con economia di apprendimento:
, ,
0 ⟺ ,0 0 ⟺ ,0
Dalla precedente si evince come, rispetto alla condizione standard MR=MC, ci sia un termine additivo che
rappresenta proprio la riduzione dei costi nel secondo periodo dovuti alla produzione del primo. In
particolare, quanto maggiore è la produzione nel primo periodo, tanto minore è il costo marginale nel secondo
grazie all’esperienza accumulata. Pertanto, in un monopolio con apprendimento, il monopolista produrrà una
quantità ottimale q maggiore di quella che produrrebbe senza economia di esperienza.
1
Si consideri un duopolio con accomodamento strategico, rappresentabile con un gioco dinamico in cui nel
primo periodo un incombente 1 produce un output soggetto ad economia di esperienza e nel secondo periodo
entra un player 2 che competerà con 1 come in Cournot. Pertanto i costi marginali di 1 saranno soggetti
all’effetto di apprendimento, mentre quelli di 2 no poiché entra nel secondo periodo. Vediamo quale sarà il
comportamento strategico di 1 utilizzando il framework Fudenberg‐Tirole (in questo caso la variabile tattica
sarà la quantità prodotta e 1 investirà nell’apprendimento, ovvero investirà proprio nel produrre una quantità
q ). Sappiamo che in Cournot un vantaggio nei costi si traduce in un output di equilibrio più grande del rivale;
1
pertanto più si investe più sarà tale vantaggio e quindi sempre minore il profitto dell’entrante (si riduce al
diminuire del suo output di equilibrio). Allora siamo in presenza di una competizione tra sostituti strategici
in cui gli investimenti rendono l’incombente più duro. Ciò implica che 1 si comporterà come un top dog:
incrementerà strategicamente il suo output di primo periodo per essere più competitivo nel secondo grazie
all’esperienza accumulata (il suo over‐investment consisterà proprio nel produrre una quantità elevata).
Si consideri ora un caso analogo in cui però la competizione al secondo stage sarà bertrandiana. Gli
investimenti in apprendimento rendono in ogni caso l’impresa più dura, poiché ∂π /∂q è negativo. Tuttavia
1
2
siamo in presenza di complementi strategici, quindi una maggiore efficienza nei costi si traduce, nella
competizione di Bertrand, in una riduzione del prezzo. Se la riduzione fosse troppo drastica, l’impresa 1
potrebbe utilizzare gli investimenti in apprendimento per portare fuori dal mercato il rivale, ma, in caso
contrario, determinerebbe un decremento del prezzo di 2, scatenando una competizione sui prezzi e riducendo
i profitti di entrambe le imprese. Pertanto è possibile affermare che, in una situazione di strategic
32
accomodation, l’impresa 1 si comporterebbe come un puppy dog: 1 non aumeterebbe gli investimenti sulla
quantità q al primo stadio perché ridurebbe il profitto al secondo stage, ma, se attaccato, l’incombente
1
potrebbe rispondere fortemente all’entrante.
Un settore in cui le economie di esperienza sono significative è l’industria della produzione di aerei. Ogni
volta che viene rilasciato un nuovo modello di aereo, il primo che arriva nel mercato con tale modello ha
interesse nel percorrere la curva di apprendimento il prima possibile per ridurre i costi marginali prima che si
presenti un prodotto concorrente. Per accumulare quanta più produzione possibile prima dell’arrivo del
rivale, l’incombente sconta i prezzi del nuovo modello in modo da ottenere quanti più ordini possibili. Le
perdite dovute ai prezzi scontati rappresentano proprio gli investimenti in apprendimento dell’incombente.
Per quanto riguarda la situazione di strategic entry deterrence, si evince subito che l’incombente si comporterà
come un top dog, poiché l’investimento renderà l’impresa più dura.
Come sappiamo, gli switching cost o costi di switch sono i costi che un consumatore deve sostenere se vuole
cambiare prodotto. Questi possono essere costi reali (i.e. costo che si pagava per mantenere il proprio numero
cambiando compagnia telefonica) o figurativi (i.e. tempo che spendi per imparare ad usare un nuovo cellulare).
Dal punto di vista dell’impresa, la presenza di tali costi divide i consumatori in due categorie: nuovi
consumatori, ovvero coloro che non hanno mai usato il prodotto e quindi incorreranno in searching o learning
cost, e consumatori con esperienza, ovvero quei consumatori che hanno già sperimentato il prodotto e quindi
hanno già sostenuto i costi appena elencati ma incorerranno in switching cost se vorranno cambiare prodotto
(o servizio). Un monopolista vorrebbe applicare la discriminazione del prezzo a queste due tipologie di
consumatori, ovvero applicare prezzi più bassi ai primi (per catturarli) e più alti ai secondi (il mercato è
protetto dai costi di switch). Tuttavia, in questo paragrafo, siamo interessati al modo in cui tali costi possono
essere usati a livello strategico. Per questo scopo, esistono due diversi meccanismi: manipolazione strategica di
una base installata di consumatori e manipolazione della struttura dei costi di switch.
Per rappresentare il primo, consideriamo un gioco a due stadi in cui: nel primo
stage l’incombente è un monopolista in un mercato con soli nuovi consumatori,
nel secondo entra un rivale che avrà anch’egli solo nuovi consumatori, ovvero
consumatori con esperienza dell’incombente più altri che quest’ultimo non
aveva catturato (in tale stage la competizione sarà sulla quantità); in ogni
periodo la domanda del mercato è P=A–Q e formalizziamo con s i costi che i
consumatori devono sostenere per utilizzare a pieno il prodotto (switching cost
dei consumatori per entrambi i player); siano poi c i costi marginali per
entrambi i player. Applichiamo la backward induction e iniziamo quindi risolvendo lo stage 2. L’incombente
venderà a due tipologie di consumatori: i consumatori che hanno già comprato
dall’incombente nel primo stage e non dovranno sostenere costi di switch (base
installata di consumatori) e i consumatori nuovi (ovvero quelli che non hanno
comprato da 1 nel primo stage ma lo fanno nel secondo, sostenendo s). Per la
prima tipologia la domanda residua sarà P=A–Q–qe, con qe quantità giocata
dall’entrante, e il ricavo marginale è pari a MR=A–2Q–qe. In figura vediamo la
quantità ottima q che l’incombente gioca per i consumatori con esperienza. Il
E1
prezzo per i nuovi consumatori sarà invece P=A–Q–qe–s e il ricavo marginale
sarà MR= A–2Q–qe–s. Nella figura più in
basso vediamo invece la quantità ottima q
N1
che l’incombente venderà ai nuovi consumatori (naturalmente vale
q <q ). Quindi l’incombente avrà due BRF, una per i consumatori con
N1 E1
esperienza ed una per i nuovi, e la prima sarà sempre spostata verso destra
rispetto alla seconda, come mostrato in figura. Come in Dixit, abbiamo tre
possibili equilibri T, D (se esiste) e V. L’incombente vorrà sempre un
equilibrio di tipo V. Al crescere dei consumatori installati nel primo
periodo, la BRF di 1 si sposta verso destra e quindi si sposta sempre più
verso la situazione in cui l’equilibrio sia proprio in V (in particolare, se 1 installa tutti i consumatori al primo
stadio l’equilibrio sarà sicuramente in V). Avendo una competizione tra sostituti strategici in una situazione
33
in cui gli investimenti rendono piu dura l’impresa 1, l’incombente si comporterà come un top dog, investendo
quanto più possibile nel primo stage per cercare di installare il maggior numero di consumatori possibile.
Vediamo la seconda strategia. Riprendendo il ragionamento di prima è evidente che maggiore è il valore di s
più la BRF dei nuovi consumatori si sposterà verso sinistra e l’equilibrio in V diventa sempre più plausibile;
pertanto, incrementare s ha lo stesso effetto di incrementare la base di consumatori installata nel primo stadio.
Ancora una volta l’incombente si comporterà come un top dog, investendo quanto più possibile nell’aumento
dei costi di switch. Un esempio di tale strategia è il frequent flyer program utilizzato nel 1980 da molte compagnie
aeree, che mira ad aumentare i costi di switch per i passeggeri consolidati.
I costi di switch sono presenti in molti settori, quali informatica, telecomunicazioni, banche, etc. In tali settori
le imprese utilizzano tali costi per scoraggiare l’entrata di nuovi player o effettuare una accomodation strategy,
ma anche per discriminare il prezzo. In particolare, sono stati osservati due approcci di pricing in presenza di
costi di switch: bargain than rip‐off price e invest or harvest principle. Il primo consiste nell’agire in questo modo:
offrire sconti per catturare nuovi consumatori nel primo periodo per poi alzarlo (essendo protetti dai costi di
switch). Il prezzo introduttivo è necessario per attrarre i consumatori e richiede un investimento, mentre il
secondo deve essere tale da massimizzare il profitto nei due stage. Il principio di mietere o investire consiste
nella seguente scelta: investire per installare più consumatori oppure mungere quanto più possibile la base
già installata sfruttando la protezione degli switching cost?. La letteratura concorda nel fatto che un’impresa
dovrebbe scegliere di mungere quanto più possibile i propri consumatori se ha una posizione dominante nel
mercato, anche a costo di perdere eventuali consumatori con costi di switch più bassi; in caso contrario,
l’impresa deve provare a catturare più consumatori e quindi scegliere di investire. Tuttavia, tale strategia
risulta rischiosa se i costi di switch sono troppo bassi o troppo alti: nel primo caso il concorrente potrebbe
reagire riducendo i prezzi, mentre nel secondo caso l’impresa potrebbe non essere in grado di sostenere i costi
che lo sconto richiede.
Anche il tying, che abbiamo visto con la discriminazione del prezzo, può essere utilizzato come investimento
strategico. Si suppongia che una impresa X venda i prodotti a e b, in due mercati
A e B, in particolare in A è monopolista mentre in B compete con Y. Supponiamo
inoltre che in A i consumatori non comprino oltre un prezzo pari a w e che in B
ciascun consumatore compri al più un solo prodotto. In figura abbiamo le BRF
di X e Y in B, con una competizione tra complementi strategici, e viene illustrato
l’effetto del tying tra a e b (in questo caso anche bundling) venduti insieme al
prezzo w. I consumatori del mercato A comprano il pacchetto a w, poiché
pagherebbero tale cifra per avere anche solo a, e X guadagna (in A) w – c per
ogni unità, con c costi marginali del pacchetto. In questo modo, il costo
marginale relativo alla vendita di un altro prodotto in B si riduce di c. Proprio
per questo la curva della BRF si sposta verso sinistra. L’effetto del tying è dunque quello di ridurre i prezzi.
Nel caso di strategic accomodation, l’impresa X potrebbe avere interesse nel ridurre i prezzi solo per cacciare
fuori il rivale (ovvero se il prezzo di b fosse al di sotto dei costi medi variabili di Y); se così non fosse l’impresa
si comperterebbe come un puppy dog, poiché l’investimento rende l’impresa più dura in una competizione
tra complementi strategici. Nel caso di entry deterrence, l’impresa X si comperterebbe come un top dog,
investendo fino ad abbassare il prezzo al di sotto dei costi medi del rivale.
Un ulteriore esempio di investimento strategico è la separazione verticale. Spieghiamolo con un esempio. Si
considerino due compagnie petrolifere, i.e. Esso e Agip; entrambe lo compagnie sono verticalmente integrate
nella produzione e vendita del prodotto relativo alla raffinazione del petrolio. Tali player competono secondo
un modello Bertrand/Hotelling di prodotti spazialmente differenziati. Si supponga che la Esso decida di
vendere la propria rete di vendita a terzi, separandosi verticalmente. In tal caso la Esso aumenterebbe i prezzi
di vendita alla rete di distribuzione per provare a fare profitti monopolistici e, di conseguenza, la rete di
distribuzione appartenuta alla Esso aumenterà i prezzi. Essendo una competizione di Bertrand, anche Agip
aumenterà i prezzi. L’effetto di tale strategia è dunque un aumento dei prezzi di equilibrio del mercato. In
particolare, la strategia di separazione verticale renderebbe la Esso più morbida in una competizione tra
complementi strategici, quindi si comporterebbe come un fat cat; nel caso di entry deterrence Esso si
comporterebbe come un lean and hungry look dog.
34
Capitolo 8.
Anche la qualità può essere utilizzata come variabile competitiva ed essere uno strumento strategico per
ottenere o mantenere potere di mercato. La qualità di un prodotto è legata al concetto di differenziazione
verticale, già spiegata nel capitolo 5. Ricordiamo la distinzione tra search goods, ovvero prodotti la cui qualità
è conosciuta dai consumatori anche prima di comprarli, e experience goods, ovvero prodotti la cui qualità può
essere conosciuta dai consumatori solo dopo averne avuto esperienza. Per i secondi, si dice che l’informazione
è asimmetrica, ovvero il venditore ha più informazioni del compratore circa la qualità del prodotto. Nel caso di
experience goods, l’asimmetria informativa induce scetticismo nei consumatori circa la qualità del prodotto e
pertanto i sellers hanno interesse nel ridurre tale fenomeno. Ciò può essere fatto tramite la reputazione o
tramite commitment, ovvero accordi tra impresa e consumatore sulla qualità del prodotto che consistono in un
compenso per il consumatore nel caso in cui il prodotto non rispetta la qualità dichiarata (i.e. garanzie sui
prodotti). Nel caso di search goods invece, si dice che l’informazione è simmetrica. Per questo motivo i
produttori non hanno possibilità di manipolare l’informazione per influenzare i consumatori e quindi la
qualità sarà una variabile tattica come prezzo e quantità.
Si consideri un monopolio i cui prodotti sono search goods e la curva di domanda
inversa può esprimersi in funzione della quantità q e della qualità del prodotto s.
In figura vediamo come il prezzo è decrescente con q ma crescente con s. Ciò
significa che, offrendo un prodotto di qualità maggiore, si può richiedere un premio
(nel prezzo) e infatti la curva in figura si sposta in alto. Tuttavia, incrementare la
qualità ha un costo, cioè la funzione dei costi è crescente con s (così come i ricavi).
Pertanto bisogna trovare la qualità ottima da offire con la solita massimizzazione
del profitto: scriviamo la funzione di profitto in funzione di q e di s, ne calcoliamo la derivata in s e la poniamo
pari a 0. Nel caso di search goods è possibile utilizzare la qualità per discriminare il prezzo, come visto nel
caso dei damaged goods. Si consideri un’impresa con potere di mercato che vende due prodotti verticalmente
differenziati e si supponga che vi siano due segmenti di consumatori, distinguibili
in high quality consumers e low quality consumers. Il monopolista può effettuare
una discriminazione del terzo tipo, basandosi sulla diversa elasticità che hanno le
curve HQ ed LQ in figura. A tale scopo basterà vendere due prodotti, uno di alta
qualità ad un prezzo alto (s *, p *) ed uno di bassa qualità ad un prezzo basso (s **,
H H L
p **). Si noti come la coppia (s *, p *) non va bene per il prodotto di bassa qualità
L L L
poiché incontra la curva HQ, e dunque l’impresa rischia di perdere profitti dal
prodotto di alta qualità poiché gli HQ consumers sarebbero indifferenti nel
comprare il prodotto HQ o LQ (avverrebbe la cannibalizzazione di prodotto).
Passiamo al caso degli experience goods. In tal caso il problema delle imprese è quello di “segnalare” la propria
qualità ai consumatori che non hanno già avuto esperienza con il prodotto, per ridurre l’asimmetria
informativa. Un segnale è buono tanto più riesce ad attirare gli HQ consumers al proprio prodotto (i.e. le stelle
Michelin nei ristoranti: anche non avendo provato quel ristorante, tale signale riesce ad attirare HQ consumers
che si convinceranno che il servizio sarà di qualità) fino a separare il mercato HQ da quello LQ. Vedremo tre
modelli che rappresentano tre strategies for product quality signaling.
Il modello di Shapiro è un modello dinamico in cui i giocatori scelgono sequenzialmente qualità e prezzo dei
propri experience goods e i consumatori hanno aspettative circa il prodotto che compreranno basate sulla
reputazione che il giocatore ha ad ogni step del gioco; in particolare, la reputazione allo step t coincide con la
qualità del prodotto a t–1. Sia q la qualità del prodotto, q il lower bound della stessa (in base a tecnologia,
0
caratteristiche del mercato, leggi, etc.), c(q) il costo unitario per produrre un prodotto di qualità q (funzione
monotona crescente); si supponga inoltre che i consumatori comprino una sola unità ogni volta che acquistano
e che il mercato sia competitivo tale che le imprese debbano fissare un prezzo pari al costo marginale. Nel
primo step un giocatore non può convincere i consumatori della qualità del proprio prodotto, poiché non lo
conoscono e il giocatore non ha reputazione, pertanto l’impresa fisserà p=c(q ). Tuttavia il giocatore avrà costi
0 35
pari a C(q), e quindi avrà perdite, che rappresentano proprio l’investimento in qualità (investimento della
reputation strategy). Un ulteriore ipotesi di tale modello è la cosiddetta no milk condition, che prescrive che i
giocatori non possono utilizzare la reputazione per “mungere” i consumatori, cioè i player non fisseranno mai
un prezzo p=c(q) per un prodotto di qualità q’<q. Affinchè tale ipotesi sia verificata, il valore attuale dei profitti
derivanti da una strategia “no milk” deve essere maggiore dei profitti di breve periodo derivanti da una
strategia di “cheating” (imbrogliare i consumatori). Abbiamo specificato che tali profitti concernono il breve
periodo poiché non è possibile fare cheating oltre il primo step poiché i consumatori se ne accorgerebbero.
Pertanto il profitto della strategia di cheating sarà pari al prezzo di reputazione meno i costi c(q ) al primo
0
periodo, e nullo nei successivi. I profitti delle due strategie saranno dunque (con r tasso di sconto):
1
; 1
Allora, affinchè la “no milk condition” sia credibile, deve essere:
1 ⟺
La precedente evidenzia come il prezzo di reputazione deve mantenersi maggiore dei costi di produzione di
una quantità pari al secondo addendo del secondo membro, chiamato profitto di reputazione. Tale profitto
fornisce costantemente l’incentivo per investire in qualità e risulta una percentuale pari ad r della differenza
del prodotto di qualità e il costo del prodotto base. Per concludere tale modello, deve essere
tra il costo
verificata una ulteriore condizione: il mercato deve essere in free‐entry equilibrium. Supponiamo che
un’impresa entri nel mercato con un prodotto di qualità q ad un prezzo p . Nei periodi successivi, il giocatore
0
avrà sviluppato una certa reputazione, e pertanto farà profitti pari a p(q)–c(q) come l’incombente. Allora la
condizione affinché l’entrante trovi sconveniente entrare nel mercato è:
0 ⟺ 0 ⟺
1
Confrontando la precedente con la no milk condition, si ottiene:
Pertanto, nell’ipotesi che l’incombente non “munga” la propria
reputazione, affinchè il mercato sia in equilibrio free entry, questi deve
fissare un prezzo pari al costo marginale del prodotto (di qualità q) più il
profitto di reputazione. La figura illustra quanto detto finora e da questa si
profitti sono nulli in q . Il modello di Shapiro è abbastanza
evince come i 0
semplice perché assume che i consumatori apprendono in un solo periodo
la qualità di un prodotto e le imprese possono
quindi costruirsi (o perdere) una buona reputazione in un unico periodo. Nella
pratica, i profitti di un’impresa che investe nella reputazione seguono un
andamento ad S come in figura. Inoltre la no milk condition è un assunzione
molto forte, poiché le imprese tendono, nella pratica, a speculare sulla propria
reputazione. I.e., se un’impresa percepisce che una tecnologia sopprimerà il
mercato dei prodotti basati su quella obsoleta, allora mungerà la sua
reputazione, poiché non avrebbe senso continuare a investire in qualità; o ancora, se un’impresa percepisce
che un concorrente prima o poi lo rimpiazzerà smetterà di investire in qualità e mungerà la sua reputazione.
La pubblicità può essere uno strumento molto efficace per segnalare la qualità di un’impresa o di un prodotto
in particolare. Di questo aspetto si occupa il modello di Nelson, basato sulla seguente congettura: “un’impresa
che produce prodotti di qualità puo investire significativamente in pubblicità per segnalare la qualità del
prodotto e l’investimento effettuato sarà recuperato quando la qualità del prodotto sarà affermata; al contrario,
un’impresa che produce prodotti di bassa qualità troverà sconveniente investire in pubblicità perché non potrà
recuperare gli investimenti effettuati: i consumatori scoprirebbero prima che la qualità è bassa”.
Formalizziamo tale concetto. Supponiamo siano possibili solo due livelli di qualità, H (alta) e L (bassa), cui
corrispondono profitti (non appena i consumatori sono consci della qualità del prodotto) e costi adeguati al
livello stesso. Sia π il profitto massimo che un’impresa può guadagnare in un singolo periodo con un prodotto
IJ
di qualità I se i consumatori pensano che questo abbia una qualità J. Allora π è il profitto di un’impresa con
LH
prodotti di bassa qualità che fa credere ai consumatori di vendere prodotti di qualità alta (quindi con una
36
strategia di cheating o di inganno). Deve allora essere π > π > π . Senza la pubblicità, un’impresa che
LH HH LL
vende prodotti di bassa qualità trova conveniente la strategia di inganno, poiché avrà:
Infatti, senza la pubblicità, i consumatori non distinguono a priori la qualità dei prodotti, pertanto nel primo
periodo saranno sempre ingannabili. Se invece l’impresa che vende prodotti di qualità H effettua investimenti
in pubblicità, può rendere la strategia di cheating sconveniente. Se l’impresa ad alta qualità pubblicizza i
propri prodotti, anche il concorrente di bassa qualità deve farlo, se vuole attuare la strategia di inganno,
altrimenti i consumatori non crederebbero di qualità il prodotto che invece è scarso. In particolare, questi
advertising investments A che l’impresa effettua devono essere tali che:
;
La prima assicura che gli investimenti A rendono la strategia di inganno non profittevole (per attuarla, il
concorrente deve effettuare lo stesso investimento dell’impresa ad alta qualità); la seconda assicura che il
valore attuale dei profitti di un’impresa ad alta qualità che segnala il proprio prodotto tramite advertising sia
maggiore di quello di un’impresa a bassa qualità che non fa pubblicità e non inganna i consumatori. Se queste
sono entrambe verificate, l’impresa di alta qualità riesce a separare il mercato HQ da quello LQ, ovvero i
prodotti di qualità H verranno venduti in un mercato separato da quello in cui si vendono i prodotti di qualità
L. Utilizzando le precedenti, sappiamo che il valore di tale investimento deve soddisfare la seguente:
1
Tramite la precedente, possiamo concludere dicendo che l’investimento in pubblicità deve essere: maggiore
del vantaggio attuale che l’impresa con prodotti L ottiene con la strategia di inganno; minore del valore attuale
profitti futuri, meno
della differenza tra i profitti con H e quelli con L. Si noti infine che, più l’impresa sconta i
la strategia di segnalazione tramite pubblicità risulta conveniente.
Un ulteriore metodo di segnalazione sono le garanzie. Infatti, un consumatore che compra un prodotto con
una garanzia di durata tenderà ad assegnare alta qualità al prodotto, poiché sa che il produttore non avrebbe
interesse nel mentire al riguardo. Le garanzie possono essere usate strategicamente dai produttori; vediamo
come attraverso il warranty model. Si supponga che: produrre un bene di bassa qualità costi meno che produrne
uno di alta qualità; se tutti i prodotti sono offerti a garanzia piena, diventa più economico produrre prodotti
di alta qualità a causa dei costi di rimpiazzo (prodotti di bassa qualità dovranno essere rimpiazzati con
probabilità molto più elevata); la qualità q di un prodotto si possa misurare attraverso il complemento a 1 della
probabilità che il prodotto si guasti in un dato periodo e che quest’ultima sia costante nel tempo. Sotto tali
ipotesi, il costo totale per produrre un prodotto e garantirgli una garanzia piena sarà:
1 1
→ 1
1
Quindi il costo di un prodotto con garanzia sarà pari al costo di produzione c(q) più il costo attualizzato per
rimpiazzarlo (evento che ha probabilità pari al complemento a 1 di q). La precedente è, come detto, decrescente
un prezzo pari a C(q) . Allora il concorrente di bassa
in q. Supponiamo che il produttore di alta qualità fissi w
qualità ha due possibili scelte: continuare a vendere senza offrire garanzie oppure iniziare ad offrirle. Nel
secondo caso però, farà profitti negativi poiché avrà costi superiori al prezzo fissato dall’impresa di alta
qualità. Pertanto sarà costretto a perseguire la prima strategia, offrendo prodotti senza garanzie a prezzi più
bassi (adeguati al livello di qualità più basso) per i LQ consumers. Ciò significa che le garanzie sono un ottimo
segnale di qualità, poiché in grado di creare un equilibrio separato. I.e., un monopolista potrebbe utilizzare
questa strategia per discriminare il prezzo, offrendo diversi tipi di garanzie per diverse qualità di prodotto.
La pubblicità viene largamente usata come strumento strategico. Distinguiamo normative advertising e positive
advertising: la prima si riferisce alla pubblicità verso il bene comune, la salute dei cittadini, etc., mentre la
seconda riguarda gli investimenti pubblicitari ai fini della competizione. Naturalmente è di nostro interesse la
seconda tipologia. Questa si divide in pubblicità persuasiva o informativa, tra le quali vi è una sostanziale
differenza: la prima mira alla persuasione del pubblico, mentre la seconda ha il solo scopo di informarlo.
Analizziamo nel dettaglio la pubblicità persausiva, scoprendo il livello ottimo di investimenti in tale tipo di
pubblicità, assumendo che la domanda di mercato in funzione di essa sia una funzione monotona e crescente.
Pertanto la domanda di un monopolista si potrà scrivere Q(A, p)=Z(A) – bp. Qui, Z(A) è la dimensione massima
37
del mercato, ed è funzione di A, che ha quindi l’effetto di spostare la curva di
domanda in alto a destra. In realtà gli investimenti in pubblicità hanno anche effetto
sulla pendenza b, rendendo la domanda più rigida, ma considereremo b come una
costante. Indicheremo con ε l’elasticità della domanda in funzione degli
A , che esprime l’incremento percentuale
investimenti A, cioè:
della domanda corrispondente all’incremento unitario degli investimenti in
pubblicità. Troviamo l’ottimo del monopolista:
, , , ∗ ∗ 1
, ∗
0 ⟺ 0 ⟺ ⟺ ∗
∗
1 1
, ∗
0 ⟺ 1 0 ⟺ ⟺ ∗ ∗
Risolvendo il sistema formato dalle precedenti, e ricordando la definizione di ε otteniamo:
A
∗ ∗ ∗
1 1 1
⟺ ⟺ ⟺
∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗
Nella precedente, F* indica il fatturato del monopolista al livello ottimale di p ed A. Tali investimenti sono
quasi sempre dei sunk cost e vengono scelti come percentuale del turnover. Ma quanto deve essere alta tale
percentuale? La precedente ci dice che la percentuale ottima del fatturato da investire è pari al rapporto tra
l’elasticità della domanda rispetto a tali investimenti e l’elasticità rispetto al prezzo (e quindi dipende dalle
caratteristiche del mercato). Ciò implica che più un mercato è rigido, più il tasso di investimento deve essere
elevato. Naturalmente più la domanda è elastica rispetto a tali investimenti più il tasso ottimale è alto.
Abbiamo visto il livello ottimo di pubblicità persuasiva. Tuttavia gli investimenti in advertising possono
utilizzarsi anche come competitive weapon. Nel 1956, Bain illustrò come la pubblicità possa essere usata per
innalzare barriere di entrata, mostrando il caso di vari mercati (sigarette, detergenti, birra, etc.) in cui esisteva
un livello minimo di pubblicità per entrarvi ed essere competitivi allo stesso tempo. Tale idea si può modellare
estendendo il free entry equilibrium di Cournot. Assumiamo che tutte le imprese abbiano la stessa funzione
di costo C(q)=a + f + cq, con f costi fissi di set‐up, c costi marginali ed a sunk cost pubblicitari; quindi stiamo
assumendo che vi siano investimenti pubblicitari esogeni (poiché dettati dal mercato) necessari per entrare.
Ricordando la formula per il numero di imprese in free entry eqilibrium in un gioco di Cournot , qui si ha:
1
1
1 → 1
che risulta inversamente proporzionale ad a. La seconda equazione esprime una
relazione tra la concentrazione del mercato (qui espressa come (1/1+n)) e la sua
dimensione massima (A), e risulta un’iperbole: in un oligopolio di Cournot, più è
grande la dimensione del mercato, minore sarà la concentrazione, secondo
l’andamento in figura. Un incremento di a determina uno spostamento come in figura,
e quindi una più alta concentrazione per data dimensione del mercato.
Vediamo cosa succede se gli investimenti in pubblicità sono strategici ed endogeni, ad esempio pubblicità che
segnala la qualità. Una tale sitauzione è stata modellata da Sutton con un modello a tre stage molto complesso
in cui gli investimenti in advertising sono una variabile competitiva; in questa sede ci limiteremo a studiare i
risultati descrivendolo in modo semplificato. Nel primo stadio, abbiamo due imprese che decidono se entrare
o meno; nel secondo decidono quali sunk advertising investments effettuare, identificando così il livello di
qualità del prodotto; nel terzo stadio scelgono la quantità da immettere nel mercato. Nel secondo stadio le
imprese scelgono dunque quanto investire in pubblicità, che non è dunque una quantità fissa come in Bain.
Avendo supposto che la qualità percepita dai consumatori u è funzione degli investimenti pubblicitari, allora
possiamo scrivere quest’ultimi come a(u), ovvero la funzione inversa (monotona e crescente in u). Questi
investimenti continuano a impattare solamente sui costi fisti sommersi, che saranno pari a F(u)=f + a(u).
Presentiamo i risultati che ci interessano di un siffatto modello. Come fatto nel modello di Bain,
rappresentiamo la relazione tra la concentrazione (stavolta scritta come l’inverso del numero di imprese in
38
1 Naturalmente, tale formula viene ricavata in un esercizio presente nel documento “OIS- Case study ed esercizi”.
free‐entry equilibrium) e dimensione del mercato. In questo caso avviene qualcosa di
diverso. Per dimensioni basse, le imprese non investono in pubblicità, poiché non c’è
abbastanza domanda e le imprese non hanno motivo per differenziarsi attraverso la
qualità. Allora, fino ad un valore critico A*, la qualità dei prodotti sarà il lower bound
e l’equilibrio è proprio come quello di Bain (magari con investimenti esogeni in
pubblicità). Oltre il punto critico, le imprese iniziano ad investire in pubblicità che
segnali la qualità del proprio prodotto per differenziarsi, e l’equilibrio si evolve. Gli
investimenti in pubblicità fanno sì che le imprese riescano a catturare tutta l’espansione del mercato (cioè
l’aumento di A) senza lasciare spazio a nuovi entranti. Nel modello di Sutton (empiricamente riscontrato in
mercati quali cereali, birra, caffè, etc.) gli investimenti in pubblicità non sono barriere di entrata esogene, ma
variabili endogene controllate dagli incombenti per mantenere costante la concentrazione di mercato.
Abbiamo visto come gli investimenti in pubblicità possono costituire barriere di entrata. In questo paragrafo
formalizzeremo una strategia di entry deterrance basata su tali investimenti in una situazione di mercato in
cui le imprese competono sul prezzo. Distinguiamo la pubblicità cooperativa, ovvero quando questa incrementa
la domanda sia dell’incombente che dei concorrenti, da quella predatoria, ovvero la pubblicità che determina
uno spostamento dei consumatori dai prodotti dal rivale a quelli dell’impresa che investe. Si pensi al Sicily
Fashon Village: le imprese investono in pubblicità cooperativa, pagando gli organizzatori per pubblicizzare
tutti i venditori, allargando il numero di partecipanti; tuttavia, durante lo svolgimento dell’evento, le imprese
passeranno ad una pubblicità predatoria per accappararsi un maggior numero di partecipanti.
Per quanto riguarda l’utilizzo della pubblicità per scoraggiare l’entrata, la letteratura si esprime in due modi:
secondo il modello di Baldani‐Masson, gli investimenti in advertising creano una “benevolenza” verso il
proprio prodotto, che riduce le vendite che un nuovo entrante può ottenere per ogni unità monetaria investita
in pubblicità, innalzando i costi del rivale; secondo Schmalensee, gli investimenti in pubblicità sono in grado,
attraverso strategie di marketing e brand loyalty, di bloccare gruppi di consumatori, creando un equilibrio
separato per l’incombente, nel caso di nuovi entranti, così da non avere interesse nell’abbassare il prezzo. In
questo caso però, l’entrata potrebbe essere più facile, poiché si potrebbero catturare nicchie di mercato.
Formalizziamo quanto detto. Supponiamo che due imprese abbiano le seguenti domande di mercato per i loro
prodotti differenziati (in cui A sono i sunk predatory advertising investments in pubblicità dell’impresa 1):
, , ; , ,
Un incremento di A determina uno shift verso destra della prima curva e uno shift verso sinistra della seconda.
Supponiamo un gioco a due stadi in cui prima l’incombente decide il livello di A e nel secondo le imprese
competono sul prezzo (se il rivale entra). Scriviamo, il profitto dell’incombente in funzione dei prezzi e di A:
, ,
,
Con il profitto in funzione di tali parametri, l’effetto di una varaizione marginale di A su di esso sarà:
→
:
Il primo addendo rappresenta l’effetto diretto dell’investimento sulla domanda
dell’incombente, mentre il secondo quello l’effetto indiretto sulla domanda dell’entrante.
In figura vediamo le BRF come funzioni dei prezzi e degli investimenti in pubblicità. In
particolare, le freccie indicano lo spostamento che subiscono tali curve a causa di una
variazione marginale di A: l’equilibrio si sposta dal punto H al punto K, poiché R si
1
sposta a destra per l’incremento di Z , mentre R si sposta in basso per il decremento di
1 2
. Pertanto, l’investimento rende l’incombente “più duro” in una competizione tra
Z
2
complementi strategici, cioè si comporterà come un puppy dog. Se l’incombente, attraverso gli investimenti
in pubblicità, riesce a portare il prezzo di equilibrio dell’entrante al di sotto dei suoi costi marginali, allora può
mettere in atto una entry deterrence strategy. Tuttavia, se non può far abbassare il prezzo fino a quel punto,
l’incombente non scoraggierà l’entrata del rivale, ma la faciliterà, lasciandogli una nicchia di consumatori (i
low willingness to pay consumer); infatti, in K il prezzo dell’incombente è più alto, e quindi si alza la domanda
per l’entrante. Inoltre non possiamo dire a priori se il profitto dell’incombente in K risulti maggiore di quello
in H, perché la domanda si abbasserà; se così non fosse, non sarà conveniente investire in pubblicità. 39
Capitolo 9.
In questo capitolo analizzeremo gli aspetti di Ricerca e Sviluppo che influenzano la competizione tra le
imprese. In particolare cercheremo di capire come gli investimenti in R&D influenzano il comportamento
strategico e quale è la relazione tra R&D e la struttura di mercato. Possiamo trattare questo argomento in
modo molto simile a quanto fatto per il modello di Dixit e il framework di Fundenberg e Tirole. Consideriamo
quindi un gioco a due stadi in cui un’impresa investe in modo “routinario” in R&D per sviluppare un nuovo
processo tecnologico capace di migliorare l’efficienza produttiva, cioè i costi totali
dell’impresa che innova saranno C=C(x, R)+R, con x variabile competitiva ed R la
quantità di investimenti in ricerca e sviluppo. C sarà monotonicamente
decrescente in R. Supponiamo che la competizione sia di Cournot e quindi una
riduzione dei costi marginali comporta uno spostamento verso destra della BRF
dell’innovatore, e l’equilibrio si sposta come in x 1
figura (sx.). Dunque gli investimenti in R&D
rendono l’innovatore più duro in un gioco tra
sostituti strategici, e 1 si comporterà come un top
dog. Se la competizione è sui prezzi, l’incremento
di efficienza determinerà un decremento del prezzo, con un conseguente
cambiamento della BRF come in figura (dx.). Quindi avremo l’innovatore più
forte in un gioco tra complementi strategici, che si comporterà come un puppy
dog scegliendo con cura tra le possibilità di investimento in R&D. x 2
Quando un’impresa innovatrice concede lo sfruttamento commerciale di un’innovazione ad un’altra diremo
che questa ha licenziato tale innovazione (innovation licensing). Si tratta di un fenomeno molto diffuso nel
business (oltre l’80% delle innovazioni protette da brevetto vengono licenziate). Cerchiamo di capire dove
risiede la convenienza di tale pratica. Consideriamo il caso di una competizione di Cournot in cui il player 1
ha un vantaggio nei costi ottenuto tramite gli investimenti in R&D. Ipotizziamo un contratto di licensing che
prescriva semplicemente che 2 debba pagare k per ogni unità prodotta con l’innovazione licenziata da 1.
Naturalmente 1 fisserà k=(c – c )–ε, poiché per una tassa maggiore 2 non troverebbe il contratto conveniente.
2 1
Conseguentemente all’acquisto in licenza della tecnologia, il profitto di 2 incrementa in modo infinitesimo (i
suoi costi marginali si riducono di ε>0), mentre il profitto dell’impresa innovatrice diviene:
, ,
Pertanto, in una competizione di Cournot, licenziare un’innovazione tecnologica incrementa i profitti di tutte
le imprese coinvolte. Inoltre, grazie al licensing, l’innovazione viene diffusa prima.
Adesso cercheremo di capire qual è la struttura di mercato più adatta agli investimenti in R&D. Secondo
Schumpeter, il profitto dell’innovazione fornisce un beneficio di lungo
periodo che supporta le posizioni di mercato dominanti; pertanto la
struttura di mercato oligopolistica (più realistica del monopolio) si configura
come migliore per determinare l’innovazione rispetto alla concorrenza
perfetta in cui i profitti di lungo periodo tendono a zero. Tale questione è
importante poiché gli investimenti in R&D sono il motore della crescita
secondo la Teoria della Crescita Endogena. Per rispondere al quesito
introdurremo il modello di Arrow. Un’innovazione di processo dicesi drastica
se essa è in grado di determinare una riduzione dei costi marginali tale che,
nel caso di monopolio, consenta di fissare il nuovo prezzo di equilibrio al di sotto dei costi marginali prima
dell’innovazione, altrimenti dicesi incrementale.
Il modello di Arrow ipotizza che l’innovazione sia incrementale e che l’impresa che raggiunge prima
l’innovazione ottiene una licenza di utilizzo di lungo periodo.
Consideriamo un processo di innovazione che permetta una riduzione dei costi marginali da c a c . La figura
h i
a pagina successiva (sx.) mostra la variazione netta di surplus V nel caso in cui il prezzo sia perfettamente
S
40 competitivo, ovvero uguale ai costi marginali. Dunque il valore V è il valore
S
massimo dell’innovazione. Il modello di Arrow prevede il confronto tra tale
valore massimo con il surplus che un monopolista o un imprenditore in
competizione perfetta potrebbe ottenere.
Vediamo il caso di competizione perfetta prima
dell’innovazione che permetta di ottenere un
vantaggio di costo. In tal caso, inizialmente si ha
p=c . Successivamente, l’innovatore conquista
h
tutto il mercato fissando p=c –ε. La figura illustra
h
questo caso. Come può vedersi, l’innovatore
guadagnerà profitti pari a (p–c )D(c ), ovvero l’area V in figura e i consumatori
i h c
non beneficieranno dell’innovazione.
Vediamo il caso di monopolio. Prima dell’innovazione il monopolista
guadagna q (p – c ), mentre dopo l’innovazione i suoi profitti sono q (p – c ). Pertanto l’incentivo per il
h i
bm bm am am
monopolista sarà pari a V = q (p – c )– q (p – c ). Un’espressione più semplice si può ricavare tramite i
m i h
am am bm bm
seguenti passaggi:
Se però la variazione di costo non fosse infinitesimale, ma si avesse una
riduzione c – c , allora la massima variazione di profitto che si potrebbe ottenere
h i
sarebbe l’area arancione in figura. Confrontando le aree nelle tre figure, si vede
come V <V < V , ovvero l’incentivo ad innovare è maggiore per un imprenditore
m c S
in concorrenza perfetta, ma entrambe le forme di mercato non riescono a
catturare tutto il surplus disponibile. Tale risultato viene chiamato replacement
effect, che sottolinea come l’incentivo del monopolista sia minore perché passa da un monopolio ad un
monopolio, mentre l’impresa in concorrenza perfetta passa ad un monopolio, in cui ha potere di mercato.
Il modello di Arrow non tiene in considerazione il fatto che le imprese competono anche per ottenere per
prime l’innovazione, ovvero non considera il mercato dell’innovazione. Vediamo il modello di Gilbert e Newberry
che consiste proprio in una estensione del modello precedente. Si consideri un incombente con costi marginali
pari a c e un nuovo entrante, entrambi in competizione per ottenere un’innovazione di processo che
h
consentirebbe di avere costi marginali c <c . Se l’entrante non ottiene il brevetto continuerà a non avere profitti
i h
nel mercato dell’incombente, mentre, se lo ottiene prima, entra nel mercato dove otterrà profitti π (c , c ) con
d i h
2
costi marginali inferiori dell’incombente; se l’incombente ottiene il brevetto guadagnerà profitti da
monopolista con con costi marginali minori, mentre, viceversa competerà in svantaggio in un duopolio con il
nuovo entrante. Pertanto l’incentivo ad innovare per l’incombente sarà pari a π (c ) – π (c , c ), che sarà
d
m i h i
1
maggiore dell’incentivo per il nuovo entrante se risulta:
⟺
, , , ,
La precedente esprime che l’incentivo ad innovare per l’incombente è maggiore del nuovo entrante se il
profitto da monopolista con costi marginali più bassi è maggiore o uguale ai profitti di due duopolisti con
tecnologie di costo differenti. In realtà, abbiamo visto come il profitto monopolistico è sicuramente maggiore
o uguale ai profitti non collusivi di un duopolio se entrambe le imprese hanno gli stessi costi marginali,
pertanto la precedente è , a maggior ragione, sicuramente verificata. Questo
risultato è detto efficiency effect ed esprime che il monopolista ha maggiore incentivo
ad investire in innovazione rispetto ad un potenziale entrante, così da mantenere la
propria posizione da monopolista.
Tale situazione è molto simile a quella vista per la brand preemption, infatti un
brevetto ed i suoi benefici sono garantiti solo a chi arriva prima all’innovazione.
Proviamo allora ad analizzare meglio il mercato dell’innovazione inserendo la
variabile tempo nelle competizioni brevettuali. In particolare, la variabile T che
41
esprime il tempo di sviluppo di un’innovazione è legata da una proporzionalità inversa con la quantità d di
investimenti in R&D, come in figura. Il valore attuale netto di un’innovazione ottenuta al tempo T(d) si può
scrivere come:
Nella precedente, V è il valore dell’innovazione al tempo T(d) ed r il tasso di sconto. Pertanto, il valore ottimo
degli investimenti in innovazione si può così ottenere: ∂
→ 1
max ∂
La precedente ci dice che il valore ottimo di d è tale da rendere la tangente alla curva del valore attuale pari a
1, ovvero una pendenza pari a 45°. La figura a fianco mostra il valore ottimo di d nel caso che sia valido l’effetto
di rimpiazzo di Arrow. Se V <V < V , allora si avrà d <d < d e l’impresa che investe di più arriverà prima. Ma
m c S m c S
in figura c’è di più: se c’è competizione nel mercato dell’innovazione, supponiamo in un mercato
VA
perfettamente concorrenziale, le imprese sanno che solamente chi arriverà prima
guadagnerà V . Pertanto si instaurerà una corsa al brevetto e le imprese
c
spenderanno fino a quando il valore atteso dei profitti attualizzati derivanti
dall’innovazione eguaglierà le spesi in R&D, ovvero, nel caso in esame,
. Si noti come tale quantità è maggiore dell’investimento di
spenderanno d e
“equilibrio sociale”, ovvero la spesa necessaria per ottenere tutto il surplus
generato dall’innovazione. Pertanto, in una corsa brevettuale deterministica per una
innovazione non drastica è presente solo l’effetto di efficienza e potrebbero esserci
investimenti eccessivi in R&D.
Finora abbiamo ipotizzato che il raggiungimento dell’innovazione fosse una conseguenza deterministica degli
investimenti in R&D. Introduciamo allora le competizioni brevettuali stocastiche per rimuovere tale ipotesi. In
questo caso è la probabilità di ottenimento dell’innovazione ad essere proporzionale all’ammontare di
investimenti in R&D. In questa sede ci limiteremo a riassumere i principali risultati di un siffatto modello:
Nel caso di competizione brevettuale stocastica sono presenti sia l’effetto di rimpiazzo che di efficienza.
Dato che il primo effetto suggerisce che investa di più il nuovo entrante mentre il secondo suggerisce il
contrario, la scelta del livello ottimo di investimenti si presenta come un trade‐off tra i due effetti, che
dipende soprattutto dal tipo di innovazione in questione e dall’incertezza nell’ottenerla.
Nel caso di innovazioni drastiche, domina l’effetto di rimpiazzo; le innovazioni drastiche sono più insicure
e pertanto l’incombente tenderà ad investire di più nella propria tecnologia, mentre l’entrante spenderà
di più in una nuova.
Nel caso di innovazioni incrementali l’incertezza è minore. L’incombente continua ad investire nella
propria tecnologia, il cui ritorno è ancora buono e, dato che conosce bene tale tecnologia, è più probabile
che sviluppi prima dell’entrante l’innovazione incrementale.
Le imprese utilizzano i brevetti per svariati scopi strategici oltre a quello primario di protezione di
un’innovazione. In particolare, Blind ha individuato cinque comportamenti strategici legati al patenting:
1. Protezione. Proteggere un’innovazione dall’imitazione e dalla riproduzione nazionale/internazionale.
2. Motivi di blocco. Bloccare i concorrenti per difesa o attacco. Si tratta di una strategia simile alla brand
proliferation. È usata per alzare le barriere all’entrata e bloccare possibili rivali. In pratica, le grosse
imprese sviluppano diversi brevetti con la stessa tecnologia o brevettano diverse tipologie dello stesso
prodotto. Si pensi al caso delle innovazioni nel campo dei software: grosse imprese come la Microsoft
brevettano ogni riga di codice presente nei propri programmi così da scoraggiare la software innovation,
campo in cui spesso si riutilizzano parte dei codici dei vecchi software.
3. Reputazione. Migliorare l’immagine tecnologica fornisce reputazione e valore all’impresa. In pratica i
brevetti vengono utilizzati come un segnale per costruire reputazione di eccellenza in R&D. Ciò può
aiutare l’impresa ad ottenere più facilmente approvazioni da agenzie di governo, ad aumentare il valore
dell’impresa nel caso di takeover, etc.
4. Scambio. Un brevetto è un ottima merce di scambio e aumenta il potere negoziale.
5. Incentivo. Un brevetto fornisce al team di sviluppo una ottima gratificazione.
42
Capitolo 10.
Per strategie di esclusione si intendono comportamenti strategici dei giocatori perpetuati con lo scopo di cacciare
via dal mercato i concorrenti e ridurre la competizione. In particolare, innalzare i costi del rivale è una pratica
strategica che consiste nel mettere in atto strategie che rendano i costi marginali dei rivali più alti dei propri.
Tale strategia può analizzarsi con un modello molto simile a quello visto per il framework di Furderber e
Tirole. Consideriamo un gioco a due stadi: nel primo stage l’incombente effettua un investimento K che ha
effetto sui costi marginali propri e su quelli dei rivali; nel secondo stage i giocatori competono come in
Bertrand. Partendo dal profitto dell’incombente, vediamo come egli può incrementarlo marginalmente con un
aumento marginale degli investimenti K:
, , , → →
Il primo termine a secondo membro è l’effetto diretto, poiché concerne l’impatto di un K sui costi
dell’incombente, che, in una competizione di Bertrand, causa la variazione del prezzo del rivale e dei profitti
dell’incombente stesso; il secondo invece è l’effetto indiretto, poiché concerne l’impatto di un K sui costi del
rivale. Considerando il tipo di investimenti (atti a innalzare i costi del rivale) e la razionalità dell’incombente,
si possono presentare unicamente due casi, le cui conseguenze sono illustrate in figura:
0 ; 0 2 0
1
Nel primo caso, l’aumento dei costi del rivale sposta
la sua BRF in alto, e l’equilibrio passa da C a D, con
un conseguente aumento dei prezzi; i profitti
dell’incombente risultano aumentati dato che i
prezzi sono più alti ma i costi marginali no. Gli
duro in
investimenti K rendono l’incombente più
una competizione tra complementi strategici,
quindi l’investimento è di tipo puppy dog. Nel caso
2) valgono gli stessi risultati per il rivale, tuttavia aumentano anche i costi dell’incombente, causando uno
spostamento della sua BRF verso destra, e quindi l’equilbrio si avrà nel punto E illustrato; anche in questo
caso, l’equilibrio e i prezzi sono più alti, tuttavia il profitto dell’incombente sarà più elevato solo se
l’incremento dei prezzi è maggiore di quello dei propri costi marginali. Anche qui siamo davanti ad
investimenti puppy dog. Nel secondo caso allora, affinchè l’incombente investa, deve verificarsi che:
0
Salop e Scheffman conclusero che, dato che la variazione di costi del rivale sarà sempre maggiore di quella
dell’incombente, egli potrà sempre arrangiare una variazione del prezzo che soddisfi la precedente. Vediamo
un’esempio pratico. Nel caso in cui due imprese utilizzino tecnologie eterogenee, una delle due potrà applicare
strategie di innalzamento dei costi. Ad esempio, nell’industria del carbone la produzione può essere di tipo
capital‐intensive o labour‐intensive; nel caso delle miniere Pennington, Williamson ha dimostrato che le imprese
del primo tipo cospiravano con i sindacati per innalzare i salari: ciò avrebbe determinato un incremento anche
per le imprese capital‐intensive, ma in misura molto ridotta rispetto alla seconda tipologia. Secondo la
conclusione di Salop e Scheffman, ciò è sufficiente affinché tale strategia sia profittevole.
Passiamo al caso in cui abbiamo un incombente e un nuovo entrante. Poiché una strategia basata
sull’innalzamento dei costi del rivale può produrre svantaggi anche per l’incombente, vediamo se questi
dovrebbe utilizzarla come deterrance strategy o accomodation strategy. Approfondiamo questo aspetto attraverso
una particolare strategia di danneggiamento del rivale: l’input preemption (utilizzo preventivo dell’input), che
consiste nell’acquisto preventivo dell’input, ovvero comprare input in eccesso. La letteratura è discordante
43
circa la convenienza di tale strategia, tuttavia esiste un caso in cui questa è sicuramente profittevole: è il caso
dei processi produttivi in cui l’input è essenziale, disponibile in quantità limitata e non rinnovabile.
Si ipotizzi che un incombente abbia a disposizione una quantità Z di un input con le caratteristiche di cui
sopra, e che nel mercato rimanga una quantità X. Per tale stock, un potenziale entrante sarebbe disposto a
pagare una quantità pari al valore attualizzato dei profitti duopolistici che otterrebbe se l’incombente
utilizzasse Z, ovvero π (Z, X). Vediamo l’incombente: se questi acquistasse X, scoraggerebbe l’entrata del
d,NE
rivale, guadagnando profitti monopolistici pari a π (Z+X); quindi l’incombente pagherebbe lo stock X al
m
massimo una quantità pari al valore attualizzato della differenza tra i profitti monopolistici meno quelli che
otterrebbe nel duopolio. Allora, l’incombente applicherà l’entry deterrence strategy se e solo se:
, , ⟺ , ,
, , , ,
Tuttavia, sappiamo che i profitti monopolistici sono sempre maggiori del rispettivo duopolio non collusivo, e
pertanto la precedente è sempre verificata e l’incombente applicherà l’input preemption, bloccando l’entrata.
Vediamo adesso la strategia di integrazione verticale e chiusura: un’impresa integra verticalmente l’impresa
produttrice dell’input a monte e chiude la fornitura alle altre imprese a valle, come rappresentato in figura.
Supponiamo che il mercato sia formato proprio come in figura. Nel mercato a)
sia il livello U che quello D sono duopoli ed entrambi i supplier vendono sia a
D che a D . Ci chiediamo se per D è conveniente integrarsi verticalmente con
1 2 1
U e passare al mercato b) danneggiando D . In tal caso U non venderebbe più
1 2 1
e U diventerebbe monopolista. Ipotizziamo che la competizione a monte sia
2
bertrandiana con prodotti indifferenziati e costi marginali nulli e la domanda
nel mercato a valle sia così distribuita:
, ; ,
Con le ipotesi fatte nel mercato di fornitura il prezzo praticato sarà nullo, così come i loro profitti. Allora anche
le imprese nel mercato a valle avranno costi marginali nulli. Allora il prezzo di equilibrio sarà:
, → 0 ⟺ 2 0 ⟺ 2
Specularmente varrà per p . Se A=10, b=e=1, i prezzi di equilibrio saranno pari a 10 e i profitti 100.
2
Vediamo il caso di integrazione verticale. Sicuramente i costi del rivale verranno innalzati, poiché ora U sarà
2
monopolista e applicherà un prezzo superiore ai costi marginali e D potrà acquistare unicamente da lui,
2
mentre D non avrà più bisogno di acquistare. Applichiamo la backward induction per scoprire il prezzo che
1
che applicheranno le imprese nel mercato a valle. Con i valori precedenti per i parametri, però considerando
che la funzione profitto di D avrà costi marginali pari a c (il prezzo di U da monopolista), si perviene a:
2 2
2
10 ; 10
3 3
Allora, massimizzando il profitto del monopolista a monte otteniamo:
10
, 15 → 225, 25
3
Allora la strategia di integrazione verticale con chiusura determina un innalzamento dei costi del rivale e un
incremento dei profitti per chi la applica.
Una strategia simile a quella di innalzamento dei costi è la strategia di
riduzione dei profitti del rivale. In particolare vedremo come l’advertising
può essere utilizzata come strumento per applicare tale strategia.
Supponiamo un duopolio di Bertrand con prodotti differenziati e
pubblicizzati. Allora i prezzi di ciascun giocatore saranno funzione dei
propri investimenti in pubblicità e degli investimenti e del prezzo del
rivale. Un generico investimento A in pubblicità ha l’effetto mostrato in
1
figura: incrementa la profittabilità marginale di un incremento unitario del
prezzo di 1 (effetto indiretto), spostando la BRF verso destra, mentre riduce
quella del rivale (effetto diretto), spostando la BRF in basso. Il risultato è un
prezzo più alto per 1 ed uno più basso per il rivale.
44
DESCRIZIONE APPUNTO
Il presente testo costituisce una sintesi completa del corso di Organizzazione Industriale e Strategie, di G. Perrone, ed è diviso in due sezioni: “Teorie di Organizzazione Industriale e Strategie” e “Case Study ed esercitazioni”. Le fonti sono appunti presi a lezione, il libro “Ingegneria dei mercati & Strategie” (G.Perrone), slide e altro materiale didattico fornito dal professore e, dove necessario, approfondimenti sul web. La prima sezione della dispensa tratta la materia nel suo complesso, ma con particolare
riguardo alla descrizione dei modelli teorici di riferimento. Pertanto costituisce una raccolta completa delle teorie di ingegneria dei mercati e strategie d’impresa per la competizione.
Il Capitolo 1 riprende i concetti di base di microeconomia (i.e. massimizzazione del profitto, surplus, elasticità) e le forme base di mercato (monopolio, concorrenza perfetta): in sostanza
tutto ciò di cui il lettore deve avere una conoscenza solida per apprendere quanto troverà in seguito.
Il Capitolo 2 riguarda la teoria dei giochi. I modelli che verranno poi presentati si fondano infatti su concetti come Nash equilibrium (per i giochi statici) e Subgame Perfect Nash Equilibrium (per i giochi dinamici). I giochi esposti in questo capitolo rappresentano infatti le fondamenta su cui costruiamo i modelli di competizione d’impresa.
Il Capitolo 3 espone le due forme base di competizione oligopolistica: la competizione di Cournot e di Bertrand. In particolare verrà analizzato a fondo ciascun modello, studiandone
ipotesi e possibili scostamenti dallo stesso.
Il Capitolo 4 introduce i modelli dinamici di oligopolio. Con essi entrano in gioco strategie
collusive e vedremo in quali condizioni queste possono rappresentare un equilibrio (modello
di Stigler).
Il Capitolo 5 approfondisce uno dei temi fondamentali del marketing: la differenziazione. Attraverso il modello di Hotelling, viene studiato come la differenziazione rappresenta una
strategia di mercato, capace di innalzare barriere di entrata o fornire potere di mercato.
Nel Capitolo 6 troviamo le strategie di discriminazione del prezzo, distinguendo le varie tipologie e analizzandone alcune in modo approfondito (i.e. market segmentation, two-part tariff, tying, bundling).
Il Capitolo 7 si configura come il più importante della dispensa. In questo, attraverso una serie di modelli a due stadi viene analizzato il comportamento strategico di una impresa
quando si trova a dover prendere una decisione che impatterà sulla competizione futura, i.e. quantità (Stackelberg), capacità produttiva da installare (Dixit), investimenti di tipo sunk (Fuderberg e Tirole). Una attenzione particolare è rivolta poi agli investimenti strategici e al framework di Fuderberg e Tirole per valutarli.
Il Capitolo 8 tratta due variabili strategiche: la qualità e gli investimenti in advertising. I primi due paragrafi spiegano come sfruttare la prima nel caso di search goods e experience goods
(attraverso i modelli di Shapiro, Nelson e delle garanzie). La restante parte è dedicata agli effetti della pubblicità nella competizione e nei mercati: in particolare troviamo come determinare il livello ottimo di investimenti in advertising e come utilizzarli quale barriera d’entrata, poi quali sono gli effetti della pubblicità predatoria.
Il Capitolo 9 è dedicato al tema della ricerca, sviluppo e innovazione. Pertanto verranno approfonditi temi come: investimenti strategici in R&D, strategie di licensing, gli effetti
dell’innovazione sui consumatori e sulle imprese (modello di Arrow), la competizione dei brevetti (modello di Gilbert e Newberry), patenting strategies, etc. Sebbene le strategie di entry deterrance vengono prese in considerazione già dal Capitolo 7, nel Capitolo 10 vengono esposte delle strategie mirate proprio all’esclusione del rivale dal mercato (innalzamento dei costi del rivale, input preemption, vertical integration).
Attraverso i giochi bayesiani, nel Capitolo 11 viene spiegato cosa sono i famosi prezzi predatori, tema ancora oggi in discussione.
Nel Capitolo 12 parliamo infine di fusioni e acquisizioni. In un manuale di ingegneria dei mercati non può mancare un approfondimento sulle strategie di M&A, ad oggi diffusissime
tra le grandi imprese oligopolistiche.
Passiamo alla seconda dispensa. Questa rappresenta principalmente una sezione di supporto alla prima, attraverso:
- Case study empirici. Attraverso una breve descrizione di 10 casi di studio scelti appositamente dal The Economist, vengono presentate evidenze reali di quanto viene studiato nella prima dispensa dal solo punto di vista teorico.
- Esercitazioni pratiche. Attraverso lo svolgimento dettagliato di alcuni esercizi (numerici e non) è possibile affrontare da un punto di vista pratico le teorie viste in precedenza. Alcuni esercizi non numerici svolgono invece la funzione di dimostrare alcuni risultati presentati della prima dispensa, la cui dimostrazione è stata delegataper non appesantire la lettura.
- Formulario. Tutte le formule di maggior interesse per lo svolgimento di applicazioni pratiche sono infine riportate ordinatamente in questa ultima sezione. Si tratta delle formule di base per i casi canonici (i.e. Cournot con simmetria nei costi) e risultati ottenuti dagli autori per casi più complessi (i.e. Cournot con N imprese e diverse strutture di costo).
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher RiccardoScimeca di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Organizzazione industriale e Strategie e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Palermo - Unipa o del prof Perrone Giovanni.
Acquista con carta o conto PayPal
Scarica il file tutte le volte che vuoi
Paga con un conto PayPal per usufruire della garanzia Soddisfatto o rimborsato